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Metodo di Ricerca ed analisi adottato

Medoto di ricerca ed analisi adottato
Vds post in data 30 dicembre 2009 sul blog www.coltrinariatlanteamerica seguento il percorso:
Nota 1 - L'approccio concettuale alla ricerca. Il metodo adottato
Nota 2 - La parametrazione delle Capacità dello Stato
Nota 3 - Il Rapporto tra i fattori di squilibrio e le capacità delloStato
Nota 4 - Il Metodo di calcolo adottato

Per gli altri continenti si rifà riferimento al citato blog www.coltrinariatlanteamerica.blogspot.com per la spiegazione del metodo di ricerca.

giovedì 30 aprile 2015

Grecia: gli orizzonti oltre Bruxelles. Alla ricerca di nuovi creditori

Tsipras e Putin
Intese su Turkish Stream, rischi per Unione energetica
Antonio Scarazzini
23/04/2015
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Le sirene dei capitali russi sono sempre più forti per la Grecia: nel corso delle ultime settimane, il premier ellenico, Alexis Tsipras, ha infatti incontrato prima Vladimir Putin e poi l’amministratore delegato di Gazprom, Alexei Miller.

Sul tavolo degli incontri, la partecipazione di Atene a Turkish Stream, la prima vera minaccia che la Russia può portare all’unione energetica.

Turkish Stream: Vertice a Budapest 
Il mese di aprile si era aperto con un summit a Budapest fra i ministri degli esteri di Grecia, Serbia, Ungheria e Turchia. Un dialogo ristretto, guidato dall’ellenico Nikos Kotzias, diretto a trovare un accordo preliminare tra gli Stati europei che dovrebbero essere attraversati da Turkish Stream, il gasdotto che ha sostituito South Stream nelle strategie di Gazprom per portare il gas russo in Europa.

Dal Vertice ungherese Kotzias è uscito con un’intesa politica sulla “validità e affidabilità commerciale” del progetto, sufficiente a dotare Tsipras della credibilità giusta per incontrare Vladimir Putin.

Sulla carta, infatti, il ruolo della Grecia in Turkish Stream sarà tutt’altro che secondario: i 2200 km complessivi di tracciato previsti si dirameranno in due direttrici, una diretta verso la Turchia e l’altra in Europa, passando appunto per la Grecia e i Balcani.

Il flusso complessivo a regime è previsto in 63 miliardi di metri cubi, di cui oltre 47 destinati al territorio europeo e oltre 15 alla Turchia, secondo le intese strette ad Istanbul lo scorso 1̊ dicembre dai presidenti russo e turco Putin ed Erdoğan subito dopo la rinuncia a SouthStream.

Nell’accordo tra Gazprom e la compagnia nazionale turca Botas, la fine dei lavori del nuovo gasdotto è stata fissata per dicembre 2016, con il successivo avvio dei primi flussi verso la Turchia. I primi invii verso l’hub greco sono invece previsti per il 2019.

La missione di Tsipras
Atene guarda con speranza all’anticipo dei diritti di transito che, secondo stime del Wall Street Journal rafforzate con la visita ad Atene di Miller, potrebbero ammontare a 3 miliardi di euro.

Possibile, inoltre, ma non prima del 2019, uno sconto del 10% sulle tariffe di vendita del gas. Un sollievo non indifferente per un Paese in cui il gas naturale è salito al 14% dei consumi energetici nazionali dal 6% nel 2000 (dati IEA, 2014).

Quota che viene coperta per il 60% da importazioni di gas dalla stessa Russia, che proprio grazie agli idrocarburi (russo anche il 33% del petrolio utilizzato in Grecia nel 2012) copre il 14% dell’import ellenico (dati Wto, 2014).

Le compensazioni economiche allettano una Grecia perennemente in cerca di sollievo dai creditori internazionali, permettendo a Vladimir Putin di costruire un’importante sfera di influenza in Europa, non soltanto legata al sostegno della sua politica per l’energia.

L’adesione di Atene al Turkish Stream potrebbe infatti convincere Mosca a rimuovere l’embargo verso i prodotti agroalimentari greci, rafforzando la possibilità che al Consiglio europeo di giugno Tsipras si opponga radicalmente al rinnovo delle sanzioni comminate al Cremlino per le vicende ucraine.

I rischi per l’Unione energetica
A correre i rischi più seri è comunque il progetto di Unione energetica da poco avallato dal Consiglio europeo. Malgrado la rinuncia a South Stream, Putin è ancora alla ricerca di nuove vie verso l’Europa per il gas russo, prima che arrivino altri concorrenti, come loshale gas americano, se i prezzi del petrolio dovessero mai risalire.

Rispetto al predecessore, Turkish Stream gode inoltre di un ben più marcato supporto da parte della Turchia, nuovo crocevia di transito di idrocarburi verso l’Ue.

A gennaio e febbraio, infatti, due incontri tra il ceo di Gazprom, Alexey Miller e il ministro turco per l’energia, TanerYildiz, hanno condotto alla redazione di avanzati studi di fattibilità e permesso di concordare i primi lavori di esplorazione per il tratto offshore nel Mar Nero.

Nelle strategie di Mosca, il coinvolgimento di Atene raddoppia di valore se si considera la centralità della Grecia nel quadro del Trans-Adriatic Pipeline, l’opzione scelta dall’Ue per il “corridoio Sud” il cui destino potrebbe essere ora reso più incerto dalle sirene russe.

Recentemente, il ministro greco per l’energia Panagiotis Lafazanis ne ha peraltro chiesto una rinegoziazione delle condizioni, con particolare riferimento al pagamento delle tariffe di transito a partire dal 2019.

Non casuale, infine, che l’Ungheria abbia ospitato il Vertice ministeriale: solo a marzo Budapest aveva infatti scatenato la levata di scudi dell’Ue contro l’accordo da 12,5 miliardi di euro firmato con Mosca per la costruzione di due centrali nucleari nella città di Paks.

Tutto in mano alla Grecia ? 
Vladimir Putin continua così a pescare nel mazzo dei “meno devoti” dell’Ue per fiaccare lo sviluppo dell’Unione energetica.

A Bruxelles possono sperare ipotizzando il dissolvimento di South Stream di fronte all’innalzamento dei costi ed alla diminuzione del suo valore politico.

I bassi prezzi del petrolio e, dunque, del gas naturale, limitano inoltre di molto i margini di redditività di un progetto da costruire ex novo, qual è il Turkish Stream. Ma la sensazione di incertezza che si prova attendendo una decisione strategica da parte della Grecia è ormai ben nota nella capitale europea.

Antonio Scarazzini, Laureato magistrale in Studi Europei con una tesi in Relazioni euro-atlantiche, è direttore di “Europae” e membro del direttivo di “OSARE Europa”.

lunedì 27 aprile 2015

Organizzato dall'ISAG alla Sala Lauree della Sapienza

Presentazione del Volume

Il Conflitto Russo Ucraino 
Geopolitica del nuovo Dis(ordine)

 di Eugenio Di Rienzo


Si è svolta presso l'Aula Magna della facoltà di Scienze Politiche della Sapienza la presentazione del libro di E. DI Rienzo: “Il Conflitto Russo Ucraino”. Per l'occasione diversi studiosi sono intervenuti a commentare l'opera, offrendo i loro personali spunti di riflessione. A discapito dei consueti saluti istituzionali (posti dal Professor Lanchester e del Professor Sellari della facoltà di scienze politiche) i lavori intavolati per questa Presentazione/Seminario si sono rivelati ben lontani dalla solita parata commerciale in occasione dell'uscita di un nuovo volume. Il Professor Valle (della cattedra di storia dell'Europa orientale) ci ha illustrato, come quella ucraina fosse una tragedia ormai da tempo annunciata. Il quadro storico da lui delineato ha evidenziato come l'argomento ha radici profondissime e una natura multisfacciettata. I contributi del dott. Citati e del dott. Marconi (nomi riconosciuti nel campo della geopolitica) sono stati schietti e sinceri e hanno messo in luce dubbi e aporie che spesso sfuggono al consueto dibattito mediatico.
Copertina del volume
Per ultimo ha preso la parola il professor Di Rienzo in persona che ci ha regalato un intervento al “vetriolo”. La sua analisi ha messo alla berlina l'inadeguatezza dei media e della classe politica italiani che sembrano non comprendere quale sia lo spessore e l'importanza degli avvenimenti del Dombas e della Crimea. Conclusi gli interventi dei relatori anche alcuni astanti tra il pubblico hanno dato il loro punto di vista sull'argomento.
 Il primo a farsi aventi è stato il dott. Coltrinari che ha sottolineato come il dato tecnico-militare, quando si parla di conflitti, è soventemente taciuto dal dibattito accademico. Al contrario questo potrebbe portare vantaggi notevoli, perché rivelatore di intenzioni politiche spesso non dichiarate. Si è vissuto un momento di tensione quando si sono fatti avanti rappresentati diplomatici sia dell'ambasciata ucraina che di quella russa. Questi hanno difeso rispettivamente le posizioni dei propri governi, lamentando entrambi la situazione odierna e scaricando sulla propria controparte responsabilità e colpe.

Gli ultimi interventi da parte di esimi rappresentanti del mondo accademico e politico italiano hanno dimostrato come anche l'opinione pubblica del nostro paese sia spaccata in due su una questione che sembra non avere torti e ragioni.
 (Federico Salvati)

martedì 21 aprile 2015

Finlandia: verso nuove scelte. Il calo dei Finlandesi

Finlandia, elezioni
La prospettiva del governo duetto
Gianfranco Nitti
18/04/2015
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Alla vigilia delle elezioni politiche in Finlandia, domenica 19 aprile, i sondaggi danno un elettorato con gli indecisi in crescita.

Le elezioni per il rinnovo dell’Eduskunta, il Parlamento unicamerale finlandese composto da 200 membri, si svolgono ogni 4 anni, con il sistema proporzionale.

Secondo un rilevamento di Taloustutkimus per conto della Yle, la radio televisione finlandese, le scelte in extremis degli indecisi potrebbero essere determinanti per l’esito elettorale.

Allo stato, il partito di centro, Kesk, ora all’opposizione, registra un 24,9% dei consensi, seguito dai socialdemocratici, Sdp, e dai conservatori, Kok, col 16 % circa ciascuno. Il partito populista dei Finlandesi segue a ruota col 14,6%, davanti ai Verdi, 8,9%. Quindi la Sinistra di VL con l’8,5%, il partito svedese, Rkp, con il 4,5% ed i democristiani del KD col 3,9%.

Un altro sondaggio mostra la tendenza degli elettori a favorire un governo-duetto, ovvero formato da centristi e socialdemocratici.

Il governo uscente, che guida il Paese dal 2011, è costituito da una coalizione di 4 partiti, conservatori, socialdemocratici, svedesi e democristiani; fino al 2014 ne facevano parte anche i Verdi e l’Alleanza di Sinistra, poi uscitine per dissensi politici.

Un elettorato indeciso
I circa 4 milioni e mezzo di finlandesi che eleggeranno il nuovo Parlamento designeranno probabilmente come vincitore il partito centrista, rimasto all’opposizione nella attuale legislatura, guidato da Juha Sipilä, che potrebbe quindi formare una coalizione a due con i socialdemocratici, i quali, nel sondaggio, sono in un testa a testa coi conservatori per il secondo posto.

I temi economici e i rapporti col vicino russo sono i punti nodali su cui verte l’imminente tornata elettorale. I risultati che presenta la coalizione uscente non sono valutati in modo omogeneo.

L’economia è in recessione per il terzo anno consecutivo. Le sanzioni Ue imposte alla Russia per la crisi ucraina stanno avendo un impatto negativo anche sui rapporti economici bilaterali tra la Finlandia ed il suo grande vicino: il commercio con la Russia rappresenta infatti un decimo delle esportazioni totali finlandesi e un 4% del suo prodotto interno lordo.

Ulteriori frizioni con la Russia sono state sviluppate dalle recenti dichiarazioni dei paesi nordici di voler rafforzare la cooperazione militare che la Russia ritiene, e non a torto, in funzione antirussa.

Il tasso di disoccupazione in Finlandia è salito al 10% come è salito anche il debito pubblico e gli elettori avrebbero quindi la tendenza a punire il governo uscente del premier Alexander Stubb, Kok, per non aver saputo affrontare al meglio questa contingenza.

Negli ultimi anni, il Paese ha sofferto una serie di circostanze non positive: la de-finlandizzazione del colosso Nokia, che aveva fatto da volano allo sviluppo tecnologico finlandese e che era stato leader di mercato nel mondo fino al 2011; il forte declino di domanda dei prodotti dell’industria della carta, di cui la Finlandia è leader in Europa, causato dal calo di pubblicazioni per lo sviluppo del settore web, il citato incremento del debito pubblico, salito dal 48,5% del PIL del 2011 al 59% attuale, al limite della soglia del 60% fissata dal patto Ue di crescita e stabilità.

A ciò, si deve aggiungere l’incremento medio delle tasse del 3-4% circa nell’ultimo quadriennio, che si è tentato di fronteggiare con crescenti tagli di bilancio.

A fronte di questi sviluppi negativi, il governo Stubb ha risposto riducendo la tasse societaria dal 24,5 al 20% per incoraggiare gl investimenti diretti esteri; o con l’innalzamento della soglia pensionistica da 63 a 65 anni visto che, dopo il Giappone, la Finlandia è il Paese ove l’età media sta innalzandosi sempre più rapidamente.

Secondo il leader del Sdp, attuale ministro delle Finanze, Antti Rinne, l’economia non potrà crescere se non aumentano i consumi interni.

Il calo dei consensi quindi verso i centristi sarebbe dovuto più allo scontento verso la situazione attuale che non ad un’alternativa meditata. Il programma del leader del Kesk privilegia tagli di bilancio più che aumenti di tasse, riduzione del debito pubblico entro il 2017, creazione di almeno 20.000 posti di lavoro entro i prossimi dieci anni (la Finlandia ha 5 milioni e mezzo di abitanti), riduzione di spesa pubblica e dei benefici di disoccupazione, riduzione del numero dei ministeri, attualmente 13.

Il calo dei veri finlandesi
Il partito nazionalpopulista dei Finlandesi, che negli ultimi anni era sorto come vera sorpresa del panorama politico finnico, sorta di partito ‘grillino’, ottenendo nel 20\11 il 19,1% dei voti, vede ridursi la propria attrattività sull’elettorato, per l’edulcorarsi delle proprie posizioni nazionaliste ed anti-Ue ed anti Euro. Iil suo leader, Timo Soini, dichiara di esser pronto ad entrare in una colazione coi centristi.

I finlandesi all’estero hanno già votato in un turno elettorale anticipato dall’8 all’11 aprile in 233 seggi dislocati in 89 Pesi. In Italia, a cura dell’ambasciata di Finlandia, a Roma, Milano, Firenze, Catania e Torino.

Gianfranco Nitti è giornalista, corrispondente di mass media finlandesi dall’Italia.

Russia: la spina cecena

Pista cecena per l’assassinio di Nemtsov
Lotte di potere sul Caucaso
Alessandro Ronga
13/04/2015
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Forti della somiglianza tra la dinamica dell’agguato con quella di altre uccisioni generalmente ritenute responsabilità del presidente ceceno Ramzan Kadyrov, le indagini sul caso Nemtsov stanno orientandosi in tale direzione, ma in effetti sembrano soprattutto delineare un forte contrasto tra i servizi segreti russi del Fsb e il boss caucasico, verso il quale l’intelligence di Mosca, o almeno una buona parte di essa, ha un conto aperto.

Le similitudini con gli omicidi di Umar Israilov, Movladi Baisarov, Ruslan e Sulim Jamadaev, tutti rivali del Presidente della Cecenia e tutti, come Nemtsov, crivellati di colpi mentre si trovavano in strada, hanno spinto gli inquirenti russi ad imboccare la strada che porta a Grozny, come del resto gli investigatori del Skrf, il Comitato Investigativo di Russia (una sorta di Fbi), ma il forte sospetto è che questi ultimi siano stati spinti in tale direzione dai loro colleghi, eredi del vecchio Kgb.

L’inedito scenario troverebbe conferma nel fatto stesso che gli inquirenti russi hanno imboccato con decisione la pista cecena, dando subito l’impressione di cercare qualcosa che sapevano di trovare: politicamente, ciò potrebbe essere interpretato come un segnale verso Kadyrov, come a dirgli che sono finiti i tempi dell’impunità assoluta di cui lui e le sue milizie, i famigerati kadyrovtsy, hanno beneficiato per anni.

Lubjanka insofferente
Nel Risiko dei conflitti caucasici, i kadyrovtsy e gli uomini delle forze di sicurezza e dei servizi russi combattono sullo stesso fronte, contro le milizie jihadiste e qaediste. Ma non è più un mistero che quel fronte comune antiterrorismo sia percorso, già da tempo, da molti dissensi.

Già nel 2013, infatti, alcuni ufficiali del Fsb iniziarono uno sciopero della fame contro la mancata incriminazione di tre poliziotti ceceni, accusati di aver rapito e torturato un cittadino russo: in nome della stabilizzazione della Cecenia e del conseguente rafforzamento dell’assolutismo di Kadyrov voluto dal Cremlino, alla Lubjanka (la storica sede dei servizi russi) hanno dovuto ingoiare parecchi rospi.

Per un lungo periodo, i kadyrovtsy hanno potuto fare quel che volevano, nella più sicura impunità: ecco perchè il Fsb adesso ha interesse a ridimensionare Kadyrov, cominciando a colpire la base della sua “Piramide di Potere”, ovvero i suoi uomini.

La vicenda di Boris Nemtsov, l’esponente liberale russo ucciso al centro di Mosca la sera del 27 febbraio scorso, sembra così essere sfruttata come una pedina nel corso di una guerra che parte da lontano.

Pochi giorni prima dell’omicidio dell’esponente liberale, si era già verificato un episodio anomalo: in Dagestan, altro tassello pericolante del complesso mosaico caucasico, un tribunale aveva condannato rispettivamente a 9 e 12 anni di reclusione due ceceni accusati di aver progettato l’assassinio di Saigidpasha Umakhanov, sindaco di Khasavyurt, terza città della repubblica autonoma. Non poco, in una regione dove gli omicidi politici di matrice cecena fino a ieri restavano di solito impuniti.

Cambio della guardia in vista?
Se i servizi segreti stanno riconquistando peso nella vicenda cecena e se Kadyrov è diventato improvvisamente ingombrante per il Cremlino, possiamo dunque ricollegare ciò ad una precisa strategia volta ad una sua prossima defenestrazione? È presto per dirlo e comunque, al momento, non si intravede all’orizzonte alcun cambio della guardia a Grozny.

La ragione è semplice: Kadyrov è ancora l’uomo che può garantire l’ordine in Cecenia. Mosca questo lo sa bene, e sa pure che un cambio “controllato” di regime sarebbe una manovra ad alto rischio: quello ceceno è storicamente un contesto formato da clan, che cercherebbero in tutti i modi di colmare il vuoto di potere lasciato dal leader caucasico.

In breve, la Cecenia tornerebbe indietro di vent’anni, stravolta da violenze, vendette e ritorsioni tra le varie bande, ognuna con a capo il suo signore della guerra.

A meno che non sia lo stesso Kadyrov a diventare così incontrollabile da far prevalere a Mosca la linea della deposizione, sostenuta forse dalla Lubjanka ma apparentemente non ancora dal Cremlino.

Ciò che inquieta il Fsb è proprio la tanto sbandierata fedeltà di Kadyrov alla Russia, in realtà costata a Mosca fior di quattrini per avergli “appaltato il lavoro sporco” dellanormalizzazione di un territorio conteso tra bande di jihadisti, mafiosi e trafficanti vari: uno che si è venduto per soldi e potere - è il timore degli agenti russi - può farlo di nuovo e al miglior offerente, specie se vede che il terreno sotto i suoi piedi comincia a franare.

E l’entrata in gioco di un “miglior offerente”, consapevole del ruolo strategico della Cecenia sugli equilibri energetici del Caucaso, potrebbe non essere solo un’ipotesi. Pochi giorni dopo la strage alla redazione di Charlie Hebdo, Kadyrov ha organizzato un’oceanica manifestazione pro-Islam e contro le vignette pubblicate dalla rivista satirica francese: tale improvvisa vocazione religiosa del leader ceceno autorizza a pensare che qualcuno possa aver già bussato alle porte di Grozny.

Alessandro Ronga è giornalista e collaboratore del settimanale "Il Punto".

lunedì 13 aprile 2015

Moldova: filorussi in crescita

Elezioni in Gagauzia
La vittoria ‘conciliante’ della filorussa Vlah 
Mirko Mussetti
11/04/2015
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In Gagauzia, Unità territoriale autonoma (Uta) della Repubblica Moldova, le elezioni per la scelta del nuovo başcan(governatore) hanno visto prevalere la favorita candidata filorussa indipendente Irina Vlah, fortemente sostenuta dal Partito Socialista (Psrm) e dal carisma dell'influente politico indipendentista Igor Dodon. Il voto s’è svolto domenica 22 marzo.

La Gagauzia, regione autonoma della Repubblica Moldova, è abitata in prevalenza dall'etnia gagauza (popolazione cristiano-ortodossa che parla una lingua imparentata con il turco): ha da sempre espresso simpatie filorusse e spinge per un'intensificazione dei legami con Mosca.

Irina Vlah, che comprende bene tali sentimenti e disponeva di un budget per la campagna elettorale più che doppio rispetto al principale competitore, ha saputo attirare su di sé la maggioranza assoluta delle preferenze, accaparrandosi al primo turno il 51,11% dei voti ed evitando così il ballottaggio.

Il neo-başcan è una fuoriuscita del Partito Comunista, per il quale l'Uta è sempre stata una vera e propria roccaforte. Inoltre, il risultato è stato facilitato da una bassa affluenza alle urne (58,1% dei circa 106.000 elettori) che ha penalizzato soprattutto la debole e divisa opposizione filo-europeista.

I risultati
I risultati sono stati ufficialmente confermati dalla commissione elettorale di controllo gagauza. La Corte di Appello, nel termine di legge di dieci giorni, non ha trovato nulla da ridire sulla correttezza dell'esito delle urne, nonostante le presunte 25 infrazioni denunciate (tra cui la distribuzione di denaro e patate agli elettori) e la formale richiesta di ricalcolo dei voti da parte di due candidati, tra cui il “filo-europeista” Dudoglo.

I risultati ufficiali pertanto risultano essere: 1 - Irina Vlah: 51,11% delle preferenze;
2 - Nicolai Dudoglo: 19,06%;
3 - Valeri Ianioglo: 7,98%;
4 - Dmitri Croitor: 6,21%;
5 - Oleg Garizan: 5,01%

I restanti cinque candidati hanno ottenuto complessivamente il 10,63% dei voti.

La campagna elettorale
Il nuovo governatore ha condotto la campagna elettorale prospettando un vettore euroasiatico per il futuro sviluppo della regione - in difformità dalle linee politiche del governo centrale di Chisinau, impegnato non senza difficoltà nell'attuazione del processo di integrazione europea -, ma ha pure ricercato ed ottenuto l'esplicito supporto di importanti ed influenti artisti e politici russi, lasciando pertanto inascoltate le forti parole del presidente Nicolae Timofti che paventano un'ingerenza russa negli affari interni della Repubblica Moldova.

Significativi a tale proposito sono stati gli incontri della Vlah con entrambi i presidenti delle camere del Parlamento russo avvenuti nella fase più calda della campagna elettorale e la presenza di tre parlamentari della Duma alla conferenza "internazionale" organizzata dal Psrm nel capoluogo Comrat a soli dodici giorni dalle elezioni, denominata" Prospettive per lo sviluppo socio-economico dell'Uta-Gagauzia".

Va menzionato inoltre che si è assistito a un allentamento delle sanzioni economiche da parte di Mosca nei confronti di personalità gagauze, quasi a sottolineare la benevolenza russa e la differenziazione dei trattamenti nei confronti del resto della Moldova.

Approccio “conciliante”
Va sottolineato comunque che, superato lo scotto iniziale, i vari oppositori paiono cogliere le parole dell'ex governatore Mihail Formuzal che ha invitato i candidati perdenti ad "avere l'intelligenza di accettare l'esito elettorale".

A pochi giorni dalle elezioni, la stessa vincente Irina Vlah ha sorprendentemente mostrato un’apertura nei confronti del governo di Chisinau: non solo ha proposto un gruppo di lavoro congiunto tra il Parlamento della Repubblica Moldova e l'Adunata popolare di Gagauzia in grado d’armonizzare le normative dello statuto speciale dell'Uta con l'ordinamento nazionale nel rispetto dei principi costituzionali, ma ha pure espresso ad Adrian Candu (presidente del Parlamento moldavo) il desiderio che vengano effettuati corsi di lingua rumena finalizzati ad avvicinare i giovani gagauzi al dibattito politico nazionale e alla loro partecipazione attiva presso le istituzioni dello Stato.

Non è da escludere che una mossa così saggia e conciliante, sommata alla netta vittoria al primo turno, possa fare da traino all'opposizione filo-russa alle elezioni amministrative locali del 14 giugno, in vista delle quali i leader filo-russi si stanno riorganizzando, preparando la rivincita sui partiti europeisti (reduci da una "vittoria mutilata" alle elezioni parlamentari del 30 novembre).

In caso di successo delle opposizioni, il processo di europeizzazione in atto nella Repubblica Moldova (paese associato all'Ue) subirebbe un brusco rallentamento.

Inopportune simmetrie
L'appuntamento elettorale più importante del 2015 per la Moldova resta tuttavia quello delle elezioni del Soviet Supremo di Transnistria il 29 novembre (alle porte dell'inverno), in un contesto socio-economico desolante e in quadro etnico-demografico poco chiaro.

Queste elezioni potrebbero influenzare il futuro della presidenza” Shevchuk, che già non gode più di un apprezzamento totale da parte del Cremlino, e porre in discussione i “principi costituzionali” del regime vigente. L'attuale presidente potrebbe faticare non poco per rimanere in carica fino alle elezioni presidenziali previste per il 2016.

Inopportune forme di influenza attuate in modo simmetrico ed egualmente "soft" da parte non-russa (magari con denaro o patate) comporterebbe con ogni probabilità un pericoloso ed inutile collasso del sistema politico di Tiraspol che già è alle prese con insormontabili difficoltà di natura anche securitaria.

Onde evitare una pericolosa instabilità della regione, già aggravata dagli accadimenti ucraini, la parola d'ordine del governo di Chisinau e dei partner europei dovrebbe essere "conciliazione" su ogni livello: locale, nazionale ed internazionale.

Mirko Mussetti è un giovane analista di stampo neorealista. Aree di interesse primario: Est Europa ed Asia Centrale (@mirkomussetti).

giovedì 9 aprile 2015

Spagna e Francia: elezioni amministrative

Elezioni in Francia e in Spagna
Euroscetticismo: il boom e il flop
Eleonora Poli
01/04/2015
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Le recenti elezioni amministrative in Francia e Spagna sono state viste come un nuovo momento di scontro tra forze filoeuropee ed euroscettiche. E, stando ai risultati, i partiti anti-europei in quei due Paesi sono lontani dal prevalere.

L’effettiva portata dell’ondata euroscettica era già chiara dai risultati delle elezioni al Parlamento europeo, quando i partiti contrari o critici sul progetto di integrazione hanno raccolto 140 seggi su 751.

Ma se nell’Assemblea di Strasburgo gli euroscettici hanno ancora un ruolo marginale, la loro ondata ha invece preso il sopravvento in Grecia, dove, il 25 gennaio, Syriza, il partito di sinistra radicale di Alexis Tsipras, ha vinto le elezioni con il 36,34% dei voti.

Francia: Sarkozy torna e fa meglio della Le Pen
In Francia, le elezioni amministrative del 22 e 29 marzo hanno vistol'Unione per un Movimento popolare (Ump), il partito di centro-destra guidato dall’ex presidente Nicolas Sarkozy, superare il Front National (Fn) anche grazie a un ulteriore spostamento ‘a destra’ del programma elettorale, in particolare su alcune questioni rilevanti come l’immigrazione.

Malgrado i risultati incoraggianti ottenuti nel primo turno (25,19% dei voti), alla fine il Front National guidato da Marine le Pen non è stato in grado di conquistare la vittoria in nessun Dipartimento, ottenendo solo 62 consiglieri provinciali. Un numero certamente modesto, anche se rappresenta un risultato senza precedenti per il partito anti-immigrazione e anti-Unione.

Il Fn consolida il proprio ruolo politico e rafforza la propria legittimità in vista delle elezioni regionali di fine anno e delle presidenziali 2017. Esce sconfitto il Partito socialista guidato dal presidente François Hollande, che mantiene la maggioranza solo nel sud-ovest del Paese.

Spagna: i socialisti tengono, Podemos non sfonda
Se la svolta elettorale a destra viene attribuita in Francia alla pesante crisi economica, analoga tendenza non si manifesta in Spagna. Le elezioni del Parlamento andaluso hanno visto la vittoria del Partito Socialista Spagnolo (Psoe), che guida la regione da 33 anni e dal 2012 gestisce un governo di coalizione.

Diversamente dalla Francia, il partito di centro destra, Partido Popular (PP), che nel 2012 aveva ottenuto la maggioranza come singolo partito (40,6%), è uscito battuto, con soloil 26,7% dei voti. E anche in Andalusia la rivolta euroscettica non s’è materializzata.

Nonostante in un sondaggio pubblicato il 9 marzo El Pais indicasse il partito euro critico Podemos come possibile vincitore, i 6,5 milioni di votanti della regione hanno deciso il contrario. Podemos ha comunque ottenuto il 15% dei voti (15 seggi) imponendosi come terza forza e innescando la fine del bipolarismo spagnolo.

Così, se il risultato andaluso non sconvolge la scena politica nazionale, certamente provoca un duro scossone al sistema partitico tradizionale, in vista sia delle politiche di novembre che delle amministrative di maggio, quando si voterà in altre 13 comunità autonome.

Europa: svanito il consenso generalizzato
Se l’ondata euroscettica non s’è ancora abbattuta sui Parlamenti nazionali di Francia e Spagna (e forse non si abbatterà mai), non bisogna però sottovalutare i segnali di insofferenza da parte dei cittadini. I risultati elettorali francese e andaluso evidenziano una parziale perdita di consenso dei partiti tradizionali, legata soprattutto ad un diffuso malessere sociale, e la fine del consenso generalizzato verso il progetto d’integrazione europea.

Certamente il superamento della crisi aumenterà il favore verso l’Ue. Ma, con una crescita del Pil pari a 0 nel 2013 e a 1,4 nel 2014, la recessione dell’eurozona non è di sicuro ancora un ricordo.

In questo contesto, il sostegno ricevuto dai partiti euroscettici, seppur contenuto e spesso legato ad una logica populista, non deve essere sottovalutato. I risultati conseguiti non possono infatti essere liquidati come un mero flop, perché segnano comunque un rafforzamento istituzionale delle forze anti-europee nelle arene nazionali.

Eleonora Poli è ricercatrice dello IAI.

martedì 7 aprile 2015

Diario Ucraino: la fragilità della tregua di Minsk2

Diario Ucraino 
III Decade di febbraio 2015
22 febbraio 2015
All’indomani della firma degli accordi che vanno sotto il nome di Minsk2 la situazione nelle aree contese appare sempre più difficile e confusa. A dieci giorni dagli accordi, ancora la tregua non è stata realizzata. I ribelli filorussi, ad esempio. Continuano a bombardare la città di Debaltseve, dalla quale l’Esercito governativo è stato costretto a ritirarsi. In generale il cessate il fuco non viene rispettato, tanto che Kiev denuncia che il cessate il fuoco è stato violato circa trecento volte. Di fronte a questa situazione l’EU minaccia l’innalzamento di nuove sanzioni, d’accordo anche con gli Stati Uniti.

23-24 febbraio 2015
Il portavoce del Ministero della difesa ucraino Anatoly Stlemakh ja dichiarato che l’Ucraina non intende ritirare le armi pesanti previsto da Minsk2 dalla linea del fronte perché i Ribelli filorussi stanno violando gli accordi di Minks 2. Secondo tali accordi dopo due giorni dalla firma dei medesimi le parti coinvolte dovevano ritirare le armi pesanti e sgombrarle da una fascia ampia da 40 a 140 chilometri avendo come mediana la linea di contatto. Tale ritiro doveva essere attuato entro due settimane , ovvero entro la fine di febbraio 2015.

 A Kiev si è svolta la marcia della dignità; celebrato il primo anniversario della uscita del Presidente Viktor Ianukovich e ricordate le 100 vittime degli scontri della rivolta di piazza Maidan.

25 febbraio 2015
Incontro a Parigi, “formato Normandia” ( Russia, Francia, Ucraina, Germania) a livello ministri degli Esteri al fine di valutare la applicazione degli accordi di Minsk2. Scaturisce da questo incontro che il Gruppo di Contatto (Ukraina, Mosca, Ribelli Separatisti, OCSE) devono al più presto e senza indugio creare gruppi di lavoro per trovare soluzioni alle applicazioni degli accordi di Minsk2.
Discusso anche sulla situazione a Debaltsseve, snodo ferroviario conquistato dai ribelli Separatisti dopo l firma di Minsk2 e della situazione a Mariupol.

Ripresa da più agenzie la dichiarazione di Putin volta ad abbassare i toni in cui dichiara che non crede in una guerra con l’Ucraina.
La Gran Bretagna invia consiglieri militari in Ucraina. Porosenko annuncia l’acquisto di armi da aziende Europee/statunitensi e del medio Oriente

28 Febbraio 2015.
 Sembra calare la tensione militare nelle aree contese dopo l’annuncio di Kiev del ritiro delle ermi pesanti iniziato due giorni dopo quello effettuato dai Ribelli Separatisti. Le prime armi ritirate sono quelle dal calibro di 100 mm. Petrosenko non si rileva ottimista in quanto la minaccia da est rimane e rimane grave.

29 Febbraio 2015

Segnali di distensione nella crisi ucraina e si pensa ad una soluzione politica. Mink2 si sta applicando e la Croce Rossa si è offerta per lo scambio di prigionieri, come parte superpartes nella crisi in atto.