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Metodo di Ricerca ed analisi adottato

Medoto di ricerca ed analisi adottato
Vds post in data 30 dicembre 2009 sul blog www.coltrinariatlanteamerica seguento il percorso:
Nota 1 - L'approccio concettuale alla ricerca. Il metodo adottato
Nota 2 - La parametrazione delle Capacità dello Stato
Nota 3 - Il Rapporto tra i fattori di squilibrio e le capacità delloStato
Nota 4 - Il Metodo di calcolo adottato

Per gli altri continenti si rifà riferimento al citato blog www.coltrinariatlanteamerica.blogspot.com per la spiegazione del metodo di ricerca.

venerdì 29 marzo 2019

Una questione di prospettiva. Per una critica all'approccio geopolitico e per un'agenda costruttivista delle Relazioni Internazionali

Federico Salvati

Chi ha paura dell’orso Russo?
(Part. I)

Dopo il discorso del Generale Gerasimov (McDermott:2019) e la definizione della “strategy of limited actions” per la Russia, analisti di tutto il mondo si sono messi a speculare su quali saranno le prossime mosse di Mosca sulla scena internazionale.
Nel discorso, Gerasimov ha reiterato le solite accusa all’occidente di condurre guerre ibride contro gli interessi russi e la Russia stessa, presagendo l’arrivo da Washington di una nuova strategia che tenderà allo sfruttamento di quinte colonne interne per provocare instabilità e attaccare regimi invisi agli Stati Uniti come il Venezuela.
Nonostante gli eventi sembrano progredire velocemente, gran parte dell’analisi in italia ancora rimane imperniata intorno a certe argomentazioni classiche e (secondo chi scrive) abbastanza confuse, alle quali si aggiungono nuovi confusi riferimenti junghiani e più in generale alla teoria delle scienze sociali.
È nostra intenzione dunque di proporre qui una rubrica che esplorasse nei prossimi numeri alcune di queste argomentazioni per cercare un angolo innovativo sulla questione russa e sull’analisi delle relazioni internazionali più in senso lato. Speriamo così di fare chiarezza su alcuni concetti che ormai si stanno rivelando controproducenti ai fini della comprensione degli eventi politici legati alle relazioni con Mosca.

Parte I

È tutta una questione di prospettiva: per una critica all’approccio geopolitico e per un’agenda costruttivista delle Relazioni Internazionali

Quando ci si chiede negli ambienti di analisi in Italia il motivo per cui l’Europa e la Russia sono così in disaccordo sui temi di sicurezza e perché la mutua percezione sia così deteriorata negli ultimi anni, si ottiene una risposta che ha a che fare, di solito, con la così detta “fascia di instabilità”. Questa è un’area geografica che va dai Baltici al Kazakistan e che secondo l’analisi geopolitica mainstream del nostro paese è percepita da Mosca come zona d’influenza esclusiva (near abroad) e dall’Europa come cuscinetto di sicurezza contro la Russia (quello che è storicamente conosciuto come “il cordone sanitario”). Ai fini di garantire la propria sicurezza, le due potenze cercano di controllare tale area geografica espandendo la loro sfera d’influenza e come risultato arrivando a scontrarsi l’una con l’altra.
Personalmente, ho sempre trovato questa spiegazione molto riduttiva. Nonostante io stesso, come molti altri giovani analisti italiani, sia cresciuto leggendo Limes e studiando sui libri di geopolitica ho sempre sentito tale approccio come molto stretto. Questo mi ha portato ad esplorare altre aree e approcci alle relazioni internazionali che, sebbene trascurati in Italia, esistono e presentano agende di ricerca anche più ricche di quella geopolitica.

Infatti, la spiegazione geopolitica sulla fascia di instabilità è in qualche modo elusiva. Alla domanda sul perché l’occidente e la Russia competano tra di loro si riceve una risposta sul dove e come essi competono ma si evita di affrontare il perchè originale che aveva ispirato la domanda. Perché infatti tale espansione delle aree d’influenza accade in primo luogo? Ai fini di garantire la sicurezza di chi? Non ci si accorge che tale azione è controproducente e crea reciproca insicurezza? Sembra un problema classico di dilemma di sicurezza (da primo giorno di scuola per chi ha studiato relazioni internazionali) che però secondo l’analisi geopolitica sembra completamente eludere le menti dei politici sia Russi che europei.

È veramente così? Chiaramente no e questo deriva da una visione parziale a cui siamo condotti da un approccio geopolitico classico. La geopolitica, infatti, è una scienza d’ispirazione e di origine positivista. In quanto tale porta avanti una visione universalista e determinista delle relazioni internazionali. Ciò significa che i meccanismi che determinano la fenomenologia della politica internazionale sono indipendenti da altre informazioni contestuali che non siano le variabili indipendenti spaziali (geo) che vanno a influenzare e determinare il comportamento umano (politica o in questo caso la nostra variabile dipendente). Perché dunque la questione non convince?

Sebbene le spiegazioni geopolitiche appaiano molto rigorose dal punto di vista analitico raramente (se non mai) hanno grande potere teoretico, fornendo scarsi elementi di previsione degli eventi futuri come dovrebbe fare una scienza di ispirazione positivista.

Ciò non salta subito all’occhio perché come importazione i geopolitici tendono ad esaltare i risultati che hanno riscontri positivi con la realtà empirica e scartare quelli che invece vengono smentiti perché considerati derivanti da una lettura inadeguata dei dati. Tale atteggiamento (già notato da pensatori illustri come Feyerabend o Kuhn in maniera più generale nel campo dell’epistemologia) non porta ad una più profonda conoscenza della realtà ma ad una selettiva assimilazione di dati ed esperienze che confermano le nostre credenze pregresse (cognitive bias).
Detta in termini brutali: anche un orologio rotto segna l’ora esatta per due volte al giorno ma non dovremmo esaltarci quando la nostra lettura coincide con l’ora esatta e perplimerci quando invece differisca dalla realtà empirica.

Un’altro “peccato mortale” della geopolitica invece riguarda l’uso della storia e la dimensione temporale. Premesso che l’uso della storia può avere riscontri positivi nello studio delle scienze sociali e chi scrive (anche grazie alla formazione dell’accademia italiana) è fortemente orientato verso l’analisi storica come base epistemologica per la ricerca sulla politica internazionale. Quello che molti analisti geopolitici fanno però è utilizzare la temporalità storica in maniera aleatoria, priva di alcun criterio guida. In pratica 
quando una particolare analisi dimostra segni di affaticamento si cerca di salvarla estendendo il quadro di riferimento di decenni, o addirittura secoli. Nietzsche diceva che il tempo è un circolo piatto perché nell’infinità dell’esistenza dell’universo qualunque combinazione dei fattori finiti dell’esistenza avrà luogo. Se si espande il quadro di riferimento temporale in maniera abbastanza ampia si può individuare qualunque tipo di processo, ciclo e pattern empirico e selezionando solo i fattori che rafforzano la nostra tesi si può teoricamente dimostrare qualsiasi cosa. Facendo così però si indebolisce il nesso di causalità che dovrebbe essere l’oggetto ultimo della nostra indagine politica.

Un’alternativa convincente, in questo caso, è lo studio della politica internazionale attraverso le scienze sociali e la teoria critica (la teoria che trova i suoi fondamenti nell’idealismo tedesco e arriva fino a Foucault, Habermas e altri pensatori). La politica internazionale, dopo tutto, è l’espressione di interazioni umane e in quanto tale non differisce in maniera qualitativa da altri tipi di interazioni condotte a livelli inferiori d’analisi. Con ciò non si vuol dire assolutamente che l’esperienza umana sia in scala 1:1 uguale a sé stessa in qualunque livello d’analisi; e non significa neanche che dobbiamo rinunciare al dato spaziale e geografico. Molti studiosi di studi strategici e relazioni internazionali, che hanno assunto una posizione più costruttivista e meno positivista nelle loro ricerche, riconoscono senza alcun problema l’importanza d’includere il dato spaziale nelle loro metodologie. Pur rimanendo comunque tesi a considerare la definizione dei concetti di sicurezza e di politica internazionale come un’operazione multivariabile e multidisciplinare (vedi ad esempio la scuola di Copenhagen o in una certa misura anche la scuola di Londra e alcuni costruttivisti meno classici tra cui il celeberrimo Alexander Wendt).

Tornando al nostro caso, possiamo ora provare ad integrare questi elementi per fornire un’analisi più sofisticata della questione dei deterioranti rapporti tra UE e Russia.

Il motivo per cui la Russia e l’Europa continuano ad essere ingaggiati in un’azione mutualmente ostile non è da ricercare esclusivamente nella geografia ma principalmente nella fondamentale differenza culturale che c’è dal punto di vista giuridico politico sulla legittimità dell’esercizio del potere sulla scena internazionale.

A sentire infatti i discorsi dei quadri Russi sulla presenza dell’Europa sul territorio post-sovietico si ha come la sensazione di essere di fronte ad una specie di complotto spionistico da guerra fredda in cui i poteri occidentali cospirano per fomentare forze anti-sistema contro gli equilibri territoriali, contro gli interessi Russi e a favore dell’occidente. Questa visione è rafforzata dalla lettera Russa sul tema.

Autori come Koribko (2015) teorizzano principi di intervento bellico basati sulla teoria del caos, il controllo dell’informazione e la teoria dei giochi; Dugin (Heiser:2014) prende ad esempio le rivoluzioni colorate e la recente rivoluzione Ucraina come esempi di esteso controllo sociale di cui sono capaci gli americani e l’Unione Europea teorizzando al tempo stesso strategie di carattere politico-culturale per difendersi dagli attacchi di warfare politico e warfare mediatico dell’occidente; e molti altri seguono i passi di questi autori con simili argomentazioni.

All’interno dei palazzi europei o delle istituzioni occidentale (mi dispiace deludere gli amanti dei complotti) non avviene nulla di tutto ciò. I grandi piani di controllo sociale a cui si riferisce la letteratura russa in maniera così estesa sono di solito piattaforme promosse direttamente dall’Unione o dai suoi paesi membri più influenti (Germania, Francia, UK e l’Italia stessa a volte) per finanziare la società civile, il dibattito democratico e riforme statali democratiche sulla base dei principi elencati nelle politiche di vicinato dell’Unione.

Stiamo parlando di soggetti come l’European Endowment for Democracy, la piattaforma  Ucraina-EU per la Società Civile, la Partnership EaP della Società Civile e varie grant e tender istituzionali che si mettono a disposizione degli stati dell’ex Unione Sovietica per intraprendere costosi progetti di riforma che non sarebbero possibili senza l’appoggio finanziario dell’Unione come donor internazionale. Tutti questi fondi sono ben documentati nel loro uso, nella loro destinazione e nella loro provenienza e non vengono di certo usati per oscuri complotti ai danni della Russia.

Dove stà la verità? Chi è in errore e chi è nel giusto sull’argomento?

La risposta potrà deludere ma di nessuno dei due soggetti si può veramente dire che si sbagli. Infatti l’Unione Europea e la tradizione giuridico-politica dell’Europa occidentale si basa sul concetto di stato e supremazia di diritto. Secondo questo principio, ben noto a tutti, il potere politico può agire per il bene della società nei confini determinati dalla legge che è quindi supremo principio e limite al potere decisionale della politica. In un certo senso (anche se in maniera difettosa ed imperfetta) lo stesso principio è esteso al diritto internazionale. Sebbene in sia sempre più incerto, viviamo ancora in un sistema internazionale che ufficialmente si richiama alla tradizione democratico-liberale e che quindi è incardinato su alcuni principi fondamentali come i diritti umani, la libertà, l’uguaglianza e via dicendo. Tali principi sono appunto i principi dell’occidente che dal momento che li ritiene le basi fondatrici del tessuto sociale internazionale, li promuove attivamente anche al di fuori dei propri confini perché (ispirandosi ancora ai principi di PAX kantiana) crede che nel bene o nel male questi siano la possibilità migliore che si possa avere per raggiungere un certo livello di prosperità e stabilità globale.
L’azione occidentale, secondo i principi di supremazia del diritto, è percepita quindi dai paesi promotori come legittima (se non perfino dovuta) perché rinforza le basi fondanti del sistema internazionale.

Dall’altra parte invece abbiamo la Russia. Come molti autori tra cui Galeotti (2018) o Arutunyan (2013) ci fanno notare, il principio di stato e supremazia del diritto 
non si è mai completamente 


sviluppato in Russia. Questo deriva dall’evoluzione della vita istituzionale Russa che non ha mai sviluppato confini forti nei confronti del potere zarista prima e nei confronti della nomenklatura di partito poi. Di conseguenza il potere politico non è percepito come costretto dallo stato di diritto. Il potere politico è raffigurato invece quasi come un Leviatano che opera al di fuori dei confini del diritto proprio per far in modo che le leggi operino in maniera efficace all’interno della società.

Questas distinzione è fondamentale perché determina la differenza, e in ultima istanza l’insanabile contrasto, che esiste tra l’Europa e la Russia.

Dalla caduta dell’Unione Sovietica, in quanto la Russia immagina sé stessa come autorità suprema (leviatano), Mosca si è sempre rifiutata di essere trattata al pari degli altri paesi dell’ex blocco. A suo parere la scomparsa del potere supremo sarebbe stata una scomparsa delle forze che garantiscono la stabilità e l’equilibrio all’interno dell’ordine sociale.

Quello che dunque in Europa viene percepito come un intervento sociale teso a rafforzare il dibattito democratico e la responsabilità politica dei rappresentanti di fronte al popolo attraverso la cooperazione internazionale, da Mosca invece viene percepito come atti sovversivi mirati a indebolire l’ordine naturale delle cose.

L’esistenza della fascia di instabilità al livello spaziale avviene fondamentalmente perché ad un capo e dall’altro si scontrano due culture politiche fondamentalmente diverse e in ultima istanza irriconciliabili. Se Mosca accettasse termini e condizioni dettate dalla cultura, liberale occidentale scomparirebbe la percezione dei paesi dell’est Europa come paesi cuscinetto di un cordone sanitario tra UE e Mosca.

È vero, riconosceranno in molti, che la cultura totalitaria del Cremlino derivi da secoli di dominio di un territorio troppo esteso per non essere controllato in maniera altra da quella accentrata. Come abbiamo detto, però, la visione delle relazioni internazionali come scienza sociale non implica una totale negazione del fattore spaziale. Allo stesso tempo, si potrebbe replicare a queste persone che l'espansione territoriale russa è stata mossa in prima facie da un fondamentale sentimento d’insicurezza che era frutto delle condizioni socio-culturali in cui hanno vissuto i russi per secoli.

Al di là, delle polemiche comunque, fondamentale argomento del discorso in questa sede è che la percezione dello spazio e delle dinamiche al suo interno ha puramente origine antropica e può variare al variare delle condizioni materiali, tecniche e culturali su cui è organizzata la nostra società.

Allo stesso modo le relazioni tra l’UE e la Russia non sono schiave di un inalienabile contrasto geografico che muove ciecamente i due soggetti verso un eterna lotta competitiva ma al variare (per motivi materiali o culturali) delle mutua percezione e della visione ontologica che i soggetti hanno delle relazioni internazionali, inevitabilmente, varieranno anche le dinamiche politiche che legano questi soggetti.

Riferimenti Letterari

A. Arutunyan, “Freedom, Repression, and Private Property in Russia” United Press, Prima Edizione, 2013

J. Heiser, “The American Empire Should Be Destroyed: Alexander Dugin and the Perils of Immanentized Eschatology”, Prima Edizione, 2014

A.  Koribko, “Hybrid Warfare: An Indirect Adaptive Approach”, Moscow Friendship University Edition, Prima Edizione, 2015
R. McDermott“Gerasimov Appeals for Military Science to Forge New Forms of Combat” https://jamestown.org/program/gerasimov-appeals-for-military-science-to-forge-new-forms-of-combat/?fbclid=IwAR3DwfoOQeR9tyND2TFqJCpfGpg7lZzsn3r7Z1-s1IZBpvHPm2r6ySw38og ultima visita 28/03/2019

M. Galeotti “The Vory: Russia's Super Mafia”, Yale Press, Prima edizione, 2018

giovedì 21 marzo 2019

Etnie nei palesi Baltici


Fonte Rivista LIMES
informazioni: www.ilmioabbonamento.it

martedì 19 marzo 2019