Autodeterminazione Elena Marisol Brandolini 12/07/2013 |
C’è un quartiere, nel centro antico di Barcellona, che è un luogo simbolo nella storia moderna del popolo catalano. Si tratta del Born, un’area che si estende attorno all’omonimo Passeig, il Mercato e la chiesa di Santa Maria del Mar.
Proprio all’interno della struttura del mercato di epoca modernista, definitivamente chiuso nel 1970, sono state rinvenute le rovine della struttura urbana di tre secoli fa, memoria degli ultimi combattimenti che portarono, nel 1714, alla capitolazione di Barcellona, lungamente assediata dai borboni di Filippo V, nella Guerra di Successione spagnola.
Un’area archeologica di ottomila metri quadrati, dove, all’epoca, sorgevano 55 case, tre taverne e due pensioni; in rappresentanza delle mille case distrutte nel quartiere per effetto dell’occupazione borbonica.
In ricordo di quella sconfitta e della perdita delle libertà che ne seguì per il popolo catalano, l’11 settembre, in Catalogna, si celebra la Diada, giorno di festa della comunità. Ora vogliono che il Born diventi un punto d’incontro della cultura e della storia catalana e un centro della memoria, che verrà inaugurato il prossimo 11 settembre. Ad un anno di distanza dalla grande manifestazione di Barcellona per l’indipendenza.
L’altro 11 settembre
Per trecento anni, la celebrazione dell’11 settembre è stato un atto di difesa. Da alcuni anni, invece, rappresenta un passo in avanti. A spiegarlo è Muriel Casals, presidente di Òmnium Cultural - un’associazione fondata nel 1961, che lavora per la promozione della lingua catalana - annunciando che il prossimo settembre una catena umana attraverserà tutto il Paese per rivendicare il diritto a decidere del popolo catalano.
Lo scorso 29 giugno Òmnium Cultural ha organizzato il “Concerto per la libertà” (Concert per la Libertat) nel campo del Barça, la squadra di calcio di Barcellona: una manifestazione a sostegno della consultazione popolare che la stragrande maggioranza della società catalana e delle forze presenti nel parlamento catalano vogliono, per decidere il futuro del rapporto tra Catalogna e Spagna. Ottantamila i presenti che, attraverso la musica, hanno sostenuto persone venute a esprimere il sogno di uno Stato indipendente.
Sul processo aperto in Catalogna vanno avanti anche le commissioni volute dalla Generalitat , l'istituzione di autogoverno della Catalogna Si è costituito il “Patto per il diritto a decidere” (Pacte pel Dret a Decidir), con la presenza di partiti, associazioni e sindacati, ma senza i socialisti catalani, che ne considerano l’esito predeterminato in senso indipendentista.
Referendum
Nel parlamento catalano si è riunita per la prima volta la commissione sul diritto a decidere, con il sostegno di tutti i partiti, ad eccezione dei popolari e di Ciutadan’s, una formazione politica di destra con rappresentanza nel parlamento catalano che ritiene che la Spagna sia una e indivisibile. Il parlamento catalano ha impegnato il governo della Generalitat a ricercare i termini del confronto con il governo spagnolo per la realizzazione di un referendum concordato e legale.
Ma non sembra di leggere nelle azioni del presidente del governo catalano, Artur Mas, un grande attivismo a questo riguardo. A complicare la situazione è anche l’atteggiamento del governo spagnolo che è stato fino ad ora di totale chiusura. Mas ha annunciato che, nei prossimi giorni, invierà una lettera al presidente del governo spagnolo, Mariano Rajoy, con all’ordine del giorno la celebrazione della consultazione referendaria.
Riforma costituzionale
Il Partit dels Socialistes de Catalunya, Psc, - stretto tra la sua antica matrice catalanista che gli impone di sostenere il diritto a decidere del popolo catalano e il legame con il Partido Socialista Obrero Español, Psoe, contrario a riconoscere altre sovranità che non siano quella del popolo spagnolo - si è espresso a favore di una proposta di riforma della Costituzione spagnola in senso federalista. È la risposta che i socialisti danno al malessere espresso con forza dalla società catalana. Un’alternativa all’ipotesi della separazione e a quella della ricentralizzazione dello Stato.
La proposta di riforma parte dall’attuale assetto statuale basato su un sistema di autonomie, introdotto in Spagna con la Costituzione del 1978, con l’ambizione di rinnovarne le caratteristiche e le funzioni fino ad evolverle verso un modello federale.
Una riforma, si legge nella Dichiarazione di Granada dello scorso 6 luglio, approvata dal Consiglio Territoriale del Psoe, che:
- nomini espressamente in Costituzione le diverse autonomie spagnole;
- definisca con chiarezza la separazione di competenze tra queste e lo Stato;
- riconosca le singolarità politiche, istituzionali, territoriali e linguistiche presenti nella mappa spagnola;
- faccia del Senato la Camera di rappresentanza territoriale;
- stabilisca un nuovo sistema di finanziamento giusto e equo, salvaguardando il principio dell’ordinalità, (ossia, che la contribuzione interterritoriale non finisca col collocare in peggiore condizione relativa chi contribuisce rispetto a chi viene beneficiato);
- istituisca un Fondo di Garanzia dello Stato Sociale, per garantire i servizi sociali di base e i diritti fondamentali all’istruzione, alla salute e alle pensioni;
- modifichi il controllo costituzionale delle riforme degli statuti di autonomia, così da non ripetersi un intervento del Tribunal Constitucional successivo all’espressione popolare per via referendaria;
- regoli e riconosca la partecipazione delle comunità autonome nel governo dello Stato e nella presenza della Spagna in Europa.
Anche se alcuni di questi aspetti, come il principio dell’ordinalità nel sistema di finanziamento o il riconoscimento dei diritti storici catalani, non sono nuovi - erano contenuti nell’Estatut catalano del 2006, approvato con referendum popolare e successivamente contestato dal Tribunal Constitucional con la sentenza del 2010 - questa è la prima volta che i socialisti spagnoli esplicitano concretamente un’opzione federalista di Stato.
Ma hanno ragione i detrattori della proposta, quando ne evidenziano due limiti. In primo luogo, il Partido Popular che governa e ha la maggioranza in parlamento, sembra del tutto ostile a considerare l’ipotesi di un’evoluzione del modello statuale spagnolo verso un assetto federale. In aggiunta, nel progetto di riforma manca un riferimento al diritto a decidere, ossia all’unione in libertà dei popoli di Spagna, tema che è invece centrale nell’attuale discussione catalana.
Il futuro dirà se l’opzione federalista ha una qualche possibilità di prosperare come ipotesi costituzionale, conquistando la maggioranza della società catalana che, anche per questo, dovrebbe avere il diritto a pronunciarsi.
Elena Marisol Brandolini è giornalista. Laureata in economia è esperta di politiche di sicurezza sociale. È autrice del volume Catalunya-Espana. Il difficile incastro.
Proprio all’interno della struttura del mercato di epoca modernista, definitivamente chiuso nel 1970, sono state rinvenute le rovine della struttura urbana di tre secoli fa, memoria degli ultimi combattimenti che portarono, nel 1714, alla capitolazione di Barcellona, lungamente assediata dai borboni di Filippo V, nella Guerra di Successione spagnola.
Un’area archeologica di ottomila metri quadrati, dove, all’epoca, sorgevano 55 case, tre taverne e due pensioni; in rappresentanza delle mille case distrutte nel quartiere per effetto dell’occupazione borbonica.
In ricordo di quella sconfitta e della perdita delle libertà che ne seguì per il popolo catalano, l’11 settembre, in Catalogna, si celebra la Diada, giorno di festa della comunità. Ora vogliono che il Born diventi un punto d’incontro della cultura e della storia catalana e un centro della memoria, che verrà inaugurato il prossimo 11 settembre. Ad un anno di distanza dalla grande manifestazione di Barcellona per l’indipendenza.
L’altro 11 settembre
Per trecento anni, la celebrazione dell’11 settembre è stato un atto di difesa. Da alcuni anni, invece, rappresenta un passo in avanti. A spiegarlo è Muriel Casals, presidente di Òmnium Cultural - un’associazione fondata nel 1961, che lavora per la promozione della lingua catalana - annunciando che il prossimo settembre una catena umana attraverserà tutto il Paese per rivendicare il diritto a decidere del popolo catalano.
Lo scorso 29 giugno Òmnium Cultural ha organizzato il “Concerto per la libertà” (Concert per la Libertat) nel campo del Barça, la squadra di calcio di Barcellona: una manifestazione a sostegno della consultazione popolare che la stragrande maggioranza della società catalana e delle forze presenti nel parlamento catalano vogliono, per decidere il futuro del rapporto tra Catalogna e Spagna. Ottantamila i presenti che, attraverso la musica, hanno sostenuto persone venute a esprimere il sogno di uno Stato indipendente.
Sul processo aperto in Catalogna vanno avanti anche le commissioni volute dalla Generalitat , l'istituzione di autogoverno della Catalogna Si è costituito il “Patto per il diritto a decidere” (Pacte pel Dret a Decidir), con la presenza di partiti, associazioni e sindacati, ma senza i socialisti catalani, che ne considerano l’esito predeterminato in senso indipendentista.
Referendum
Nel parlamento catalano si è riunita per la prima volta la commissione sul diritto a decidere, con il sostegno di tutti i partiti, ad eccezione dei popolari e di Ciutadan’s, una formazione politica di destra con rappresentanza nel parlamento catalano che ritiene che la Spagna sia una e indivisibile. Il parlamento catalano ha impegnato il governo della Generalitat a ricercare i termini del confronto con il governo spagnolo per la realizzazione di un referendum concordato e legale.
Ma non sembra di leggere nelle azioni del presidente del governo catalano, Artur Mas, un grande attivismo a questo riguardo. A complicare la situazione è anche l’atteggiamento del governo spagnolo che è stato fino ad ora di totale chiusura. Mas ha annunciato che, nei prossimi giorni, invierà una lettera al presidente del governo spagnolo, Mariano Rajoy, con all’ordine del giorno la celebrazione della consultazione referendaria.
Riforma costituzionale
Il Partit dels Socialistes de Catalunya, Psc, - stretto tra la sua antica matrice catalanista che gli impone di sostenere il diritto a decidere del popolo catalano e il legame con il Partido Socialista Obrero Español, Psoe, contrario a riconoscere altre sovranità che non siano quella del popolo spagnolo - si è espresso a favore di una proposta di riforma della Costituzione spagnola in senso federalista. È la risposta che i socialisti danno al malessere espresso con forza dalla società catalana. Un’alternativa all’ipotesi della separazione e a quella della ricentralizzazione dello Stato.
La proposta di riforma parte dall’attuale assetto statuale basato su un sistema di autonomie, introdotto in Spagna con la Costituzione del 1978, con l’ambizione di rinnovarne le caratteristiche e le funzioni fino ad evolverle verso un modello federale.
Una riforma, si legge nella Dichiarazione di Granada dello scorso 6 luglio, approvata dal Consiglio Territoriale del Psoe, che:
- nomini espressamente in Costituzione le diverse autonomie spagnole;
- definisca con chiarezza la separazione di competenze tra queste e lo Stato;
- riconosca le singolarità politiche, istituzionali, territoriali e linguistiche presenti nella mappa spagnola;
- faccia del Senato la Camera di rappresentanza territoriale;
- stabilisca un nuovo sistema di finanziamento giusto e equo, salvaguardando il principio dell’ordinalità, (ossia, che la contribuzione interterritoriale non finisca col collocare in peggiore condizione relativa chi contribuisce rispetto a chi viene beneficiato);
- istituisca un Fondo di Garanzia dello Stato Sociale, per garantire i servizi sociali di base e i diritti fondamentali all’istruzione, alla salute e alle pensioni;
- modifichi il controllo costituzionale delle riforme degli statuti di autonomia, così da non ripetersi un intervento del Tribunal Constitucional successivo all’espressione popolare per via referendaria;
- regoli e riconosca la partecipazione delle comunità autonome nel governo dello Stato e nella presenza della Spagna in Europa.
Anche se alcuni di questi aspetti, come il principio dell’ordinalità nel sistema di finanziamento o il riconoscimento dei diritti storici catalani, non sono nuovi - erano contenuti nell’Estatut catalano del 2006, approvato con referendum popolare e successivamente contestato dal Tribunal Constitucional con la sentenza del 2010 - questa è la prima volta che i socialisti spagnoli esplicitano concretamente un’opzione federalista di Stato.
Ma hanno ragione i detrattori della proposta, quando ne evidenziano due limiti. In primo luogo, il Partido Popular che governa e ha la maggioranza in parlamento, sembra del tutto ostile a considerare l’ipotesi di un’evoluzione del modello statuale spagnolo verso un assetto federale. In aggiunta, nel progetto di riforma manca un riferimento al diritto a decidere, ossia all’unione in libertà dei popoli di Spagna, tema che è invece centrale nell’attuale discussione catalana.
Il futuro dirà se l’opzione federalista ha una qualche possibilità di prosperare come ipotesi costituzionale, conquistando la maggioranza della società catalana che, anche per questo, dovrebbe avere il diritto a pronunciarsi.
Elena Marisol Brandolini è giornalista. Laureata in economia è esperta di politiche di sicurezza sociale. È autrice del volume Catalunya-Espana. Il difficile incastro.
Fonte Istituto Affari Internazionali.
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