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Metodo di Ricerca ed analisi adottato

Medoto di ricerca ed analisi adottato
Vds post in data 30 dicembre 2009 sul blog www.coltrinariatlanteamerica seguento il percorso:
Nota 1 - L'approccio concettuale alla ricerca. Il metodo adottato
Nota 2 - La parametrazione delle Capacità dello Stato
Nota 3 - Il Rapporto tra i fattori di squilibrio e le capacità delloStato
Nota 4 - Il Metodo di calcolo adottato

Per gli altri continenti si rifà riferimento al citato blog www.coltrinariatlanteamerica.blogspot.com per la spiegazione del metodo di ricerca.

martedì 24 settembre 2013

Italia: una politica estera tutta da comprendere

Crisi in Medioriente
Siria, Italia non allineata
Roberto Aliboni
30/08/2013
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L’intervento punitivo che l’amministrazione Obama vorrebbe effettuare contro la Siria ha una base legale debole, non tanto perché manchino i motivi (l’impiego delle armi chimiche e la necessità di sovvenire alla responsabilità di proteggere la popolazione) ma perché manca il mandato del Consiglio di Sicurezza.

Inoltre, a differenza di casi precedenti, manca quel largo consenso internazionale che, a dispetto della dubbia legalità, dettero “legittimità” a interventi come quello in Kosovo. Sulla questione aleggia anche il precedente delle “prove” esibite nel 2003 all’Onu dall’allora segretario di stato statunitense Colin Powell sull’esistenza delle armi nucleari dell’Iraq che si rivelarono poi inesistenti.

Così, il parlamento britannico ha costretto il primo ministro David Cameron, sostenitore in prima linea dell’intervento, a fare marcia indietro. Ugualmente, il presidente francese François Hollande, smarcandosi dall’interventismo della prima ora del ministro degli esteri Laurent Fabius, parla della necessità di avere luce verde dall’Onu, schierandosi con la Germania.

La Lega Araba, diversamente da quello che accadde con la Libia, sostiene l’intervento ma nessun paese arabo desidera entrare nella coalizione militare destinata ad effettuarlo. La maggior parte dei paesi europei è contraria o perplessa e così le loro opinioni pubbliche. L’Italia non sostiene l’intervento, né tanto meno intende parteciparvi. Obama, rimasto solo e intrappolato nelle sue incaute red lines, prenderà le sue decisioni.

Vale la pena di riflettere sul merito della questione e sulla posizione dell’Italia. Posizione che è insolita rispetto al passato, rispetto al dibattito e alle profonde divisioni che in casi analoghi si sono avuti fra le forze politiche e rispetto al significato che nella sua politica estera ha guadagnato la cospicua presenza internazionale realizzata sin dall’inizio degli anni ‘80 con le missioni militari.

Occorre prendere in considerazione due aspetti. Da un lato, il senso di questa posizione nei confronti della specifica azione militare che gli Stati Uniti potrebbero decidere di perseguire: questo significa appunto entrare nel merito della questione chiedendosi se tale azione ha senso rispetto alla situazione in Medio Oriente e merita un appoggio oppure no.

Dall’altro, il significato che la posizione italiana riveste nell’ambito più generale della sua politica estera, cioè oltre che verso il Mediterraneo e il Medio Oriente, verso l’Europa e gli Stati Uniti, vale a dire il sistema di alleanza cui appartiene.

Troppo tardi
La lezione a suon di missili di crociera che gli Stati Uniti potrebbero dare alla Siria potrà pure infliggere gravi danni, ma non riuscirebbe a cambiare le carte della partita politica in corso. Questo sarebbe stato possibile durante la prima fase del conflitto. L’occasione è ormai passata poiché il fronte dei ribelli invece di consolidarsi politicamente e militarmente si è frammentato in blocchi contrapposti che già cominciano cospicuamente a combattersi fra di loro.

D’altra parte, le forze lealiste si sono rodate e rafforzate. L’appoggio politico esterno da parte della Russia, dell’Iran e degli sciiti libanesi ed iracheni, che all’inizio era ancora confuso e debole, si è trasformato in flussi regolari di risorse, armi e uomini ed è diventato per gli stessi alleati della Siria un impegno politico che non potrà essere certamente infranto dalla salva di cruise che la Casa Bianca invierà.

Il conflitto siriano è regionale e la sua posta è diventata molto più alta che agli inizi. Per avere un impatto occorre a questo punto entrare nel conflitto, se non direttamente almeno con un piano di alleanze sul terreno, addestramento, assistenza ai profughi e fornitura di armi di rilievo ben più ampi di quanto sia accaduto finora. Ma gli Stati Uniti e i paesi occidentali non vogliono entrare nel conflitto, probabilmente per ottime ragioni, e quindi la pioggia di cruise è destinata a restare un gesto, forse anche un bel gesto, ma nulla di più.

Nessuna vittoria desiderabile 
Il conflitto siriano si è evoluto in modo tale da non avere nessuna prospettiva desiderabile dal punto di vista occidentale. Non è desiderabile la vittoria di Assad, perché, oltre a confermare al potere un regime altamente tirannico e ormai fermamente anti-occidentale, rafforzerebbe il fronte iraniano e sciita dei nemici dell’Occidente e ne indebolirebbe gli alleati.

Non è desiderabile la vittoria dei ribelli, perché questi sono destinati a combattersi tra loro e in maggioranza appartengono a fazioni estremiste e anti-occidentali. In questo senso è vero quello che pensano molti governi, incluso quello italiano: il conflitto può avere solo una soluzione politica.

Tuttavia, la soluzione politica del conflitto è solo formalmente siriana poiché in realtà riguarda l’intera regione. Per avere un impatto militare, gli occidentali dovrebbero entrare nel conflitto. Per avere un impatto politico, dovrebbero avere una strategia che riguardi l’intera regione.

Strategia mancante
Questa strategia manca. La politica egiziana è fallita non essendo riuscita a trasformare i Fratelli Musulmani in una efficace forza di governo. Così, l’Occidente è rimasto senza quella forza politica moderata che sarebbe essenziale a un’evoluzione della regione in linea con i suoi interessi. I Fratelli Mussulmani radicalizzati, in compagnia di salafiti e jihadisti, sono un problema in più, non certo una soluzione.

D’altra parte, la politica iraniana è rimasta ferma ai negoziati nucleari mentre richiederebbe una visione e un impegno più vasti. Per inciso, si deve anche osservare che il bombardamento della Siria ci impedirà di sapere se, com’era possibile, la nuova leadership iraniana aveva delle iniziative politiche di un qualche interesse.

Questa debolezza di iniziativa politica da parte dell’Occidente riflette il fatto che fondamentalmente gli Stati Uniti vogliono sganciarsi dalla regione, probabilmente sottovalutando gli interessi che continuano ad averci, mentre gli europei sono troppo assorbiti nella loro crisi per essere realmente interessati al Medio Oriente.

Il conflitto siriano non ha una soluzione militare - come ha affermato giustamente il ministro Emma Bonino - ma è anche vero che la posizione di fondo dell’Occidente fa ritenere che forse non ha neppure una soluzione politica. Questo soluzione, occorre aggiungere, è anche fortemente ostacolata dall’assenza di ogni spirito di compromesso, specialmente da parte dei contendenti.

Inedita posizione italiana
Poiché il bombardamento della Siria non sembra avere né un senso politico né uno militare, né poter cambiare le carte in tavola, la posizione italiana ha quindi una sua razionalità. La posizione italiana, - e così veniamo al secondo punto del nostro argomento - lascia un po’ perplessi nei termini della politica estera generale del paese.

Finora l’Italia, sia pure con l’opposizione di varie forze, sia nel Parlamento sia nella società civile, ha realizzato una presenza di alto profilo nelle missioni all’estero, facendo di queste missioni il punto di leva per battere un marginalità internazionale sempre in agguato.

La posizione attuale, che non prevede una partecipazione all’intervento neppure se ci fosse un mandato del Consiglio di Sicurezza e neppure la concessione dell’utilizzo delle basi italiane (ma se l’intervento finisce nelle mani della Nato?) da parte alleata, è un cambiamento improvviso e radicale.

È anche singolare che la decisione del governo non abbia suscitato nessuna significativa opposizione da parte dei partiti e degli ambienti più attaccati alle alleanze tradizionali. È questo il risultato dell’estrema debolezza politica ed economica del paese? Che cosa significa a lungo termine questo non allineamento di un paese solitamente allineato? Che cosa significa nella già difficile posizione europea dell’Italia?

La posizione del governo non ha alle spalle nessun dibattito. Invece, un dibattito fra le forze politiche e nel paese, per quanto assorbente possa essere la difficile congiuntura nazionale, sembra necessario.

Roberto Aliboni è consigliere scientifico dello Iai.
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Unione Europea: aspetti della Difesa

Integrazione europea 
I nuovi orizzonti dell’Europa della difesa
Michele Nones
04/09/2013
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Il Consiglio europeo del prossimo dicembre affronterà per la prima volta il tema della difesa europea. Per definire la strategia per l’integrazione del mercato europeo della difesa, il 24 luglio la Commissione ha pubblicato la Comunicazione “Verso un settore della difesa e della sicurezza più concorrenziale ed efficiente” dopo un lungo ed inedito confronto informale con gli Stati membri e con l’industria, che ha coinvolto anche l’Agenzia Europea di Difesa.

Tra accelerazioni e frenate
Come sempre avviene nel complesso quadro istituzionale e politico europeo, si sono manifestate diverse posizioni. Due i poli estremi del dibattito: da un lato chi spinge per un’accelerazione del processo di integrazione del mercato europeo della difesa nel quadro di una strategia di rafforzamento delle capacità comuni di difesa. Dall’altro chi è preoccupato soprattutto per il maggiore ruolo che acquisirebbero la Commissione e la dimensione comunitaria nel campo della difesa e della sicurezza a discapito degli Stati membri e dell’odierna dimensione prevalentemente nazionale e parzialmente intergovernativa.

Un’altra novità è il Documento di lavoro della Commissione che accompagna la Comunicazione. Il documento presenta una puntuale e aggiornata analisi del mercato europeo e, in particolare, della sua base industriale, confermandone l’importanza per il mantenimento delle capacità tecnologiche e industriali europee, ma sottolineando anche il rischio di un loro indebolimento.

Mercato di difesa comune
La Comunicazione prende le mosse proprio dall’attuale quadro del mercato europeo della difesa, evidenziandone le debolezze e i rischi di fronte alle nuove sfide internazionali. Di qui le proposte della Commissione per rafforzare la base industriale tecnologica della difesa e contribuire, in questo modo, al miglioramento delle capacità europee.

Di particolare interesse è la parte della Comunicazione che riguarda le regole del mercato della difesa. Le due direttive del 2009 non sono state ancora pienamente attuate. Una parte significativa delle acquisizioni avviene infatti al di fuori delle regole europee o utilizzando le esenzioni previste per alcune specifiche tipologie di acquisti.

Inoltre, continua a esserci una forte propensione agli acquisti nazionali che complica l’adozione di scelte basate sulla competizione. Resta, infine, scoperto il fronte della sicurezza degli approvvigionamenti perché il controllo degli investimenti esteri è messo in atto solo da alcuni paesi e ciascuno si limita a valutarli in un’ottica esclusivamente nazionale senza alcun riferimento alle possibili conseguenze sul piano europeo.

Di qui l’intenzione della Commissione di attivare un più stretto monitoraggio sull’applicazione della normativa (e, in particolare, sul ricorso alle deroghe) e, insieme, di avviare una riflessione comune sulla sicurezza degli approvvigionamenti.

Più indietro è invece la semplificazione dei trasferimenti intracomunitari da parte di molti Stati membri, fra cui l’Italia. Il nuovo sistema di controllo può, però, essere efficace solo se quasi tutti i paesi europei lo applicano. Questo è indispensabile anche per spingere le grandi e medie imprese a chiedere la loro certificazione: è una scelta volontaria che deve essere incentivata mostrandone i vantaggi e questo presuppone un’applicazione generale e ampia della licenza generale.

Quest’ultima è però demandata agli Stati membri con il rischio di creare una torre di Babele che ne può compromettere l’utilizzo. È quindi necessario un maggiore coordinamento fra gli Stati per favorire un effettivo ed efficace utilizzo del sistema della licenza generale.

Competitività e innovazione
La seconda parte della Comunicazione riguarda le misure a sostegno della competitività dell’industria della difesa. Oltre all’obiettivo di pervenire alla definizione di standard e certificazioni comuni a livello europeo, vi è l’impegno a favore delle piccole e medie imprese, definite “il cuore dell’innovazione della difesa europea”.

L’obiettivo è quello di rafforzare la collaborazione delle piccole e medie imprese con università, centri di ricerca e grandi imprese per valorizzarne il contributo alla crescita tecnologica. È un tema su cui alcuni paesi, soprattutto Francia e Regno Unito, si stanno già da tempo impegnando a livello nazionale, mentre proprio l’Italia, in cui le piccole e medie aziende sono più diffuse, non ha ancora messo in atto misure specifiche.

Una terza parte della Comunicazione riguarda la ricerca volta a rafforzare l’innovazione. La crescita tecnologica del mercato civile e l’ingresso dell’elettronica in ogni produzione e prodotto rende oggi possibile un più ampio utilizzo di componenti e parti commerciali nei sistemi d’arma.

Questo implica però che siano individuati e sostenuti anche alcuni filoni tecnologici di maggiore interesse per il settore della difesa e della sicurezza. Il prossimo avvio del nuovo Programma quadro europeo della ricerca denominato Horizon 2020 offre l’occasione per assicurare le risorse necessarie.

La Commissione intende sostenere in primis tre aree: la protezione Nbcr (nucleare, batteriologica, chimica, radiologica), i velivoli a pilotaggio remoto e le comunicazioni basate sulla tecnologia della software defined radio. Inoltre, vuole avviare un programma preliminare di ricerche volte a dare sostegno, per la prima volta, alla politica comune di difesa e sicurezza europea.

Spazio ed energia
La Comunicazione dedica poi una quarta parte ai settori di spazio ed energia. Anche in questo caso è la prima volta che viene manifestata la volontà di avviare nuovi programmi europei a sostegno delle capacità comuni nel campo della protezione delle infrastrutture satellitari, comunicazione e osservazione. È anche la prima volta che viene esplicitamente riconosciuta da parte della Commissione l’importanza delle applicazioni spaziali per la difesa e la sicurezza dell’Europa.

L’obiettivo è quello di affiancare le capacità nazionali di alcuni pochi paesi europei, fra cui l’Italia, con queste nuove iniziative comuni. L’unico neo è che non si sottolinea che l’Europa deve anche garantirsi strategicamente un’autonoma capacità di accesso allo spazio, senza la quale sarebbe limitata la sua indipendenza anche in campo satellitare.

Per l’energia, invece, è prevista la messa a punto di specifiche misure di risparmio tenendo conto dell’elevato consumo energetico delle strutture militari.

Per concretizzare questi obiettivi la Commissione prevede la costituzione di un nuovo meccanismo di consultazione con gli Stati membri, associandovi anche l’Agenzia europea di difesa e il Servizio per l’azione esterna.

Anche questa è un’importante novità. Da una parte, si riconosce che una strategia complessiva deve essere coordinata con le iniziative promosse dai singoli paesi nell’ambito delle competenze previste dal Trattato. Dall’altra, si ammette che la Commissione ha bisogno dell’esperienza accumulata soprattutto dai paesi più impegnati nel campo della difesa. In questo più stretto clima di collaborazione saranno definite sia le priorità sia i contenuti delle nuove iniziative previste dalla Comunicazione.

La strategia della Commissione rappresenta una sfida ambiziosa, soprattutto tenendo conto delle difficoltà attraversate dall’Unione sia sul piano politico sia su quello economico. Ma conferma anche che l’Europa della difesa deve andare avanti se non vuole rischiare di tornare indietro.

Spetta ora agli Stati membri, e soprattutto ai maggiori, fra cui l’Italia, assumersi le proprie responsabilità in sede di Consiglio europeo. Il governo italiano sembra molto determinato a parteciparvi attivamente e positivamente. Auguriamoci che il quadro politico interno non lo distragga e non ne mini l’azione e la credibilità.

Michele Nones è Direttore dell’Area Sicurezza e Difesa dello IAI.
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