Commissione europea La ricetta di Juncker Riccardo Perissich 12/09/2014 |
Il nuovo presidente della Commissione europea Jean Claude Juncker era atteso alla prova in un clima non favorevole: rottame del passato con una preoccupante propensione alla bottiglia, inaccettabile colpo di mano del Parlamento europeo, fantoccio di Angela e altro ancora.
Il risultato può sorprendere. Malgrado il malumore iniziale, i governi hanno fornito al neo-presidente dei nomi di peso, per la maggior parte politici di primo piano che rispecchiano bene il panorama politico europeo.
Con questa materia prima tra le mani, Juncker aveva due sfide: distribuire i portafogli e organizzare il collegio.
La squadra di Juncker
Sulla prima, anche i più scettici devono ammettere che il risultato è un’operazione abbastanza abile che risponde, oltre all’equilibrio fra nazionalità e colore politico, alla primordiale necessità di allocare le responsabilità a persone che per origine, formazione e convinzione hanno interesse a riuscire nel compito assegnato. La svedese Cecilia Malmstrom al commercio, la danese Margrethe Vestager alla concorrenza e il greco Dimitris Avramopulos all’immigrazione sono esempi pertinenti.
Il sapiente, per alcuni bizantino, equilibrio dei portafogli economici riflette con precisione gli interessi e le correnti di pensiero che agitano l’Europa. Non piacerà né ai falchi del rigore né ai fanatici del “cambiare verso”; è invece una soluzione realistica per un Europa che al massimo può (e deve) correggere la direzione e la velocità di crociera.
Ho sempre pensato che affidare al francese Pierre Moscovici il difficile compito di dialogare con Parigi sarebbe stata una mossa abile, ma che allo stesso tempo non era possibile lasciargli la mano completamente libera.
La stessa decisione di affidare all’inglese Jonathan Hill i mercati finanziari, oltre a essere un necessario gesto nei confronti della Gran Bretagna, può anche condurre a una correzione di rotta rispetto a una regolamentazione finora troppo attenta agli interessi delle banche continentali. Ciò a patto (ed è un grosso interrogativo) che il nuovo Commissario sia cosciente che il suo ruolo non è quello di semplice emissario del governo britannico.
Una commissione di cluster
La seconda sfida era molto più ardua. A norma di trattato, la Commissione è un organo collegiale. Gli ultimi allargamenti ne hanno aumentato a dismisura il numero dei membri mentre quello delle competenze vere non è cresciuto di molto. La soluzione sarebbe stata di ridurre drasticamente il numero dei Commissari. Non è stato fatto per motivi noti.
Il risultato è un collegio sempre più incoerente e frammentato, incapace di esprimere una strategia d’insieme. Ciò ha condotto anche alla patologica esplosione d’iniziative velleitarie e spesso contraddittorie, per lo più prive di risultati concreti, che hanno invece creato aspettative deluse e timori irrazionali, entrambi ingiustificati.
Al contempo sono anche aumentati i poteri del Presidente; tuttavia i successori di Jacques Delors, per debolezza o disinteresse, si sono occupati più della loro immagine personale che del funzionamento del collegio. L’organizzazione proposta da Juncker tenta di mettere fine a questa situazione.
Poiché la malattia non è nuova, non è la prima volta che si tenta di istituire “gruppi di commissari”. Il risultato è sempre stato deludente perché i singoli non hanno mai accettato condizionamenti. Questa volta l’impegno sembra diverso. Juncker ha presentato la nuova organizzazione come il cardine di un disegno strategico e su ciò, per usare un italianismo, “si gioca la faccia”. Le lettere d’incarico che hanno accompagnato la designazione dei nuovi vice-presidenti configurano un coerente programma di governo.
Ovviamente la partita è aperta ed è impossibile fare previsioni. Molto si giocherà sul funzionamento del “cluster” economico e su quello delle relazioni internazionali sotto la responsabilità rispettivamente dell’olandese Frans Timmermans e di Federica Mogherini. Per quanto riguarda quest’ultima, fa bene a trasferire la sua sede operativa negli uffici della Commissione; premessa per por fine a una frammentazione assurda.
Organizzazione a matrici
Forse sarebbe stato bene avere un commissario per il Mediterraneo, ma avere unificato la politica di vicinato e l’allargamento è una buona cosa. Sulla carta i vice-presidenti detengono il principale potere, ma sarebbe un errore sottovalutare l’importanza del rapporto diretto che esiste fra i singoli Commissari e le direzioni generali che da loro dipendono.
Ciò che si configura si può apparentare a un’organizzazione matriciale; chiunque abbia esperienza di strutture complesse, pubbliche o private, sa quanto sia difficile separare la responsabilità funzionale da quella gerarchica. Alla fine, tutto dipenderà dalla leadership di Juncker e dal concreto gioco delle personalità.
Quelli che, come chi scrive, hanno approvato il metodo seguito per la designazione di Juncker speravano che potesse rappresentare un fattore per accrescere la legittimità politica della Commissione agli occhi dell’opinione pubblica. La composizione prevalentemente politica del collegio rafforza questo elemento.
La nuova organizzazione, se funzionerà, dovrebbe permettere di dissipare o almeno ridurre la percezione di frammentazione, burocrazia e incoerenza del passato. Per un’Europa che ha disperatamente bisogno di buone notizie, non è poco.
Riccardo Perissich, già direttore generale alla Commissione europea, è autore del volume “L'Unione europea: una storia non ufficiale”, Longanesi editore.
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Il risultato può sorprendere. Malgrado il malumore iniziale, i governi hanno fornito al neo-presidente dei nomi di peso, per la maggior parte politici di primo piano che rispecchiano bene il panorama politico europeo.
Con questa materia prima tra le mani, Juncker aveva due sfide: distribuire i portafogli e organizzare il collegio.
La squadra di Juncker
Sulla prima, anche i più scettici devono ammettere che il risultato è un’operazione abbastanza abile che risponde, oltre all’equilibrio fra nazionalità e colore politico, alla primordiale necessità di allocare le responsabilità a persone che per origine, formazione e convinzione hanno interesse a riuscire nel compito assegnato. La svedese Cecilia Malmstrom al commercio, la danese Margrethe Vestager alla concorrenza e il greco Dimitris Avramopulos all’immigrazione sono esempi pertinenti.
Il sapiente, per alcuni bizantino, equilibrio dei portafogli economici riflette con precisione gli interessi e le correnti di pensiero che agitano l’Europa. Non piacerà né ai falchi del rigore né ai fanatici del “cambiare verso”; è invece una soluzione realistica per un Europa che al massimo può (e deve) correggere la direzione e la velocità di crociera.
Ho sempre pensato che affidare al francese Pierre Moscovici il difficile compito di dialogare con Parigi sarebbe stata una mossa abile, ma che allo stesso tempo non era possibile lasciargli la mano completamente libera.
La stessa decisione di affidare all’inglese Jonathan Hill i mercati finanziari, oltre a essere un necessario gesto nei confronti della Gran Bretagna, può anche condurre a una correzione di rotta rispetto a una regolamentazione finora troppo attenta agli interessi delle banche continentali. Ciò a patto (ed è un grosso interrogativo) che il nuovo Commissario sia cosciente che il suo ruolo non è quello di semplice emissario del governo britannico.
Una commissione di cluster
La seconda sfida era molto più ardua. A norma di trattato, la Commissione è un organo collegiale. Gli ultimi allargamenti ne hanno aumentato a dismisura il numero dei membri mentre quello delle competenze vere non è cresciuto di molto. La soluzione sarebbe stata di ridurre drasticamente il numero dei Commissari. Non è stato fatto per motivi noti.
Il risultato è un collegio sempre più incoerente e frammentato, incapace di esprimere una strategia d’insieme. Ciò ha condotto anche alla patologica esplosione d’iniziative velleitarie e spesso contraddittorie, per lo più prive di risultati concreti, che hanno invece creato aspettative deluse e timori irrazionali, entrambi ingiustificati.
Al contempo sono anche aumentati i poteri del Presidente; tuttavia i successori di Jacques Delors, per debolezza o disinteresse, si sono occupati più della loro immagine personale che del funzionamento del collegio. L’organizzazione proposta da Juncker tenta di mettere fine a questa situazione.
Poiché la malattia non è nuova, non è la prima volta che si tenta di istituire “gruppi di commissari”. Il risultato è sempre stato deludente perché i singoli non hanno mai accettato condizionamenti. Questa volta l’impegno sembra diverso. Juncker ha presentato la nuova organizzazione come il cardine di un disegno strategico e su ciò, per usare un italianismo, “si gioca la faccia”. Le lettere d’incarico che hanno accompagnato la designazione dei nuovi vice-presidenti configurano un coerente programma di governo.
Ovviamente la partita è aperta ed è impossibile fare previsioni. Molto si giocherà sul funzionamento del “cluster” economico e su quello delle relazioni internazionali sotto la responsabilità rispettivamente dell’olandese Frans Timmermans e di Federica Mogherini. Per quanto riguarda quest’ultima, fa bene a trasferire la sua sede operativa negli uffici della Commissione; premessa per por fine a una frammentazione assurda.
Organizzazione a matrici
Forse sarebbe stato bene avere un commissario per il Mediterraneo, ma avere unificato la politica di vicinato e l’allargamento è una buona cosa. Sulla carta i vice-presidenti detengono il principale potere, ma sarebbe un errore sottovalutare l’importanza del rapporto diretto che esiste fra i singoli Commissari e le direzioni generali che da loro dipendono.
Ciò che si configura si può apparentare a un’organizzazione matriciale; chiunque abbia esperienza di strutture complesse, pubbliche o private, sa quanto sia difficile separare la responsabilità funzionale da quella gerarchica. Alla fine, tutto dipenderà dalla leadership di Juncker e dal concreto gioco delle personalità.
Quelli che, come chi scrive, hanno approvato il metodo seguito per la designazione di Juncker speravano che potesse rappresentare un fattore per accrescere la legittimità politica della Commissione agli occhi dell’opinione pubblica. La composizione prevalentemente politica del collegio rafforza questo elemento.
La nuova organizzazione, se funzionerà, dovrebbe permettere di dissipare o almeno ridurre la percezione di frammentazione, burocrazia e incoerenza del passato. Per un’Europa che ha disperatamente bisogno di buone notizie, non è poco.
Riccardo Perissich, già direttore generale alla Commissione europea, è autore del volume “L'Unione europea: una storia non ufficiale”, Longanesi editore.
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