martedì 19 marzo 2024
lunedì 18 marzo 2024
Terrorismo La Minaccia jihadista in Italia ed In Europa. Nota
Sistema di Informazione per la Sicurezza della Repubblica Relazione 2023
La Relazione sulla politica dell’informazione
per la sicurezza della Repubblica, che ogni anno entro il 28 febbraio, deve
essere presentata al Parlamento e quindi ai cittadini italiani riflette diversificata gamma alla sicurezza
nazionale, che dalla prospettiva dell’intelligence, sono state alla prioritaria
attenzione nel corso del 2023. La Relazione poi evidenzia le principali
direttive di intervento lungo le quali gli Organismi informativi hanno operato a tutela degli interesse
nazionali in aderenza ai principi costituzionali.
La Relazione tratta nel terzo capitolo del terrorismo jihafista sia in Italia che in europa, nel quadro generale della minaccia di questo genere a livello globale trattata nel secondo capitolo
Segue poi un ampia gamma di informazioni infografiche. utili per comprendere l'entità del fenomeno
La Relazione è disponibile sui
siti governativi e può essere chiesta alla Emeroteca del CESVAM alla email:
centrostudicesvam@istitutonastroazzurro.org
sabato 9 marzo 2024
Politica Militare russa e invasione dell'Ucraina
Antonio Trogu
Nel
2022 la situazione geopolitica in Europa
si e’ modificata, e l’auspicata integrazione della UE nel centro del continente
con una transizione post-sovietica ad est e’ al momento in bilico. Nel marzo
del 2014 l’annessione alla Russia della Crimea, che dal 1954 era parte dell’Ucraina
, ed il conflitto nel Donbass hanno messo in forse quelli che erano i confini
post-sovietici ed hanno portato all’invasione della Ucraina.
Negli
ultimi anni prima dello scoppio del conflitto ucraino, vi e’ stata una
crescente propensione filo occidentale
di molti paesi ex sovietici che ha creato forti tensioni con la Russia anche
perché si sottraevano al privilegiato
rapporto politico economico e questo andava contro al progetto di unione
euroasiatica.
La
nascita di un governo ucraino dichiaratamente antirusso e filo occidentale
confinante con la russia andava contro l’idea di spazio post sovietico a guida
russa.
All'alba
del 24 febbraio 2022 il presidente russo Vladimir Putin ha dato l'ordine di
invadere l’Ucraina, decisione presa poco dopo il riconoscimento delle
repubbliche separatiste del Donbass situate in territorio ucraino, Donetsk
e Lugansk, e l'invio di truppe con la motivazione ufficiale di un’iniziativa di
peacekeeping. Questo nonostante il Memorandum di Budapest in accordo del quale in
cambio del disarmo nucleare dell’Ucraina, la Russia prometteva
di rispettare i suoi confini internazionalmente riconosciuti. Dunque
anche la Crimea era riconosciuta dalla Russia stessa come parte del territorio
sovrano ucraino.
Gli
Usa (Bill Clinton) e Regno Unito (John Major) diedero la garanzia
internazionale di vigilare sulla inviolabilità dei confini dell’Ucraina.
La stessa formula venne applicata anche a Bielorussia e Kazakistan. Essendo un
memorandum e non un trattato, non era legalmente vincolante. Ma era comunque un
impegno formale e scritto.
La
Russia ha invaso l'Ucraina con circa 150.000 soldati; prima
dell'invasione, manteneva circa 30.000 soldati nelle aree dell'Ucraina occupate
dal 2014. Nel settembre 2022, il governo russo ha chiamato 300.000 riservisti
al servizio militare attivo per sostenere la guerra in Ucraina. Nel novembre
2022, il presidente PUTIN ha firmato un decreto che consente ai russi con
doppia nazionalità e a quelli con status di residenza permanente in paesi
stranieri di essere arruolati nell'esercito per il servizio militare.
La
Bielorussia, dalla quale Putin cerca di avere un supporto militare, anche non
partecipando al momento con proprie truppe,
è nella realtà parte in causa nel conflitto, ad ottobre dello scorso anno ha autorizzato
il transito delle forze russe dirette nella parte nord dell’Ucraina confermando
così di essere un Paese satellite della
Federazione Russa.
Il
10 Ottobre 2022, secondo quanto riferito
dal presidente bielorusso Lukashenko, i presidenti
di Russia e Bielorussia hanno concordato lo schieramento di un
gruppo regionale congiunto di truppe, Russe e Bielorusse, al confine con
l’Ucraina. Il timore dell’Ucraina riguarda la possibilità che il confine
settentrionale diventi porta di accesso per le forze russe costringendo così lo
spostamento diparte delle forze ucraine a nord.
Altro
aspetto da sottolineare riguarda il referendum farsa, non riconosciuto
dall’occidente, che ha modificato la Costituzione cancellando lo status di
Paese non nucleare e permettendo il dispiegamento di armamenti nucleari sul
proprio territorio.
Putin ha
bisogno di truppe in una fase delicata dal conflitto e potrebbe attingere da
quelle dell’alleato a lui più vicino ed a lui subordinato ma occorre
considerare che il conflitto in Ucraina tra i bielorussi non è popolare, come
del resto in seno all’opinione pubblica non è affatto popolare lo stesso
Lukashenko, che ha superato l’ondata di proteste successive alla presidenziali
del 2020 solo grazie all’aiuto di Mosca.
A
quasi un anno dall’inizio del conflitto, quella in Ucraina sembra essere sempre
più una guerra di logoramento, la Russia si trova in una fase delicata del
conflitto, quella che avevano ipotizzato essere una operazione veloce si è rivelata
un pantano con l’offensiva bloccata ed una ingente perdita di uomini e mezzi. Sebbene la scarsità di
rifornimenti e munizioni stia ostacolando in modo decisivo l’avanzata delle
forze russe, Putin non dà segni di voler scendere a compromessi.
Anche
la politica interna della Russia ha avuto un cambio di passo, con gli
emendamenti alla costituzione approvati nel 2020, consentono un secondo mandato
consecutivo di 6 anni per il presidente eletto direttamente con voto popolare a
maggioranza assoluta. Inoltre per le elezioni presidenziali del 2024 i
precedenti mandati presidenziali non vengono considerati. Questo vuol dire che
l’attuale presidente, Putin , potrebbe essere rieletto fino al 2036.
giovedì 29 febbraio 2024
Sergio Benedetto Sabetta. Essere Nazione
To apeiron, ovvero l’essere “indefinito”
Riflessi
sull’identità nazionale
Te. Cpl. Art. Pe. Sergio Benedetto Sabetta
“ Il termine ellenico to apeiron non
significa solo infinitamente lungo/grande, ma anche indefinibile, complesso al
di là di ogni ragionevolezza, ciò-che-non-può-essere-gestito” ( David Foster Wallace – 39- Tutto di più, Codice ed.)
Osserva Cardini che nella cultura vi è un trend con una “concentrazione qualitativa ma forte diminuzione
qualitativa di chi detiene una preparazione medio – alta, proletarizzazione
culturale in fortissimo aumento, crescita dell’alfabetismo di ritorno e della
de mobilitazione intellettuale” (109), che si accompagna ad una “generale tendenza alla sparizione dei ceti
medi e alla proletarizzazione delle “moltitudini”.
In questa mancanza di un’idea di
Occidente vi è il disperdersi senza indirizzo, privi di una “cultura del limite” che ne costituisca il contenitore, se, come sottolinea Edward O. Wilson, “all’interno dei gruppi gli individui egoisti vincono sugli altruisti”, ma è
“tra o gruppi quelli che contengono altruisti vincono su quelli che formati da
egoisti” ( 79).
Vi è pertanto la necessità di un equilibrio fondato su
un’idea riconosciuta di Occidente con i suoi valori identitari.
Bauman
parla di una “decostruzione della
morte” e di una parallela “decostruzione
dell’immortalità”, in cui ad uno spostare l’attenzione sulle cause della
morte, che diventano comunque evitabili e razionalmente aggredibili, si
contrappone un annullamento dell’idea di eternità, in un presente fatto di
momenti, dove non vi è più distinzione fra transitorio e duraturo, dove la
storia e l’eterno, il prima e il dopo vengono a volatilizzarsi.
Viene annullata la distinzione tra il
presente dell’uomo e l’infinito di Dio, nella confusione che si crea cessa il
concetto di futuro, il ponte tra presente e infinito luogo d’incontro tra la
finitezza umana e la sua coscienza della divinità, nel volere ridurre tutto al
presente al futuro prossimo si vuole negare la probabilità di un infinito
immanente e causale sui destini umani, trasformandosi l’insieme in un “indefinito” privo di freccia temporale.
La scissione che è avvenuta tra mente e
corpo a partire da Descartes ha
favorito le “decostruzioni” indicate
da Bauman, la distinzione fra
proprietà attribuite ai soli eventi mentali e quelle proprie degli eventi
fisici ha fatto sì che il corpo, privo e staccato dalle manifestazioni di
intenzionalità mentali, è stato visto come una macchina da riparare i cui
guasti sono razionalmente aggredibili, fino a giungere ad un “naturalismo eliminazionalista” che
superando la stessa “teoria dell’identità”
ha negato l’esistenza dei fenomeni mentali autonomi dai concetti fisici ( Feigl – Place – Feyerabend), invertendo
l’antico prevalere della mente sul corpo.
Il rapporto tra mente e corpo è stato,
altresì, visto in termini esterni al sistema, nei quali impulsi provenienti da
differenti ambienti danno luogo a interpretazioni differenti del sistema
stesso, il tutto, quindi, manovrabile completamente dal e mediante il contesto
ambientale ( Putnam).
L’intrinseca capacità della natura di
elaborare informazioni comporta una complessità del sistema con una conseguente
ridotta capacità di prevedibilità delle future informazioni, lo stesso vuoto
tra un’informazione e l’altra modifica e
interpreta l’informazione trasmessa, ma nell’uomo vi è l’ulteriore complessità
determinata dalla moltitudine di linguaggi come mezzi di trasmissione
dell’informazione.
Osserva Lloyd
che è più semplice quantificare l’informazione, come energia o denaro, che
qualificarla e definirla correttamente, d’altronde l’ambiguità del linguaggio
umano da elemento di disturbo del sistema diventa di per sé stesso un ulteriore
mezzo espressivo, che arricchisce le possibilità di trasmissione a fronte della
non conoscenza dei modi di elaborazione delle informazioni da parte della mente
umana.
Molta informazione è invisibile senza la necessità di alcun
intervento umano, se a questo aggiungiamo la logica e una certa
autoreferenzialità si ottiene l’imprevedibilità delle azioni umane.
Il sogno della certezza, della prevedibilità solo
presente e quindi del tutto controllabile delle nostre vite ci fornisce la
certezza economica per una totalità dei consumi, in cui l’accumulo mediante
risparmio per un arco di tempo incerto perde le caratteristiche della virtù
invertendo i valori, d’altronde la stessa finanza ha provveduto a sbriciolare
le certezze future.
Il nostro finito costeggia senza posa
l’infinito, l’unità uomo è inscatolata in infinite strutture sommariamente
identiche che tuttavia variano la “risoluzione” dell’immagine su scale
differenti in una proiezione indefinita del tempo, quello che può anche
definirsi un “ideale a infinito interno”
(Luminet - Lachiéze - Rey), in questa
lotta perenne tra finito e intuizione dobbiamo occuparci non solo e tanto dell’
esistenza quanto di quello che Russell definisce
una “possibilità di esistenza”, frutto di una composizione infinita di
trasformazioni infinitesimali.
Il tempo risultato del continuo cambiamento
della configurazione del sistema viene da noi percepito in funzione della
nostra posizione nel sistema che ci comprende, la somma dei nostri diverso “Adesso” in cui la nostra esperienza è
immersa crea le varie probabilità che possiamo percepire (Barbour), ma noi tendiamo a vivere nel qui ed ora quale risultato
di una causalità orizzontale della totalità delle cose, così che per noi le
cose non diventano ma sono.
Viene, pertanto, negata la probabilità
degli eventi per un immanentismo totale senza futuro, ma anche senza la
possibilità del rischio della morte e dell’impotenza che diventa antieconomica
e quindi da negare, ogni azione umana viene così imperniata nella negazione
della possibilità del cessare, nell’ esistere di un continuo presente che rinasce
quale idea ad ogni costruzione dell’uomo, da quella economica a quella
giuridico – sociale e quindi politica.
Vi è pertanto uno scollamento sul
sentimento di identità nazionale, la Nazione quale società degli antenati
legata ad un territorio tra passato e futuro, questa viene a sciogliersi in una
globalità indefinita, nell’interstatualità di un internazionalismo obliquo e
indeterminato, nella cui generale incertezza rientra anche il problema
demografico, ridotto anch’esso in gran parte ad un puro aspetto economico
individuale, non come investimento collettivo.
In questo sciogliersi dell’identità
dell’individuo nell’indefinito, utile ad un determinato modello economico,
nasce inaspettatamente lo scontro, il conflitto con le diverse realtà culturali
esistenti e il loro riaffermarsi anche in termini bellici.
Bibliografia
·
AA.VV.,
Popolazione e potere, Aspenia, 2023;
·
Z. Bauman,
Mortalità, immortalità e altre strategie di vita, Il Mulino, 1995;
·
J. Barbour, La
fine del tempo, Einaudi, 2003;
·
F. Cardini, La deriva
dell’Occidente, Laterza, 2023;
·
L. Geymonat,
storia del pensiero filosofico e scientifico, Garzanti,1996;
·
S. Lloyd, Il
programma dell’universo, Einaudi, 2006;
·
J.P. Luminet, M.
Lachiéze-Rey, Finito o infinito?, Cortina ed., 2006;
·
Edward O. Wilson,
Le origini profonde delle società umane, Raffaello Cortina Ed., 2020.
martedì 20 febbraio 2024
sabato 10 febbraio 2024
Antonio Trogu. Paesi del Club dell'Atomo. Gran Bretagna e Francia
Gran Bretagna
Nel
progetto Manhattan, progetto nucleare
americano che portò il Paese a produrre l'atomica durante la Seconda Guerra
Mondiale, furono coinvolti anche alcuni esperti inglesi, ma nel
1946 la legge Mac Mahon vietò agli Stati Uniti qualsiasi collaborazione in
campo nucleare con Stati stranieri, tra cui anche gli alleati. Fu allora che la
Gran Bretagna si dotò di un programma proprio, procedendo ad una serie test
autonomi, dei quali il primo si registrò nel 1952. A questo fece
seguito nel 1957 l'Operazione Grapple, con la detonazione della prima
bomba all'idrogeno britannica. Oggi possiede 215 testate di cui 150 dispiegate,
esclusivamente per uso sottomarino. Il Regno Unito è quindi la quarta potenza
nucleare del mondo in termini di numero di testate possedute. Il governo
britannico mantiene una flotta di quattro sottomarini con capacità nucleari in
Scozia, ognuno armato con 16 missili balistici intercontinentali della serie
Trident. Negli anni passati è stato avviato l'ammodernamento dell'arsenale, che
dovrebbe concludersi nel 2024.
Francia
Anche la Francia fa parte del club nucleare. Il suo
programma, già avviato alla fine degli anni Cinquanta, conobbe una impennata
sotto la presidenza di Charles De Gaulle e il primo test, il cosiddetto “Gerboise
bleue”, fu eseguito nel 1960 nel deserto dell'Algeria, il più potente mai
realizzato. Dopo essersi liberato del fardello delle colonie e aver aumentato
notevolmente i poteri del Presidente a spese del Parlamento, De Gaulle si concentrò
su due obbiettivi: riportare la Francia al rango che riteneva le spettasse di
potenza preminente in Europa ed emancipare l’Europa dall’egemonia esercitata
dalle due superpotenze. Inoltre sostenne che l’Europa non avrebbe dovuto
affidare la propria sicurezza agli Stati Uniti, i quali avevano ormai cessato
di esercitare la funzione di “scudo” per rallentare l’avanzata comunista. La
dottrina strategica di Eisenhower della Massive Retaliation non rappresentava
per De Gaulle una risposta al problema della sicurezza europea, ma non trovava
soddisfacente neanche la dottrina di Kennedy della Flexible Deterrent Options che prevedeva di commisurare la
potenza della risposta e il tipo di Forze impegnate, all'attacco subito; il timore era che la scomparsa dell’impegno incondizionato
di deterrenza nucleare statunitense avrebbe potuto invogliare l’Unione
Sovietica a ingaggiare una guerra convenzionale in Europa. Nel giugno 1985 De
Gaulle propose una radicale ristrutturazione della NATO per rafforzare il ruolo
della Francia, creando un direttorio interno tripartito composto da USA, GB e
Francia. Quando la proposta venne respinta da Washington, De Gaulle cercò
allora di aumentare l’influenza francese al di fuori della NATO con il progetto
Force de Frappe , forza di dissuasione nucleare indipendente basata sulle tre
componenti aerea, terrestre e marittima. La prima ad essere operativa fu quella
aerea (1964) su 62 bombardieri Mirage IV, la seconda componente fu quella
terrestre (agosto 1971) e l’ultima fu quella marittima (dicembre 1971).
L’obbiettivo principale della Force de Frappe era chiaramente politico
piuttosto che militare, mirando ad aumentare il prestigio e il potere della
Francia affinché essa assumesse il ruolo di terza forza rispetto alle due
superpotenze e il ruolo di guida di un’Europa occidentale libera dal controllo
statunitense. In seguito la Francia non ha aderito al PTBT (Partial Test
Ban Treaty) ma ha abbandonato autonomamente ( a seguito di pressanti pressioni
internazionali) i test atmosferici nel 1974 e nel 1992 ha firmato il trattato
di non proliferazione. Oggi possiede 300 testate.
mercoledì 31 gennaio 2024
Antonio TRogu. Paesi del Club dell'Atomo. Russia
Il
programma nucleare sovietico ebbe inizio
nel 1943, ma il primo test venne effettuato soltanto nel 1949, in risposta alla
corsa agli armamenti degli USA e poi testato a Semipalatinsk, nell'attuale
Kazakistan, nel 1953. Nel 1961 fu testato anche il più potente ordigno
all'idrogeno mai realizzato, soprannominato proprio per questo "bomba
zar". Per dare un'idea della forza sprigionata dall’ordigno basti pensare
che la sua potenza raggiungeva i 100 megatoni, quella lanciata sulla città di
Nagasaki non superava i 21. Per tale ordigno fu osservato un raggio di
distruzione totale di 35 km.
Nella
strategia militare e nel conseguente programma di armamenti che scaturiva dalla
sua dottrina, l'URSS seguiva la massima leninista secondo cui “la quantità ha
una qualità propria”, ad esempio nel
decennio 1977-1986 vennero costruiti 3.000 ICBM e SLBM e 140.000 missili
terra-aria[1].
Alla fine degli anni Ottanta l'arsenale sovietico raggiunse il picco, con circa
45mila testate disponibili. Con la fine dell'Urss e della guerra fredda, il
numero diminuì progressivamente, fino alle 7300 attuali, di cui
2800 dispiegate e pronte all'uso. In seguito al crollo dell'URSS nel 1991
per il neo costituito ministero della Difesa russo, la sfida immediata fu
quella di trasferire armamenti, mezzi, attrezzature e personale dai nuovi Stati
indipendenti al nuovo Stato russo. Russia, Ucraina, Bielorussia e Kazakistan, i
quattro stati con armi nucleari nel loro territorio, alla fine raggiunsero un
accordo per smantellare tutto l’armamento nucleare tattico e strategico nelle
repubbliche non russe o il suo rientro in Russia.
venerdì 19 gennaio 2024
mercoledì 10 gennaio 2024
domenica 24 dicembre 2023
martedì 19 dicembre 2023
Pensiero unico nel pluralismo di una Europa unificata
Sergio Benedetto
Sabetta
Vi è
attualmente una notevole difficoltà nel pensare il concetto di Europa nei
termini socio-politici di U.E., che cosa è l’Europa? Cosa dovrebbe essere? Vi
sono una pluralità di visioni, ognuna frutto di interessi, storie e culture
differenti ma strettamente intrecciate tra loro, in cui secondo il punto di
vista si possono sottolineare le differenze o le similitudini, una parentela tendenzialmente
litigiosa ma obbligata a convivere per storia e ristrettezza dei luoghi,
avvolta in un continuo scambio culturale.
La
centralità della Germania sia in termini geo-strategici che economici, il suo
peso nei confronti dei vicini ma anche la sua storia recente del Novecento,
crea aspettative, inquietudini e dubbi, da una parte si vorrebbe che prendesse
delle posizioni più decise, chiare e mettesse la sua forza economica a
disposizione dell’Unione, dall’altra vi è un timore che debordi schiacciando
gli alleati, creando malessere, nella difficoltà
di riportare la sua concezione austera e comunitaria dell’economia con quella
mediterranea del disavanzo collettivo a beneficio dell’individualismo familiare.
Gli Stati
Uniti a loro volta, da protettori di una U.E. utile agli scambi economici e quale
bastione contro il blocco orientale guidato dall’U.R.S.S., hanno acquisito una
certa indifferenza strategica mista a diffidenza per il forte surplus
commerciale della Germania.
Anche il rapporto con la Russia e la
Cina da parte dell’U.E. sono oggetto di attenzione e incomprensione, alcuni
problemi finanziari e di destabilizzazione dell’area del Mediterraneo, con i
loro strascichi immigratori, non appaiono essere estranei quali risultati di
manovre oltreoceano, l’Italia come pedina nei rapporti tra l’area germanica e
gli U.S.A.
La Banca
centrale europea (BCE), quale clone della Bundesbank, ne ha ereditato la
cultura della stabilità fondata sulla bassa inflazione e la stabilità del
cambio, elementi inseriti in statuto, l’austerità contabile che ne è conseguita
alla crisi del 2008 tende a scaricare sugli Stati Uniti l’onere della ripresa,
con profonde problematiche per le aree periferiche, le cui difficoltà aumentano
il potere del centro moderando ulteriormente l’inflazione e la diffidenza sia
degli U.S.A. che di altre aree dell’U. E.
Solo la Francia forte del suo peso
strategico resiste ad una accentuata austerità, ondeggiando nel suo rapporto
con Berlino per la quale l’asse Parigi - Berlino è fondamentale per la
stabilizzazione dell’U.E.
La Francia
da parte sua ha teso a compensare il dinamismo economico tedesco con la potenza
militare e l’attività diplomatica, ma le crisi che si sono succedute dai primi
anni Duemila con il rigetto da parte francese nel 2005 della costituzione
europea, l’eccesso di tecnocrazia imposto all’U.E. con il Trattato di Lisbona
del 2006, la crisi finanziaria del 2008, la non brillante gestione della
primavera araba nel 2011, con la successiva collegata crisi migratoria, e le
recenti crisi della pandemia e della guerra in Ucraina hanno reso evidenti
oltre ai limiti francesi anche quelli dell’Unione, obbligando Berlino e Parigi
a riconsiderare i loro rapporti, ancor più nel momento in cui la crisi europea
si era già manifestata con la Brexit
della Gran Bretagna.
L’uscita
dell’Inghilterra dall’U.E. e le difficoltà francesi nel gestire militarmente e
diplomaticamente le crisi e i conflitti alla periferia dell’Unione, per non
parlare della guerra all’Est, hanno dato nuova valenza al progetto “Ankerarmee” elaborato a Berlino e
proposto alla conferenza della Sicurezza di Monaco del 31/1/2014.
Vi è la necessità ed opportunità di
un maggiore impegno nella difesa comune, considerato il peso economico e
geopolitico, ma vi è anche il rischio di creare tensioni vista la memoria
storica, nasce pertanto la necessità di appoggiarsi sulla Francia per
stemperare i timori ed evitare futuri conflitti, ma anche di mantenere una
fedeltà alla Nato e cercare di continuare a coinvolgere la Gran Bretagna.
L’impegno
militare non può che accrescersi gradualmente evitando pericolosi eccessi, che
destabilizzano tanto gli equilibri con gli altri partner dell’Unione che
all’interno della stessa Repubblica Federale, dove è cresciuta una cultura che
delega la difesa all’esterno con i relativi costi, concentrandosi solo sugli
aspetti economici della produzione ed export.
Una cultura che con il tempo da
punitiva e contenitiva si è rivelata conveniente alla nuova economia globale,
eliminando parte delle spese militari improduttive e concentrando ricerca e
sviluppo sull’export, fino ad esplodere con la fine della Guerra fredda.
Nonostante
la diffidenza l’offerta di Berlino di diventare “Ankerarmee” (esercito àncora),
in modo da ottenere delle forze armate continentali specializzate per settori e
con un potenziale industriale - militare autonomo, è stato già accolto da
alcuni Stati dell’area germanica quali i Paesi Bassi e la Repubblica Ceca.
Ancora più interessante è
l’istituzione dall’aprile del 2017 del Kommando
Cyber und Informationsraum (Comando
cibernetico e dello spazio informativo), con
base a Bonn, con il compito di ciberdifesa ed in futuro di sviluppare
una potenzialità offensiva quale alternativa al potenziale nucleare.
In questi
scenari il “gruppo di Visagrad”, nel
raccogliere quattro paesi dell’ex patto di Varsavia, si pone quale gruppo di
pressione all’interno dell’Unione tra l’area occidentale e quella russa,
depositari di una propria storia drammatica del Novecento e di una cultura
condivisa sui valori e sui diritti forgiata dai drammi del secolo di ferro, d’altronde
l’U.E. ha due linee di frattura: una ad Oriente con il mondo Russo e l’altra
a Sud nel Mediterraneo, linee che si saldano nel Medio Oriente, di cui il mondo
balcanico nella sua frammentazione ne è una rappresentazione.
Il
Mediterraneo considerato da sempre elemento di instabilità per il confluire e
il raffrontarsi di culture diverse, interessi confliggenti e incrociarsi di vie
di comunicazione, è per l’Europa una soglia estremamente delicata, i cui paesi
europei che su di esso si affacciano possiedono una fragilità strutturale ed
una cultura alternativa a quella del Nord.
La Spagna è stata vista dalla
Germania, per un certo lasso di tempo, quale possibile alternativa all’Italia
nel bacino del Mediterraneo, al fine di una eventuale stabilizzazione e
integrazione dell’area, ma la speranza è andata a spegnersi a causa delle
tensioni interne e delle crisi economiche, mentre la Grecia è finita
commissariata.
Resta l’Italia con la sua storia
particolare quale unico paese immerso nel Mediterraneo, vi è tuttavia una
fragilità strutturale dello stesso dato dalle divisioni interne dovute anche dalle
sue differenze storico – culturali, ulteriormente accentuatesi in questo
momento di crisi.
Già Luttwak prevedeva negli anni Novanta del
secolo scorso il sovrapporsi del conflitto geo-economico al classico conflitto
militare, un conflitto che si apriva anche tra gli ex alleati del fronte
occidentale così da superare “la visione
serafica dell’Europa di Maastricht
propagandata dal massimalismo europeista”(87, L. Incisa di Camerana, La vittoria dell’Italia nella terza guerra
mondiale , Laterza, 1996).
L’Italia in questi nuovi scenari assumeva una
visione universalistica tra una agenzia dell’ONU e la C.R.I. (1), senza una
politica estera ben definita, seguendo la politica già perseguita durante la
guerra fredda di un basso profilo militare, adeguandosi al clima politico e
sociale esistente prevalentemente pacifista e ripiegato sulle dinamiche
interne, tale da trasformare l’Italia in un possibile campo di battaglia socio-economico
per Stati e potentati esteri, come nel XVI secolo in cui ad una ricchezza
culturale ed economica corrispondeva una debolezza politico-amministrativa (2).
L’Italia
risulta quindi essere stretta tra
Germania e Stati Uniti, sottoposta a facili pressioni internazionali sia
dirette che indirette, basti pensare alle ripetute crisi finanziarie del debito
pubblico, alle pressioni migratorie e alle infiltrazioni cinese e russe, con
una politica estera indecisa, in affanno nella difesa del proprio capitale
industriale, percorsa da fremiti pacifisti, terzomondisti e idealisti nel
pubblico ma fortemente individualista nel privato, sostanzialmente
delocalizzata nel proprio intimo e quindi nell’impossibilità di inserirsi, se
non occasionalmente, sia nel triangolo Parigi-Londra-Berlino che nel duopolio
Parigi-Berlino, non in grado di assumere una politica europea coerente ed erede
di una cultura in cui la “commendatio”
è parte del proprio essere.
Le tensioni
e i conflitti finora descritti, sia interni tra visioni politiche differenti,
che esterne, secondo un arco di crisi che va dal Baltico al Mediterraneo per
estendersi all’Atlantico, hanno fatto sì che in mancanza di una forte
legittimazione politica derivante dal voto delle popolazioni europee, prevalessero
le tecnostrutture di Bruxelles e della BCE, espressione delle maggiori forze
nazionali europee, creando dei poli naturali obbligati , ma mettendo a rischio
nel tempo la tenuta della stessa U.E., non resta che rifarsi alla storia
dell’Europa.
Togliendo la
struttura variabile propria della costruzione politica dell’Impero romano, già
il cristianesimo ha originariamente manifestato una marcata autonomia culturale
tra le diverse comunità, una fluidità istituzionale con centri direttivi
paritari, dove esistevano “le Chiese” e non “la Chiesa”, solo lentamente si
formò una struttura istituzionale più accentrata, ma comunque mai come quella
che emerse dal Concilio tridentino nel XVI secolo.
Ne sono testimoni i vari concili
ecumenici che si susseguirono nel IV e V secolo, tutti orientati per il
prevalere politico della parte orientale dell’Impero, a cui si affiancarono i
concili locali provinciali, ma anche alla dissoluzione dell’Impero d’Occidente
una costellazione di regni romano-barbarici diedero origine ad una variabile
notevole nei rapporti interni tra popolazione ed esterni con l’autorità formale
dell’Impero, per non scordare dell’articolazione del Sacro Romano Impero e
delle trasformazioni subite nella sua millenaria storia fino allo scioglimento
napoleonico, come anche della pluralità dell’Impero asburgico.
Vi è in
altre parole nella genetica dell’Europa una varietà di forme e culture che ne
determinarono una apparente fragilità ma che costituiscono quell’intreccio che
ne rende resistente la matrice alle perdite e alle aggressioni, impedendo la
nascita di un pensiero unico ma l’esistenza di una serie di pensieri complementari
in osmosi fra essi.
Occorre pertanto evitare che il
prevalere di una tecnostruttura autoreferente, non legittimata dalle
popolazioni, conduca al dissolvimento dell’Unione per un autoritarismo
implicito che tenda ad appiattire le comunità su un’unica visione prevalente,
l’amalgama ci sarà ma avverrà spontaneamente e nei modi differenti da luogo a
luogo, né devono trarre in inganno i facili entusiasmi dei momenti di crescita
in quanto è nelle crisi che si vede la bontà di una costruzione.
BIBLIOGRAFIA
1. JEAN C., Geopolitica, Laterza, 1995;
2. Di Nolfo E., Storia delle relazioni
internazionali 1918-1992, Laterza, 1994; Romano S., Lo scambio ineguale,
Laterza, 1995;
3. AA.VV., U.S.A. – Germania duello per
l’Europa, in Limes, 5/2017.
domenica 10 dicembre 2023
mercoledì 29 novembre 2023
MOSCA E LA SUA POLITICA DI PENETRAZIONE IN AFRICA
Fonte: LIMES, RIVISTA ITALIANA DI GEOPOLITICA, AGOSTO 2023 AFRICA CONTRO OCCIDENTE
La guerra in Ucraina lo stallo che ne è seguito, la rivolta dei Wagner e la perdita di peso specifico della Russia aggiunto al fatto che il regime delle sanzioni ancora è in atto hanno sicuramente influenzato la politica di penetrazione in Africa della Russia. La ricerca di spazio politico, più che di risorge sia energetiche che strategiche, di cui la Russia non ne ha bisogno, fanno si che in Africa Mosca può risalire la china della credibilità come attore internazionale che le vicende ucraine hanno minato.
(www.unucisano.it/biblioteca)
domenica 19 novembre 2023
EUROPA ED AFRICA SECONDO I PRINCIPI DI BRUXELLES
Fonte: LIMES, RIVISTA ITALIANA DI GEOPOLITICA, AGOSTO 2023 AFRICA CONTRO OCCIDENTE
LA AARTA MOSTRA GLI STATI AFRICANI CHE IN VARIA MISURA E PARTE ERANO ASSOCIATI ALLA COMUNITà EUROPEA ALLA FINE DEL SECOLO SCORSO. IL RETAGGIO DI QUELLE INIZIATIVE ANCORA OGGI è PRESENTE NELLE RELAZIONI ERUOPA-AFRICA, MA DA PARTE AFRICANA SPESSO E' CONFUSO COME UNA FORMA PIU' RAFFINATA DI COLONIALISMO
giovedì 9 novembre 2023
La Russia e la sua posizione geostrategica attuale
martedì 31 ottobre 2023
La formazione dello Stato Austriaco Un esempio e monito per l'Europa
Ten. cpl. Art. Pe. Sergio
Benedetto Sabetta
Premessa
Nell’
attuale guerra in Ucraina si sono rivelate le dissonanze nell’U.E., Washington
nel fornire armi e appoggio diplomatico a Kiev ha chiaramente indicato nell’
U.E. il soggetto che dovrebbe gestire primariamente il conflitto, essendo per
gli U.S.A. il Pacifico, ossia la Cina, il fronte principale dove concentrare
l’attenzione e le risorse attualmente disponibili.
L’azione combinata
della Russia e della relativa reazione U.S.A. ha manifestato oltre alle crisi
delle manifatture militari, sia americano che Occidentale in generale,
anche “… la vaghezza dell’Occidente collettivo, né occidentale né
collettivo …”( 11), né l’America mira a disintegrare la Federazione Russa,
come chiaramente indicato a Kiev, o farle la guerra, con il rischio di creare
un buco nero ingestibile e instabile oltre a creare le premesse per una
potenziale nuova Guerra Globale.
( Editoriale, Storia all’Ucraina, 7 – 31, in
“Lezioni Ucraine”, Limes 5/2023)
Formazione dello Stato
Austriaco
Lo stato
austriaco è una creazione dinastica della Casa
degli Asburgo (Hasburg), ma
sarebbe un errore di valutazione scorgervi un insieme di territori diversi,
artificiale, uniti solo dal legale col medesimo sovrano. Invece, nel corso dei
secoli, si è venuta formando una “idea
austriaca”, comune a tutte le diverse e distinte parti sulle quali regnava
la Monarchia.
Questa “idea dell’Austria” riposa sulla
constatazione che i popoli riuniti sui paesi bagnati dal Danubio, diversi per
lingua, per origine e cultura, sono in realtà naturalmente portati a intendersi
sul terreno politico ed economico e non solo nel loro egoistico interesse ma in
quello dell’Europa intera.
Sorge l’idea
dell’Austria asburgica fondata sull’affermazione di una solidarietà che ha
origine nelle lotte fatte in comune, che si traduce in un ideale di civiltà.
Il nome di Austria
– Osterreich ( Reich von Osten – Regnum Orientis ) appare per la prima volta in un
documento firmato dall’imperatore del Sacro Romano Impero Germanico, Ottone III di Sassonia nel 996.
Il nome
indica una regione: la Marca dell’Est di Carlomagno,
che l’aveva creata dopo la distruzione degli Avari, per lungo tempo l’Austria
avrà il ruolo di bastione di fronte alle orde asiatiche che penetrano in
Occidente.
Nel secolo X
essa fu distrutta e assorbita dagli Ungari, che fissarono la loro frontiera col
mondo tedesco all’Enns, ma la vittoria di Ottone
I di Sassonia al Lechfeld in Baviera (955) sugli Ungari, permette la
ricostruzione della marca Orientale (Ostmark)
che passa nelle mani dei Babenberg, i
quali attraverso lunghi secoli di dominio, di guerre e di unioni dinastiche, la fondano
definitivamente dandole un notevole grado di civiltà tanto economica che
intellettuale.
Dopo un
breve dominio degli Slavi ( re Ottokar II
) e di unione con la Boemia, Rodolfo
di Habsburg, piccolo feudatario della Svizzera tedesca, rifonda l’Austria e
diventato imperatore nel 1273, dopo il tramonto della dinastia Sveva degli Hohenstaufen, vince gli Slavi a Marschfeld (1278) e pone sotto il suo
dominio i ducati di Carinzia e di Carniola (attuale Slovenia), della Stiria e dell’Austria vera e propria,
che assicura con feudi ereditari per i suoi figli, da allora fino al 1918 la
storia dell’Austria si identifica con quella degli Asburgo.
Il merito
storico di questi sovrani è stato quello di aver capito la solidarietà che già
univa i diversi Stati della regione danubiana: Boemia, Ungheria e Austria, così
che, invece di combattere con i vicini, cercarono sempre di legarli a sé con un’abile
politica matrimoniale, che ispirò più tardi i celebri versi:
Bella gerant alii, tu
felix Austria, nube,
Nam quae Mars aliis,
dat tibi regna Venus.
Così, di
combinazione matrimoniale in combinazione, Rodolfo
IV acquista la Contea del Tirolo e Alberto II, genero dell’Imperatore di
Germania Sigismondo, può ottenere a
sua volta di nuovo la corona del Reich (1438) e suo figlio Federico IV conia
l’orgogliosa insegna: A. E. I. O. U. – Austriae
est imperare orbi universo.
I risultati di questa politica si vedono con Massimiliano I ( 1493 – 1519 ), che sposando Maria di Borgogna, figlia di Carlo
il Temerario, porta all’Austria le ricche provincie della Franca Contea e
dei Paesi Bassi, questo sovrano, molto superiore a tutti i suoi predecessori,
fondò nei suoi Stati le basi per un solido accentramento moderno.
Consolida il
suo dominio nel Tirolo, svincola l’Austria dall’Ungheria dopo la morte di Mattia Corvino, definisce stabilmente i
suoi diritti nelle Fiandre e nell’Artois, misurandosi col re di Francia,
combattendo anche contro Carlo VIII,
e intervenire in Italia, stabilendo legami familiari con Ludovico il Moro, signore di Milano e, a danno di Venezia, annette all’Austria la
contea di Gorizia, fissando a Trieste lo sbocco al mare per i suoi Stati,
diventando al contempo padrone dei feudi indipendenti della Carinzia e di
alcuni del Friuli.
Il successo
più importante è tuttavia il matrimonio che riesce a concludere, dopo essere
diventato uno tra i più potenti sovrani d’Europa, tra suo figlio Filippo il Bello e la figlia dei reali
di Spagna Giovanna la Pazza, matrimonio che farà degli Asburgo i sovrani più
potenti del mondo con Carlo V . Anche
se l’impero universale sognato da Carlo V
non si realizzerà, gli Asburgo domineranno la Spagna e il suo impero fino
al 1713.
Inoltre,
anche il matrimonio dei suoi nipoti che riesce ad organizzare, Ferdinando e Maria, eredi di Luigi II
Jagellone, che già aveva le corone di Boemia e Ungheria, fece sì che per la
morte di questo re nella battaglia di Mohacs
contro i Turchi, anche questi regni si unirono all’Austria nell’unica
persona di Ferdinando.
Il 1526, battaglia di Mohacs,
appare dunque di importanza capitale per la storia dei tre paesi danubiani, è
la data dell’unità austriaca, sebbene si tratti di un’unione soltanto
personale, tuttavia essa forma una situazione di fatto, che nel orso dei secoli
darà vita all’idea austriaca.
Infatti nel ‘500 e nel ‘600 questi tre corpi di un solo Stato vivono eventi
eccezionali, per un verso essi devono solidarizzare e fare fronte comune contro
la mortale minaccia turca che preme dal Sud e dall’Ungheria, dall’altro la
riforma luterana che è lotta non solo anticattolica ma spesso antiasburgica,
dunque antiaustriaca.
Si delinea
così il senso dell’idea dell’Austria, essa è il bastione del cattolicesimo
romano contro i luterani da una parte e contro i turchi dall’altra. Nel corso
del ‘500 la Controriforma è attivissima in Austria: i Gesuiti si stabiliscono a
Vienna, a Praga e a Graz. La loro attività diventa più notevole nel secolo
XVII, educatori notevoli, essi si interessano soprattutto alle classi più
abbienti e ai nobili, imprimendo all’Austria una profonda e durevole impronta
cattolica.
I due
imperatori Rodolfo II, suo fratello Mattia e dopo di loro, Ferdinando II, lottano tenacemente contro i Luterani nella Guerra
dei 30 anni in cui avviene la germanizzazione della Boemia e contemporaneamente
l’accentramento più stretto intorno a Vienna di tutte le province dell’Impero,
dove la nobiltà tedesca e cattolica ne diventa la classe dirigente.
La lotta
contro i Turchi che gli Asburgo conducono con altrettanta tenacia, fa capire ai
popoli danubiani il senso della loro associazione e della loro missione storica
in Europa. Gli attacchi turchi che vanno da primi anni del ‘500 fino a
culminare nell’assedio di Vienna del 1683, vengono stroncati dopo l’eroica
resistenza sostenuta dal conte von
Stahremberg, aiutato e salvato in extremis dal re di Polonia Jan Sobieski.
Da questo
momento parte la controffensiva austriaca guidata dal Principe Eugenio di Savoia, che sebbene straniero fu ed è
considerato un eroe nazionale. Egli vince a Kahlenberg
e porta gli austriaci ad essere i padroni dell’Ungheria (Battaglia di Zenta),
inseguendo i Turchi e ricacciandoli fino alla Serbia (Belgrado), la lotta
storica degli Asburgo con i Turchi si conclude con la Pace di Passarowitz del 1717, che segna il trionfo dell’idea austriaca e degli Asburgo.
Tutte le
diverse nazionalità del loro Impero li
riconoscono tacitamente e vi è una legittima fierezza di farne parte di esserne
associati nel destino storico. Artefice di questo successo e del prestigio
asburgico è il Principe Eugenio che ha fatto concretamente sperimentare la
funzione dell’Austria, baluardo dell’Europa contro i Turchi e centro di
civiltà, capace di propagarla per tutto il sud-est balcanico.
Lo Stato
austriaco prende dunque coscienza di se stesso e sul finire del ‘600 dispone
già di una solida base economica. Nel 1684 uno studioso austriaco, von Hornigk,
considera che i paesi degli Asburgo formano “unum corpus naturale” un mondo chiuso e sparge la convinzione che
l’Austria, se elabora un piano accuratamente studiato può sorpassare tutti gli
altri Stati potendo tranquillamente vivere disponendo di risorse proprie oltre
a quelle necessarie.
Nella stessa
epoca il Consigliere imperiale Becher suggerisce
a Leopoldo I l’idea di formare una
sorta di unione doganale austro-germanica, che sottrarrebbe la nazione tedesca
dalla prevalenza economica della Francia e organizzare una Compagnia
dell’Oriente che importi tutti i prodotti necessari extra europei al regno.
Il governo
pratica infatti questo mercantilismo autarchico fondando a Vienna un Istituto
d’Arte ed Industria statale, mentre Carlo
VI sviluppa e amplia il porto di Trieste (1713-1740) sviluppando nei
Balcani il commercio austriaco e creando a Ostenda una Compagnia Austriaca
delle Indie.
Sono questi
i primi positivi e concreti segni della vitalità dell’idea austriaca, i sudditi imperiali vedono nell’unione politica con
l’Austria il loro benessere assicurato. Gli Asburgo non devono più ricorrere a
combinazioni, a machiavellismi, essi incarnano gli interessi delle necessità
naturali e delle volontà dei loro popoli.
Diffuso e
sentito è il lealismo monarchico nelle classi dirigenti anche se di diverse
nazionalità e Carlo VI può sancire la “Prammatica Sanzione”, ossia la Costituzione Imperiale (Reichsverfassung), che regola la
successione degli Asburgo nei loro Stati e, in questo caso, indica la figlia
dell’Imperatore, Maria Teresa .
Gli Stati
austriaci sono indivisibili e sotto l’autorità dell’Imperatore, tutti i sudditi
delle diverse nazionalità salutano con riconoscenza la decisione, gli Asburgo
non perseguono in questi secoli soltanto la politica dell’idea austriaca, essi
mandano avanti anche una politica imperiale tedesca, rilevanza all’elemento
germanico dell’impero e interesse per le vicende degli Stati dell’Impero
germanico extra austriaci, infine, anche una politica universalistica.
Capi del
Sacro Romano Impero Germanico, i sovrani austriaci conservano la loro posizione
nei confronti degli altri principi tedeschi. Hanno dovuto subire insuccessi
gravissimi in questo settore ed hanno dovuto riconoscere, dopo il Trattato di Westafalia, le “germanicae libertates” e in Germania, lo
sviluppo della Casa degli Hohenzollern
in Prussia, è una seria fonte di preoccupazioni.
Nessuno
peraltro gli contesta il grande prestigio e la loro funzione di baluardo del
germanismo e della germanizzazione nel centro e nel sud-est dell’Europa,
l’Imperatore d’Austria è la spada del Reich tedesco, per questo lotta contro i
Turchi e difende la Germania dall’espansionismo di Luigi XIV .
L’universalismo asburgico conosce il massimo apice nel ‘500 con Carlo V e questa eredità continua nei
secoli, il filosofo Leibniz , ancora
sul finire del ‘600, vede nell’Imperatore d’Austria e di Germania il capo del
mondo cristiano e l’Impero per il filosofo è di interesse universale.
E’ ovvio
come all’inizio del ‘700 questa antica e grandiosa ambizione degli Asburgo li
abbia messi, di proposito, nella guerra di successione spagnola contro i Borboni. Gli Asburgo non riescono a
vincere completamente l’antagonista borbonico, ma riescono comunque a mettere
le mani, con il Trattato di Rastadt
sui Paesi Bassi, sull’importante Ducato di Milano e il lontano Regno di Napoli.
Questi paesi
italiani, dove ora gli Asburgo estendono la loro egemonia, sono del tutto al di
fuori dell’orbita tedesca e danubiana, difficili e profondamente diversi, non
sono assimilabili all’Austria.
La stessa
vasta estensione raggiunta col Trattato
di Rastadt turba i Borboni che
ritengono necessario tornare alla lotta antiasburgica, la politica
universalistica torna quindi a danno
dello Stato austriaco, in quanto lo
impegna in una lotta con altri Stati che non sono essenziali alla sua struttura
e alla sua funzione storica di essere il centro degli interessi mitteleuropei e
danubiani.
Nei primi
anni del ‘700 e poi definitivamente con l’Imperatrice Maria Teresa torna di più in attualità l’idea austriaca, l’Austria
rinuncia all’idea universale e cede Napoli, riconciliandosi con i Borboni. Tuttavia, nel loro Impero gli Asburgo, come retaggio della Pace di Rastadt, continuano a conservare
Milano e la Lombardia.
La necessità
delle circostanze li obbliga ad essere presenti in Italia, paese del tutto
inassimilabile, eccentrico, che peserà sempre come fattore negativo in tutta la
loro politica, fino alla Prima Grande Guerra del Secolo XX.
E’ sempre
l’dea universale che si accompagna a quella austriaca a far sì che essi debbano
essere presenti nella Germania, certamente più congeniale e naturalmente più
vicina che non l’Italia, ma comunque condizionante in modo da esorbitare dal
vero loro fine storico: l’unione delle nazionalità e degli interessi
dell’Europa centrale e danubiana.
Gli Asburgo
vennero travolti e rovinarono il loro impero per non aver capito in tempo che
dovevano abbandonare l’idea universale e quindi disinteressarsi tanto
dell’Italia che della Germania, per svolgere il loro vero compito di far
sopravvivere l’antico blocco, confederazione di popoli che naturalmente devono
vivere associati: Austriaci, Boemi e
Ungheresi.
Quando
ebbero la tardiva coscienza di questo le nazionalità, ormai imbevute di nazionalismo,
si misero a sgretolare un blocco storico che forniva loro da secoli un elevato
livello di civiltà e di benessere, questo fu il principio di una decadenza
inarrestabile, per essere poi ridotte a Stati fragili, deboli, esposti a subire
il peso e l’ingerenza di Potenze straniere.
La storia
dell’Austria moderna è anche la storia della decadenza degli Asburgo, ma all’inizio del ‘700 l’Impero
austriaco brilla tra le grandi potenze del mondo, con Maria Teresa è al culmine della sua potenza, è un centro di civiltà
cattolica, sviluppa la civiltà del barocco e forma il
carattere e il temperamento dell’Austria, quel settore del mondo germanico sui generis:
cosmopolita, aperto al sud latino come all’oriente slavo, vero terreno di
quanto intendiamo per civiltà europea.