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Metodo di Ricerca ed analisi adottato

Medoto di ricerca ed analisi adottato
Vds post in data 30 dicembre 2009 sul blog www.coltrinariatlanteamerica seguento il percorso:
Nota 1 - L'approccio concettuale alla ricerca. Il metodo adottato
Nota 2 - La parametrazione delle Capacità dello Stato
Nota 3 - Il Rapporto tra i fattori di squilibrio e le capacità delloStato
Nota 4 - Il Metodo di calcolo adottato

Per gli altri continenti si rifà riferimento al citato blog www.coltrinariatlanteamerica.blogspot.com per la spiegazione del metodo di ricerca.

sabato 20 luglio 2013

Spagna:La battaglia della Catalogna

Autodeterminazione

Elena Marisol Brandolini
12/07/2013
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C’è un quartiere, nel centro antico di Barcellona, che è un luogo simbolo nella storia moderna del popolo catalano. Si tratta del Born, un’area che si estende attorno all’omonimo Passeig, il Mercato e la chiesa di Santa Maria del Mar.

Proprio all’interno della struttura del mercato di epoca modernista, definitivamente chiuso nel 1970, sono state rinvenute le rovine della struttura urbana di tre secoli fa, memoria degli ultimi combattimenti che portarono, nel 1714, alla capitolazione di Barcellona, lungamente assediata dai borboni di Filippo V, nella Guerra di Successione spagnola.

Un’area archeologica di ottomila metri quadrati, dove, all’epoca, sorgevano 55 case, tre taverne e due pensioni; in rappresentanza delle mille case distrutte nel quartiere per effetto dell’occupazione borbonica.

In ricordo di quella sconfitta e della perdita delle libertà che ne seguì per il popolo catalano, l’11 settembre, in Catalogna, si celebra la Diada, giorno di festa della comunità. Ora vogliono che il Born diventi un punto d’incontro della cultura e della storia catalana e un centro della memoria, che verrà inaugurato il prossimo 11 settembre. Ad un anno di distanza dalla grande manifestazione di Barcellona per l’indipendenza.

L’altro 11 settembre 
Per trecento anni, la celebrazione dell’11 settembre è stato un atto di difesa. Da alcuni anni, invece, rappresenta un passo in avanti. A spiegarlo è Muriel Casals, presidente di Òmnium Cultural - un’associazione fondata nel 1961, che lavora per la promozione della lingua catalana - annunciando che il prossimo settembre una catena umana attraverserà tutto il Paese per rivendicare il diritto a decidere del popolo catalano.

Lo scorso 29 giugno Òmnium Cultural ha organizzato il “Concerto per la libertà” (Concert per la Libertat) nel campo del Barça, la squadra di calcio di Barcellona: una manifestazione a sostegno della consultazione popolare che la stragrande maggioranza della società catalana e delle forze presenti nel parlamento catalano vogliono, per decidere il futuro del rapporto tra Catalogna e Spagna. Ottantamila i presenti che, attraverso la musica, hanno sostenuto persone venute a esprimere il sogno di uno Stato indipendente.

Sul processo aperto in Catalogna vanno avanti anche le commissioni volute dalla Generalitat , l'istituzione di autogoverno della Catalogna Si è costituito il “Patto per il diritto a decidere” (Pacte pel Dret a Decidir), con la presenza di partiti, associazioni e sindacati, ma senza i socialisti catalani, che ne considerano l’esito predeterminato in senso indipendentista.

Referendum
Nel parlamento catalano si è riunita per la prima volta la commissione sul diritto a decidere, con il sostegno di tutti i partiti, ad eccezione dei popolari e di Ciutadan’s, una formazione politica di destra con rappresentanza nel parlamento catalano che ritiene che la Spagna sia una e indivisibile. Il parlamento catalano ha impegnato il governo della Generalitat a ricercare i termini del confronto con il governo spagnolo per la realizzazione di un referendum concordato e legale.

Ma non sembra di leggere nelle azioni del presidente del governo catalano, Artur Mas, un grande attivismo a questo riguardo. A complicare la situazione è anche l’atteggiamento del governo spagnolo che è stato fino ad ora di totale chiusura. Mas ha annunciato che, nei prossimi giorni, invierà una lettera al presidente del governo spagnolo, Mariano Rajoy, con all’ordine del giorno la celebrazione della consultazione referendaria.

Riforma costituzionale
Il Partit dels Socialistes de Catalunya, Psc, - stretto tra la sua antica matrice catalanista che gli impone di sostenere il diritto a decidere del popolo catalano e il legame con il Partido Socialista Obrero Español, Psoe, contrario a riconoscere altre sovranità che non siano quella del popolo spagnolo - si è espresso a favore di una proposta di riforma della Costituzione spagnola in senso federalista. È la risposta che i socialisti danno al malessere espresso con forza dalla società catalana. Un’alternativa all’ipotesi della separazione e a quella della ricentralizzazione dello Stato.

La proposta di riforma parte dall’attuale assetto statuale basato su un sistema di autonomie, introdotto in Spagna con la Costituzione del 1978, con l’ambizione di rinnovarne le caratteristiche e le funzioni fino ad evolverle verso un modello federale.

Una riforma, si legge nella Dichiarazione di Granada dello scorso 6 luglio, approvata dal Consiglio Territoriale del Psoe, che:
- nomini espressamente in Costituzione le diverse autonomie spagnole;
- definisca con chiarezza la separazione di competenze tra queste e lo Stato;
- riconosca le singolarità politiche, istituzionali, territoriali e linguistiche presenti nella mappa spagnola;
- faccia del Senato la Camera di rappresentanza territoriale;
- stabilisca un nuovo sistema di finanziamento giusto e equo, salvaguardando il principio dell’ordinalità, (ossia, che la contribuzione interterritoriale non finisca col collocare in peggiore condizione relativa chi contribuisce rispetto a chi viene beneficiato);
- istituisca un Fondo di Garanzia dello Stato Sociale, per garantire i servizi sociali di base e i diritti fondamentali all’istruzione, alla salute e alle pensioni;
- modifichi il controllo costituzionale delle riforme degli statuti di autonomia, così da non ripetersi un intervento del Tribunal Constitucional successivo all’espressione popolare per via referendaria;
- regoli e riconosca la partecipazione delle comunità autonome nel governo dello Stato e nella presenza della Spagna in Europa.

Anche se alcuni di questi aspetti, come il principio dell’ordinalità nel sistema di finanziamento o il riconoscimento dei diritti storici catalani, non sono nuovi - erano contenuti nell’Estatut catalano del 2006, approvato con referendum popolare e successivamente contestato dal Tribunal Constitucional con la sentenza del 2010 - questa è la prima volta che i socialisti spagnoli esplicitano concretamente un’opzione federalista di Stato.

Ma hanno ragione i detrattori della proposta, quando ne evidenziano due limiti. In primo luogo, il Partido Popular che governa e ha la maggioranza in parlamento, sembra del tutto ostile a considerare l’ipotesi di un’evoluzione del modello statuale spagnolo verso un assetto federale. In aggiunta, nel progetto di riforma manca un riferimento al diritto a decidere, ossia all’unione in libertà dei popoli di Spagna, tema che è invece centrale nell’attuale discussione catalana.

Il futuro dirà se l’opzione federalista ha una qualche possibilità di prosperare come ipotesi costituzionale, conquistando la maggioranza della società catalana che, anche per questo, dovrebbe avere il diritto a pronunciarsi.

Elena Marisol Brandolini è giornalista. Laureata in economia è esperta di politiche di sicurezza sociale. È autrice del volume Catalunya-Espana. Il difficile incastro.

Fonte Istituto Affari Internazionali.
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Il caso Snowden e le regole dello spionaggio

Diritto internazionale
Natalino Ronzitti
16/07/2013
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L’affaire Snowden solleva vari quesiti sotto il profilo del diritto e delle relazioni internazionali. Si può concedere l’asilo politico ad un fuggiasco implicato in un caso di spionaggio? Hanno correttamente agito gli Stati europei che hanno negato il sorvolo del loro territorio all’aereo su cui era imbarcato il presidente boliviano Morales, sospettato di aver a bordo Snowden?

A tali quesiti è stata in parte già data risposta. Per quanto riguarda l’Italia, bene ha fatto il nostro governo a non concedere a Snowden l’asilo, poiché gli Stati Uniti non sono certamente un paese che non assicura le libertà democratiche, condizione necessaria per l’applicazione dell’art. 10, comma 3 della nostra Costituzione per la concessione. Quanto al diniego del transito attraverso lo spazio aereo nazionale, è da ricordare che obblighi sussistono per l’aviazione civile secondo la Convenzione di Chicago del 1944, ma non per gli aerei di stato, quale quello su cui viaggiava il presidente boliviano.

Spionaggio tra amici
L’aspetto più inquietante dell’affare Snowden riguarda lo spionaggio tra alleati, che poi è a senso unico in quanto realizzato dalle varie “agenzie” americane nei confronti degli alleati europei, Italia inclusa, e delle istituzioni dell’Unione europea (Ue), sollevando le reazioni particolarmente indignate del Parlamento europeo, che il 4 luglio ha adottato una risoluzione di condanna e ordinato un’inchiesta. Prendendo spunto dall’affare Snowden si è chiesto se esistano regole in materia, che dovrebbero riguardare tutti gli stati, non solo i potenziali nemici, ma anche gli alleati.

In questo secondo caso la trasgressione di regole sarebbe aggravata dalla violazione del rapporto di fiducia, che dovrebbe vigere tra potenze amiche. Né può essere consolatorio l’affermare che “così fan tutti” e che lo spionaggio, o come oggi si chiama “attività di intelligence” per nobilitarlo, è sempre esistito. Addirittura si invocano regole internazionali per disciplinarlo. Ma si tratta di esternazioni di chi non conosce 36bene i rapporti che regolano la comunità internazionale, poiché a nessuno è mai venuto in mente la stipulazione di una convenzione internazionale sullo spionaggio.

In realtà talune regole esistono, ma vanno ricavate da altri settori del diritto internazionale.

Spionaggio in tempo di guerra
In primo luogo occorre distinguere tra lo spionaggio in tempo di guerra e in tempo di pace.

Lo spionaggio in tempo di guerra è l’unico oggetto di una disciplina ad hoc. Tanto il Regolamento annesso alla IV Convenzione dell’Aja del 1907 quanto il primo Protocollo addizionale alle quattro Convenzioni di Ginevra del 1949 disciplinano il fenomeno, definendo “la spia” che, in caso di cattura, non ha diritto allo status di prigioniero di guerra ed è soggetta alla potestà repressiva dello stato che la cattura. Lo stato, per cui la spia agisce, non commette però alcun illecito internazionale. Si tratta di regole fatte proprie dalla consuetudine internazionale.

Spionaggio in tempo di pace
Diversa è invece la disciplina dello spionaggio in tempo di pace, estremamente frammentaria e non oggetto di una precisa regolamentazione.

Talune norme possono essere ricavate dalla Convenzione di Vienna sulle relazioni diplomatiche del 1961. Si prescinde qui dall’ipotesi dell’attività di intelligence condotta dall’agente diplomatico o dal personale della missione (ad es. addetto militare). Piuttosto si faccia il caso dello spionaggio ai danni della missione diplomatica straniera ad opera dello stato ospite, mediante l’introduzione di congegni elettronici nei locali della missione. È quanto avrebbero fatto i servizi americani nei confronti dell’ambasciata italiana a Washington (e delle sedi diplomatiche di altri governi alleati), secondo le rivelazioni di Snowden, poi smentite dalle nostre autorità (almeno per ora).

In questo caso vi sarebbe una flagrante violazione dell’art. 22 della Convenzione di Vienna, secondo cui i locali della missione sono inviolabili. Ma vi è di più. Probabilmente lo spionaggio ai danni della missione diplomatica realizzato senza intrusione di congegni nei locali della missione, ma con apparecchiature esterne potrebbe realizzare una violazione della “pace della missione” ed un’offesa alla sua “dignità”, anche queste vietate dallo stesso articolo della Convenzione di Vienna.

Lo stato in violazione del diritto internazionale dovrebbe riparare l’illecito e addirittura dare “garanzie e assicurazioni di non ripetizione”! Si aprirebbe addirittura la strada di un ricorso alla Corte internazionale di giustizia nei confronti di quegli stati che, come gli Stati Uniti, hanno ratificato il Protocollo facoltativo alla Convenzione di Vienna sulle relazioni diplomatiche.

Quanto affermato nei confronti dello spionaggio ai danni delle missioni diplomatiche, vale in linea di principio anche per le organizzazioni internazionali, ma una sua precisa configurazione dipende dall’accordo di sede stipulato con l’organizzazione internazionale dallo stato ospite.

A parte la questione delle missioni diplomatiche, lo spionaggio in tempo di pace costituisce una violazione della sovranità territoriale quando l’agente straniero penetri in territorio altrui ed operi clandestinamente senza il consenso dello stato territoriale. In tal caso egli non può invocare nessuna immunità dalla giustizia locale, tranne che sia un agente diplomatico.

Nemmeno è ammissibile l’osservazione aerea tornata in auge con l’uso di droni, in assenza di una disposizione permissiva stabilita nei trattati sul controllo degli armamenti. Né costituisce un esempio il Trattato sui cieli aperti del 1992, entrato in vigore 10 anni dopo, che autorizza gli stati parte a sorvolare il territorio di un’altra parte allo scopo di condurre voli di osservazione.

L’acquisizione di dati effettuata a partire da spazi non soggetti alla sovranità di alcuno è libera. Così non costituisce violazione alcuna dell’altrui sovranità territoriale l’osservazione satellitare oppure l’acquisizione di informazioni sensibili operata da navi in alto mare.

Cyberspionaggio
Ma l’aspetto più inquietante delle rilevazioni di Snowden riguarda l’acquisizione di dati che il progresso tecnologico rende possibili senza la dislocazione di agenti in territorio altrui e quindi senza violare fisicamente la sovranità territoriale di uno stato straniero. La cosa non è nuova. Già nel 1988 un rapporto del Parlamento europeo sottolineava la quantità di dati captati dagli Stati Uniti. Quindi molti anni prima di Echelon.

La manipolazione tecnologica può essere usata per scopi militari al fine di infliggere danni al nemico (ad es. l’accecamento delle sue difese) e rientra nel concetto di cyber war. Ma può essere usata anche per acquisire informazioni sensibili di natura militare oppure per combattere la criminalità o il terrorismo internazionale.

Non è chiaro o non è stato ancora definitivamente acquisito quanto e come i grandi gestori delle reti collaborino con le organizzazioni di intelligence. Orbene tale attività può costituire una violazione del diritto statale (es. violazione della privacy), ma difficilmente del diritto internazionale generale. La questione dovrebbe quindi essere affrontata sotto il profilo dei diritti umani e il diritto alla riservatezza della corrispondenza ed alla libertà da illegittime interferenze nella propria vita privata.

Esempi già esistono. Nel quadro del Consiglio d’Europa è stata stipulata nel 1981 una Convenzione sulla protezione dei dati personali e della privacy ed un protocollo addizionale nel 2001. Guidelines sono state adottate nell’ambito dell’Ocse (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico). L’elenco potrebbe continuare. Un discorso codificatorio andrebbe quindi affrontato a livello universale sotto il profilo della tutela della privacy come diritto dell’uomo.

In conclusione, solo lo spionaggio in tempo di guerra ha una precisa regolamentazione in diritto internazionale. Lo spionaggio in tempo di pace non è invece oggetto di una autonoma disciplina. Vi sono tuttavia norme ad hoc che hanno per oggetto settori ben determinati e riguardano la trasgressione della sovranità territoriale o la violazione delle relazioni diplomatiche.

Altre attività non ricadono sotto la previsione di alcuna proibizione come quelle condotte nello spazio extra-atmosferico (i c.d. satelliti-spia) o in alto mare. Per tutte queste attività non è realistico pensare ad una disciplina unitaria. Resta invece possibile pensare ad una regolamentazione dell’acquisizione illegale di dati nella rete, dimensionata sotto il profilo della tutela della privacy come diritto dell’uomo. In tale contesto sono sempre possibili (realistiche) eccezioni a tutela della sicurezza e della sovranità degli stati.

Natalino Ronzitti è professore emerito di Diritto internazionale (LUISS Guido Carli) e Consigliere scientifico dell'Istituto Affari Internazionali.

Fonte: Istituto Affari Internazionali.
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martedì 16 luglio 2013

Un Ruolo dell'EU in Caucaso?

Juggling Security, Democracy and Development in the Caucasus: What Role for the EU?, by N.Mikhelidze


The EU's premise in its engagement in the various conflicts besetting the South Caucasus has been its endorsement of the metropolitan state's territorial integrity and thus its non-recognition of the de facto independence of Abkhazia, South Ossetia and Nagorno-Karabakh. Within this framework, the EU's governance initiatives in the South Caucasus have focused on the promotion of democracy. In the EU's view, conflict resolution will c ome about in the long-run if Georgia and Azerbaijan become more attractive for the separatist entities. However, instead of real democracy promotion, what we have observed from the EU's side has been the accommodation of local forms of governance.

sabato 6 luglio 2013

Italia: la diversificazione degli approvvigionamenti energetici

Trans Adriatic Pipeline
Il gas del Mar Caspio arriva in Italia 
Nicolò Sartori
28/06/2013Fonte I.A.I.
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Voci sempre più insistenti da Baku, in Azerbaigian, indicano che il consorzio di Shah Deniz II ha scelto la rotta meridionale come percorso per trasportare il gas del Mar Caspio in Europa. Attraverso la Trans-Adriatic Pipeline (Tap), quindi, le risorse dell'Azerbaijan arriveranno in Italia, contribuendo in modo significativo ad ampliare le fonti di approvvigionamento del nostro paese e a rafforzarne la sicurezza energetica.

Il gas azero potrà modificare la posizione dell’Italia nel mercato energetico europeo, trasformandola potenzialmente in quell’hub del gas naturale che la stessa Strategia energetica nazionale (Sen) identifica come un obiettivo primario del paese.

Diversificazione
A partire dal 2019 il giacimento di Shah Deniz II - operato dalla britannica BP e dalla norvegese Statoil - fornirà al mercato italiano 10 miliardi di metri cubi (Bcm) di gas naturale trasportati attraverso Grecia e Albania dal gasdotto Tap. Il gas azero andrà ad aggiungersi ai volumi provenienti dagli storici partner energetici dell’Italia, Algeria, Russia e Libia, ai quali negli ultimi anni - grazie all’espansione del mercato Lng (Liquefied natural gas) - si è aggiunto il Qatar.

L’accesso diretto ai giacimenti del Mar Caspio rappresenta un risultato strategico per l’Italia, frutto soprattutto dalla bontà tecnica ed economico-commerciale della proposta avanzata da Tap al consorzio Shah Deniz e al governo azero, ma anche risultato delle iniziative del governo italiano che - cambiando in corsa la propria posizione nei confronti del Corridoio Sud - ha posto la tutela dell’interesse energetico nazionale come obiettivo primario della sua azione.

In prospettiva, l’iniziale successo potrebbe avere effetti di più ampia portata. La scelta di Tap, contribuisce infatti a consolidare la posizione italiana nei mercati energetici del mar Caspio anche in vista dei futuri volumi di gas estratti dai giacimenti azeri di Absheron e Umid e - nel lungo periodo - dell’ingresso sul mercato del gas turkmeno. Il gasdotto guidato da Statoil, infatti, ha una struttura flessibile, e con l’aggiunta di stazioni di compressione lungo il suo percorso potrà incrementare la sua capacità di trasporto fino ad un massimo di 20 Billion cubic meters (Bcm) annui.

Transito o hub?
Il gas azero, oltre a rafforzare significativamente la politica di diversificazione degli approvvigionamenti energetici storicamente perseguita dall’Italia, rappresenta un fattore fondamentale per permettere al paese di diventare un hub di riferimento per il mercato del gas dell’Europa meridionale. Tale obiettivo, identificato come una delle sette priorità d’azione da parte della Sen adottata a marzo dal governo Monti, si inquadra bene rispetto al traguardo fissato in ambito europeo per la realizzazione del mercato unico del gas entro il 2014.

È tuttavia fondamentale chiarire quale sia, nella realtà, la differenza tra un hub del gas ed un semplice paese di transito attraverso il cui territorio vengono trasportati volumi di gas destinati ad altri mercati europei. L’hub del gas, per poter svolgere il suo ruolo, deve dotarsi di una serie di infrastrutture ridondanti e di meccanismi di scambio efficienti, che gli permettano di diventare un riferimento - in termini di capacità, trasporto e prezzi - per chiunque abbia la necessità di vendere ed acquistare determinati quantitativi di gas naturale.

Con la diminuzione del ruolo dei contratti take or pay (a lungo termine) in Europa, e la correlata espansione delle contrattazioni sui mercati spot, la capacità italiana di proporsi come punto di riferimento per il trading fisico e virtuale in ambito europeo, non soltanto potrà contribuire a migliorare la concorrenza interna e a ridurre i prezzi del gas per i consumatori italiani, ma sarà anche in grado di generare margini di profitto per shipper e intermediari.

Mosse necessarie
Trasformare un paese fortemente dipendente dalle importazioni in un hub del gas di riferimento per l’Europa richiede, ovviamente, l’attuazione di una serie di misure e interventi mirati. L’iniziativa, in questo senso, spetta innanzitutto al decisore politico nazionale, che sarà tuttavia chiamato a lavorare in forte sinergia e con il supporto degli operatori energetici attivi (o desiderosi di entrare) in Italia.

La trasformazione del paese in hub del gas richiede, innanzitutto, infrastrutture per il trasporto e lo stoccaggio di gas che siano ridondanti e altamente interconnesse, tanto in territorio nazionale quanto verso l’estero. A ciò, si aggiunge la necessità di rafforzare la capacità in contro-flusso (reverse flow) della rete di trasporto italiana verso i mercati nord europei, e la capacità di recezione per le forniture di Lng, anche in vista di potenziali approvvigionamenti provenienti dal mercato americano.

Durante il suo breve mandato il governo Monti - a partire dalla separazione di Snam da Eni, fino ad arrivare ai due decreti ministeriali dello scorso febbraio sull’assegnazione delle capacità di stoccaggio di modulazione e quelle associate ai servizi di rigassificazione - ha lavorato intensamente in questo senso, con l’obiettivo finale di rafforzare il processo di liberalizzazione del settore del gas italiano e di integrare completamente quest’ultimo nel mercato europeo.

Il futuro dell’Italia come punto di riferimento per il mercato europeo del gas sarà pertanto determinato dai risultati delle iniziative avviate dal precedente governo, e da come - sulla scia di quest’ultime - il nuovo esecutivo opererà per garantire quel level playing field necessario a promuovere la competizione tra i diversi operatori energetici e al completo dispiegamento dei meccanismi di mercato.

In questo contesto l’impulso europeo - con le normative introdotte dalla Dg Energia e il ruolo di coordinamento e controllo affidato all’Agenzia per la cooperazione fra i regolatori nazionali dell’energia (Acer) - sarà ancora una volta fondamentale per permettere all’Italia di raggiungere il suo obiettivo.

Nicolò Sartori è ricercatore presso l'Area Sicurezza e Difesa dello Iai.
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Europa: intelligence e defence. Italia. Croazia. Russia. Turchia

Croazia

IDU 54 Croazia

La Croazia ha reso noto di aver scelto di procedere al refit dei suoi Mig-21 quale nuova piattaforma da difesa aerea. Il contratto per la riparazione e l’aggiornamento di 7 Mig-21, già in carico all’Aeronautica Croata, è stato assegnato all’azienda statale ucraina Ukrspecexport. Materialmente, gli interventi sui velivoli saranno eseguiti da personale della Odesa Aircraft Repair Plant Odesaviaremservis nello stabilimento dell’omonima città. In aggiunta al refit dei Mig-21 esistenti, il contratto prevede anche la fornitura di ulteriori 5 Mig-21 modernizzati, attualmente di proprietà della stessa Odesaviaremservis. Il valore complessivo dell’accordo è stimato in 10,5 milioni di euro. La scelta croata è stata dettata esclusivamente da ragioni politiche ed economiche. Infatti, il Mig-21, per quanto sottoposto ad upgrade, rappresenta una piattaforma ormai molto datata, ma consente al Paese di non dover dipendere dagli alleati NATO per ! la difesa dello spazio aereo come la vicina Slovenia. In più, la scelta di continuare ad utilizzare tale velivolo, è l’unica compatibile con le attuali disponibilità di budget del Paese che ha escluso l’acquisto di piattaforme usate di origine NATO anche per non affrontare ulteriori costi di addestramento del personale e di acquisizione di nuovi materiali per il supporto logistico. Certo, la decisione di puntare ancora su materiale di origine ex-sovietica allunga i tempi per una reale interoperabilità e standardizzazione dell’Aeronautica Croata con le omologhe realtà dell’Alleanza Atlantica.


Italia

IDU 54 Italia bis
Il Salone di Le Bourget 2013 è stato l’occasione per presentare lo stato di avanzamento del nuovo MC-27J Spartan che Alenia Aermacchi sta sviluppando in collaborazione con ATK. Il velivolo si caratterizza per la concezione modulare, flessibile e multi-missione che ne fa un vero moltiplicatore di forze capace di svolgere una gamma completa di missioni che spaziano dal Comando e Controllo, alle attività ISR (Intelligence, Surveillance, Reconnaissance) all’attacco diretto. La novità della soluzione proposta dall’MC-27J è data dalla possibilità di adattare il velivolo ad una specifica attività attraverso l’imbarco di appositi pallet di missione che consentono in poche ore di riconfigurare lo stesso velivolo a seconda delle esigenze. Nella versione gunship presentata al salone, il velivolo era equipaggiato con un modulo Ro-Ro (Roll-on Roll-off), installabile in 4 ore, contenente il cannone ATK Gau-23 da 30 mm (cadenza 200 colpi/min) con! doppio sistema di alimentazione e due console per gli operatori (osservatore e cannoniere). La componente avionica del velivolo è stata incrementata per sostenere le nuove missioni e comprende una torretta con sensori elettro-ottici e infrarossi (sotto il muso sul lato sinistro), nuovi schermi aggiuntivi per i piloti per una maggiore consapevolezza della situazione e due videocamere installate sull’arma e collegate ad un registratore DVR. L’MC-27J ha recentemente terminato la prima fase di test a terra e in volo presso la Base dell’Air Force di Eglin in Florida sotto l’occhio interessato dell’Air Force Special Operation Command (AFSOC). E’ previsto che il velivolo adesso affronti la seconda fase di sviluppo che porterà alla definizione della configurazione avionica e sensoristica definitiva e all’integrazione di munizioni guidate di precisione. La nuova versione del velivolo potrebbe aprire interessanti scenari export per il velivolo visto che permetterà a di! versi Paesi di poter disporre di un set di capacità che attualmente è prerogativa solo delle versioni speciali del più grande e costoso C-130J. Inoltre, grazie alla concezione modulare, la configurazione MC-27J è disponibile anche come retrofit per quei clienti che hanno già acquistato il velivolo.

Russia

IDU 54 Russia
Il 26 giugno è stato annunciato dal Generale Viktor Bondarev che l’Aeronautica Russa nei prossimi mesi aprirà una base aerea in territorio Bielorusso nell’ambito degli accordi di mutua difesa che legano i due Paesi. L’installazione sarà ubicata nella città di Lida strategicamente situata a poca distanza dai confini con Polonia e Lituania e diverrà la sede di un reparto di SU-27 SM3. Tale velivolo è l’ultima versione multiruolo del SU-27, sviluppata a partire dal 2009 per le esigenze dell’Aeronautica Russa e si caratterizza per il peso al decollo aumentato di 3 tonnellate, ulteriori punti di attacco per l’armamento, nuovi motori AL-31F-M1, ECM aggiornate e nuovo glass cockpit. Il Su-27 SM3 oltre al classico armamento aria aria, è in grado anche di impiegare efficacemente munizionamento di precisione per attacchi al suolo. La scelta russa di schierare velivoli così performanti direttamente a ridosso dei Paesi NATO rientra nella! nuova stagione di ripristino del pattugliamento aereo dei confini del Paese anche al fine di testare il livello di reattività del sistema di difesa aerea dell’Alleanza Atlantica.

 

Turchia

IDU 54 Turchia
La gara per la fornitura di un nuovo sistema missilistico da difesa aerea per la Turchia, ribattezzata T-Loramids del valore di circa 4 miliardi di dollari, sta generando notevole sorpresa a livello internazionale. Le previsioni ritenevano che sarebbe stata una sfida a due tra i sistemi Patriot PAC-3 di Raytheon e il SAMP/T in configurazione anti ATBM del consorzio EUROSAM. Invece, pare che il sistema attualmente meglio posizionato sia l’HQ-9 cinese (FD-2000 per l’export) che, assieme al russo S-300, era visto solo come un outsider. L’HQ-9 è stato proposto dalla China Precision Machinery Import-Export Corporation (CPMIEC) e sembra aver incontrato i favori turchi per via della sicura convenienza economica, la maggiore propensione al trasferimento di tecnologia da parte della controparte cinese e il soddisfacente livello di prestazioni. Il sistema HQ-9 nasce come una variante autoctona cinese del sistema SAM S-300 PMU (SA-20 Gargoyle) di co! ncezione russa e si caratterizza per una gittata contro bersagli aerei di circa 125 km e una quota operativa di 27 km. L’HQ-9 ha anche la capacità di intercettare missili cruise e missili balistici di teatro in un range di 25 km. Tipicamente una batteria è composta da un radar di scoperta Type 305B, un radar di tracking, 8 lanciatori (di tipo TEL) a quattro celle per un totale di 32 missili pronti al lancio oltre ad un veicolo generatore di elettricità. La decisione definitiva dev’essere ancora presa dal Ministro della Difesa Ismet Yilmaz e dal Premier Recep Tayyip Erdogan, il che può far supporre che si tratti di una strategia per cercare di ottenere condizioni migliori dai competitor occidentali. In ogni caso, la pre-selezione del sistema SAM cinese ha messo in allarme la NATO, la quale ha ricordato alla Turchia che, se effettivamente provvederà ad ordinare l’HQ-9, esso non sarà integrabile con la rete di sorveglianza e difesa aerea dell’Alleanza Atlantica per ! ovvie ragioni di segretezza relative soprattutto ai sistemi di identificazione IFF (Identification Friend or Foe- Identificazione Amico o Nemico). L’eventuale finalizzazione dell’ordine per l’HQ-9 segnerebbe un nuovo corso della Turchia rispetto alla tradizionale linea filo-atlantica finora perseguita per le principali acquisizioni militari e la prima affermazione di rilievo su un mercato internazionale per l’export missilistico cinese.
 Fonte C.E.S.I.   N. 154   per contatti   geografia2013@libero.it

Europa: Le elezioni in Germania del prossimo settembre

Oggetto Newsletter : Speciale Germania: Verso le elezioni di settembre
Newsletter n° 260 , 2 luglio 2013

Mercoledì 3 luglio 2013
seminario su:

IL VOTO IN GERMANIA E L'EUROCRISI
Le elezioni che possono cambiare l'Europa

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Europa tedesca o Germania europea? - Paolo Pombeni
Europa tedesca o Germania europea? Il famoso dilemma lanciato da Thomas Mann nel 1953 agli studenti dell’università di Amburgo e risolto ovviamente a favore del secondo corno sembra riproporsi oggi, sia pure in termini piuttosto diversi da quelli a cui alludeva l’autore dei Buddenbrook...
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La metamorfosi del modello tedesco - Angelo Bolaffi
All’inizio di questo millennio, la Germania era “il malato d’Europa”: un paese in crisi che non sembrava in grado di riprendersi dallo shock della riunificazione. Basso tasso di crescita, alto tasso di disoccupazione e un debito pubblico fuori controllo a fronte di un preoccupante calo degli investimenti privati...
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Ipoteca tedesca sull'Europa - Gian Enrico Rusconi
Se fossimo in Italia, le elezioni tedesche del 22 settembre sarebbero subito etichettate come un plebiscito -horribile dictu per i tedeschi - pro o contro la cancelliera Angela Merkel che gode di un prestigio popolare transpartitico, essendo considerata la garante della sovranità politica tedesca in Europa e nel mondo...
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