Federico Salvati
Chi ha paura dell’orso Russo?
(Part. I)
Dopo il discorso del Generale Gerasimov (McDermott:2019) e la definizione
della “strategy of limited actions” per la Russia, analisti
di tutto il mondo si sono messi a speculare su quali saranno le prossime mosse
di Mosca sulla scena internazionale.
Nel discorso, Gerasimov ha reiterato le solite accusa
all’occidente di condurre guerre ibride contro gli interessi russi e la Russia
stessa, presagendo l’arrivo da Washington di una nuova strategia che
tenderà allo sfruttamento di quinte colonne interne per provocare instabilità e
attaccare regimi invisi agli Stati Uniti come il Venezuela.
Nonostante gli eventi sembrano progredire velocemente,
gran parte dell’analisi in italia ancora rimane imperniata intorno a certe
argomentazioni classiche e (secondo chi scrive) abbastanza confuse, alle quali
si aggiungono nuovi confusi riferimenti junghiani e più in generale alla teoria
delle scienze sociali.
È nostra intenzione dunque di proporre qui una rubrica
che esplorasse nei prossimi numeri alcune di queste argomentazioni per cercare
un angolo innovativo sulla questione russa e sull’analisi delle relazioni
internazionali più in senso lato. Speriamo così di fare chiarezza su alcuni
concetti che ormai si stanno rivelando controproducenti ai fini della
comprensione degli eventi politici legati alle relazioni con Mosca.
Parte I
È tutta una questione di prospettiva: per una critica
all’approccio geopolitico e per un’agenda costruttivista delle Relazioni
Internazionali
Quando ci si chiede negli ambienti di analisi in
Italia il motivo per cui l’Europa e la Russia sono così in disaccordo sui temi
di sicurezza e perché la mutua percezione sia così deteriorata negli ultimi
anni, si ottiene una risposta che ha a che fare, di solito, con la così detta
“fascia di instabilità”. Questa è un’area geografica che va dai Baltici al
Kazakistan e che secondo l’analisi geopolitica mainstream del nostro paese è
percepita da Mosca come zona d’influenza esclusiva (near abroad) e dall’Europa
come cuscinetto di sicurezza contro la Russia (quello che è storicamente
conosciuto come “il cordone sanitario”). Ai fini di garantire la propria
sicurezza, le due potenze cercano di controllare tale area geografica
espandendo la loro sfera d’influenza e come risultato arrivando a scontrarsi
l’una con l’altra.
Personalmente, ho sempre trovato questa spiegazione
molto riduttiva. Nonostante io stesso, come molti altri giovani analisti
italiani, sia cresciuto leggendo Limes e studiando sui libri di geopolitica ho
sempre sentito tale approccio come molto stretto. Questo mi ha portato ad
esplorare altre aree e approcci alle relazioni internazionali che, sebbene trascurati
in Italia, esistono e presentano agende di ricerca anche più ricche di quella
geopolitica.
Infatti, la spiegazione geopolitica sulla fascia di
instabilità è in qualche modo elusiva. Alla domanda sul perché l’occidente e la
Russia competano tra di loro si riceve una risposta sul dove e come essi
competono ma si evita di affrontare il perchè originale che aveva ispirato la
domanda. Perché infatti tale espansione delle aree d’influenza accade in primo
luogo? Ai fini di garantire la sicurezza di chi? Non ci si accorge che tale
azione è controproducente e crea reciproca insicurezza? Sembra un problema
classico di dilemma di sicurezza (da primo giorno di scuola per chi ha studiato
relazioni internazionali) che però secondo l’analisi geopolitica sembra completamente
eludere le menti dei politici sia Russi che europei.
È veramente così? Chiaramente no e questo deriva da
una visione parziale a cui siamo condotti da un approccio geopolitico classico.
La geopolitica, infatti, è una scienza d’ispirazione e di origine positivista.
In quanto tale porta avanti una visione universalista e determinista delle
relazioni internazionali. Ciò significa che i meccanismi che determinano la
fenomenologia della politica internazionale sono indipendenti da altre
informazioni contestuali che non siano le variabili indipendenti spaziali (geo)
che vanno a influenzare e determinare il comportamento umano (politica o in
questo caso la nostra variabile dipendente). Perché dunque la questione non
convince?
Sebbene le spiegazioni geopolitiche appaiano molto
rigorose dal punto di vista analitico raramente (se non mai) hanno grande
potere teoretico, fornendo scarsi elementi di previsione degli eventi futuri
come dovrebbe fare una scienza di ispirazione positivista.
Ciò non salta subito all’occhio perché come
importazione i geopolitici tendono ad esaltare i risultati che hanno riscontri
positivi con la realtà empirica e scartare quelli che invece vengono smentiti
perché considerati derivanti da una lettura inadeguata dei dati. Tale atteggiamento
(già notato da pensatori illustri come Feyerabend o Kuhn in maniera più
generale nel campo dell’epistemologia) non porta ad una più profonda conoscenza
della realtà ma ad una selettiva assimilazione di dati ed esperienze che
confermano le nostre credenze pregresse (cognitive bias).
Detta in termini brutali: anche un orologio rotto
segna l’ora esatta per due volte al giorno ma non dovremmo esaltarci quando la
nostra lettura coincide con l’ora esatta e perplimerci quando invece differisca
dalla realtà empirica.
quando una particolare analisi dimostra segni di
affaticamento si cerca di salvarla estendendo il quadro di riferimento di
decenni, o addirittura secoli. Nietzsche diceva che il tempo è un circolo
piatto perché nell’infinità dell’esistenza dell’universo qualunque combinazione
dei fattori finiti dell’esistenza avrà luogo. Se si espande il quadro di
riferimento temporale in maniera abbastanza ampia si può individuare qualunque
tipo di processo, ciclo e pattern empirico e selezionando solo i fattori che
rafforzano la nostra tesi si può teoricamente dimostrare qualsiasi cosa.
Facendo così però si indebolisce il nesso di causalità che dovrebbe essere
l’oggetto ultimo della nostra indagine politica.
Un’alternativa convincente, in questo caso, è lo
studio della politica internazionale attraverso le scienze sociali e la teoria
critica (la teoria che trova i suoi fondamenti nell’idealismo tedesco e arriva
fino a Foucault, Habermas e altri pensatori). La politica internazionale, dopo
tutto, è l’espressione di interazioni umane e in quanto tale non differisce in
maniera qualitativa da altri tipi di interazioni condotte a livelli inferiori
d’analisi. Con ciò non si vuol dire assolutamente che l’esperienza umana sia in
scala 1:1 uguale a sé stessa in qualunque livello d’analisi; e non significa
neanche che dobbiamo rinunciare al dato spaziale e geografico. Molti studiosi
di studi strategici e relazioni internazionali, che hanno assunto una posizione
più costruttivista e meno positivista nelle loro ricerche, riconoscono senza
alcun problema l’importanza d’includere il dato spaziale nelle loro
metodologie. Pur rimanendo comunque tesi a considerare la definizione dei
concetti di sicurezza e di politica internazionale come un’operazione
multivariabile e multidisciplinare (vedi ad esempio la scuola di Copenhagen o
in una certa misura anche la scuola di Londra e alcuni costruttivisti meno
classici tra cui il celeberrimo Alexander Wendt).
Tornando al nostro caso, possiamo ora provare ad
integrare questi elementi per fornire un’analisi più sofisticata della
questione dei deterioranti rapporti tra UE e Russia.
Il motivo per cui la Russia e l’Europa continuano ad
essere ingaggiati in un’azione mutualmente ostile non è da ricercare
esclusivamente nella geografia ma principalmente nella fondamentale differenza
culturale che c’è dal punto di vista giuridico politico sulla legittimità
dell’esercizio del potere sulla scena internazionale.
A sentire infatti i discorsi dei quadri Russi sulla
presenza dell’Europa sul territorio post-sovietico si ha come la sensazione di
essere di fronte ad una specie di complotto spionistico da guerra fredda in cui
i poteri occidentali cospirano per fomentare forze anti-sistema contro gli equilibri
territoriali, contro gli interessi Russi e a favore dell’occidente. Questa
visione è rafforzata dalla lettera Russa sul tema.
Autori come Koribko (2015) teorizzano principi di
intervento bellico basati sulla teoria del caos, il controllo dell’informazione
e la teoria dei giochi; Dugin (Heiser:2014) prende ad esempio le rivoluzioni
colorate e la recente rivoluzione Ucraina come esempi di esteso controllo
sociale di cui sono capaci gli americani e l’Unione Europea teorizzando al
tempo stesso strategie di carattere politico-culturale per difendersi dagli
attacchi di warfare politico e warfare mediatico dell’occidente; e molti altri
seguono i passi di questi autori con simili argomentazioni.
All’interno dei palazzi europei o delle istituzioni
occidentale (mi dispiace deludere gli amanti dei complotti) non avviene nulla
di tutto ciò. I grandi piani di controllo sociale a cui si riferisce la
letteratura russa in maniera così estesa sono di solito piattaforme promosse
direttamente dall’Unione o dai suoi paesi membri più influenti (Germania,
Francia, UK e l’Italia stessa a volte) per finanziare la società civile, il
dibattito democratico e riforme statali democratiche sulla base dei principi
elencati nelle politiche di vicinato dell’Unione.
Stiamo parlando di soggetti come l’European Endowment
for Democracy, la piattaforma Ucraina-EU per la Società Civile, la
Partnership EaP della Società Civile e varie grant e tender istituzionali che
si mettono a disposizione degli stati dell’ex Unione Sovietica per intraprendere
costosi progetti di riforma che non sarebbero possibili senza l’appoggio
finanziario dell’Unione come donor internazionale. Tutti questi fondi sono ben
documentati nel loro uso, nella loro destinazione e nella loro provenienza e
non vengono di certo usati per oscuri complotti ai danni della Russia.
Dove stà la verità? Chi è in errore e chi è nel giusto
sull’argomento?
La risposta potrà deludere ma di nessuno dei due
soggetti si può veramente dire che si sbagli. Infatti l’Unione Europea e la tradizione
giuridico-politica dell’Europa occidentale si basa sul concetto di stato e
supremazia di diritto. Secondo questo principio, ben noto a tutti, il potere
politico può agire per il bene della società nei confini determinati dalla
legge che è quindi supremo principio e limite al potere decisionale della
politica. In un certo senso (anche se in maniera difettosa ed imperfetta) lo
stesso principio è esteso al diritto internazionale. Sebbene in sia sempre più
incerto, viviamo ancora in un sistema internazionale che ufficialmente si
richiama alla tradizione democratico-liberale e che quindi è incardinato su
alcuni principi fondamentali come i diritti umani, la libertà, l’uguaglianza e
via dicendo. Tali principi sono appunto i principi dell’occidente che dal momento
che li ritiene le basi fondatrici del tessuto sociale internazionale, li
promuove attivamente anche al di fuori dei propri confini perché (ispirandosi
ancora ai principi di PAX kantiana) crede che nel bene o nel male questi siano
la possibilità migliore che si possa avere per raggiungere un certo livello di
prosperità e stabilità globale.
L’azione occidentale, secondo i principi di supremazia
del diritto, è percepita quindi dai paesi promotori come legittima (se non
perfino dovuta) perché rinforza le basi fondanti del sistema internazionale.
non si è mai completamente
sviluppato in Russia. Questo deriva dall’evoluzione
della vita istituzionale Russa che non ha mai sviluppato confini forti nei
confronti del potere zarista prima e nei confronti della nomenklatura di
partito poi. Di conseguenza il potere politico non è percepito come costretto
dallo stato di diritto. Il potere politico è raffigurato invece quasi come un
Leviatano che opera al di fuori dei confini del diritto proprio per far in modo
che le leggi operino in maniera efficace all’interno della società.
Questas distinzione è fondamentale perché determina la
differenza, e in ultima istanza l’insanabile contrasto, che esiste tra l’Europa
e la Russia.
Dalla caduta dell’Unione Sovietica, in quanto la
Russia immagina sé stessa come autorità suprema (leviatano), Mosca si è sempre
rifiutata di essere trattata al pari degli altri paesi dell’ex blocco. A suo
parere la scomparsa del potere supremo sarebbe stata una scomparsa delle forze
che garantiscono la stabilità e l’equilibrio all’interno dell’ordine sociale.
Quello che dunque in Europa viene percepito come un
intervento sociale teso a rafforzare il dibattito democratico e la
responsabilità politica dei rappresentanti di fronte al popolo attraverso la
cooperazione internazionale, da Mosca invece viene percepito come atti
sovversivi mirati a indebolire l’ordine naturale delle cose.
L’esistenza della fascia di instabilità al livello
spaziale avviene fondamentalmente perché ad un capo e dall’altro si scontrano
due culture politiche fondamentalmente diverse e in ultima istanza irriconciliabili.
Se Mosca accettasse termini e condizioni dettate dalla cultura, liberale
occidentale scomparirebbe la percezione dei paesi dell’est Europa come paesi
cuscinetto di un cordone sanitario tra UE e Mosca.
È vero, riconosceranno in molti, che la cultura
totalitaria del Cremlino derivi da secoli di dominio di un territorio troppo
esteso per non essere controllato in maniera altra da quella accentrata. Come
abbiamo detto, però, la visione delle relazioni internazionali come scienza
sociale non implica una totale negazione del fattore spaziale. Allo stesso
tempo, si potrebbe replicare a queste persone che l'espansione territoriale
russa è stata mossa in prima facie da un fondamentale sentimento d’insicurezza
che era frutto delle condizioni socio-culturali in cui hanno vissuto i russi
per secoli.
Al di là, delle polemiche comunque, fondamentale
argomento del discorso in questa sede è che la percezione dello spazio e delle
dinamiche al suo interno ha puramente origine antropica e può variare al variare
delle condizioni materiali, tecniche e culturali su cui è organizzata la nostra
società.
Allo stesso modo le relazioni tra l’UE e la Russia non
sono schiave di un inalienabile contrasto geografico che muove ciecamente i due
soggetti verso un eterna lotta competitiva ma al variare (per motivi materiali
o culturali) delle mutua percezione e della visione ontologica che i soggetti
hanno delle relazioni internazionali, inevitabilmente, varieranno anche le
dinamiche politiche che legano questi soggetti.
Riferimenti Letterari
A. Arutunyan, “Freedom, Repression, and Private Property in Russia” United Press, Prima
Edizione, 2013
J. Heiser, “The American Empire Should Be Destroyed: Alexander Dugin and the Perils of
Immanentized Eschatology”, Prima Edizione, 2014
A. Koribko, “Hybrid Warfare: An Indirect Adaptive Approach”, Moscow
Friendship University Edition, Prima Edizione, 2015
R. McDermott“Gerasimov Appeals for Military Science to
Forge New Forms of Combat” https://jamestown.org/program/gerasimov-appeals-for-military-science-to-forge-new-forms-of-combat/?fbclid=IwAR3DwfoOQeR9tyND2TFqJCpfGpg7lZzsn3r7Z1-s1IZBpvHPm2r6ySw38og ultima
visita 28/03/2019
M. Galeotti “The Vory: Russia's
Super Mafia”, Yale Press, Prima edizione, 2018
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