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Metodo di Ricerca ed analisi adottato

Medoto di ricerca ed analisi adottato
Vds post in data 30 dicembre 2009 sul blog www.coltrinariatlanteamerica seguento il percorso:
Nota 1 - L'approccio concettuale alla ricerca. Il metodo adottato
Nota 2 - La parametrazione delle Capacità dello Stato
Nota 3 - Il Rapporto tra i fattori di squilibrio e le capacità delloStato
Nota 4 - Il Metodo di calcolo adottato

Per gli altri continenti si rifà riferimento al citato blog www.coltrinariatlanteamerica.blogspot.com per la spiegazione del metodo di ricerca.

giovedì 31 marzo 2016

Germania: test di fiducia per Angela

Elezioni amministrative tedesche
Germania, segnali di metamorfosi politica
Gian Enrico Rusconi
23/03/2016
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Angela Merkel ha vinto la sua scommessa elettorale interna, sia pure di misura, riuscendo nel contempo a far passare a Bruxelles la sua linea di contenimento del fenomeno migratorio di massa. Ma il successo di Alternative für Deutschland ha introdotto una variabile insidiosa. Se l'accordo Ue-Turchia non funziona come auspicato, la situazione si farà estremamente pericolosa per il governo della Cancelliera.

Politica di accoglienza tedesca
Nella politica tedesca nulla è più come prima - come era nella primavera 2015, quando la Germania merkeliana agiva e mediava il conflitto russo-ucraino nella veste di autorevole rappresentante dell'Europa. Quando metteva in gioco la sua vera o presunta egemonia, senza sospettare quanto fosse vulnerabile. Il quadro ora è profondamente cambiato, con un inedito nesso tra politica interna e politica esterna, che ruota attorno alla questione dei migranti.

Guardando indietro a meno di un anno fa, è difficile dire se la Cancelliera presagisse il precipitare della crisi dell'intera area mediorientale sotto il violento attacco dell'autoproclamatosi “stato islamico”, con la distruzione dell'equilibrio dell'intera regione, con il coinvolgimento della Turchia e con l'intervento militare e diplomatico della Russia di Putin.

È difficile dire in base a quali considerazioni la Cancelliera fosse convinta che la sua politica di accoglienza contribuisse a risolvere il problema della fuga della popolazione civile. Confusamente, la sua decisione combinava ragioni umanitarie con l'attesa di una strategia comune che avrebbe dovuto coinvolgere politicamente l'intera Europa.

Ma questa politica europea è mancata. La Germania ha agito da sola. Ne è derivata una grande incertezza con effetti negativi sia all'interno della Germania sia all'esterno negli altri paesi europei, soprattutto in quelli limitrofi.

Test di fiducia per Merkel
Le elezioni tedesche sono avvenute sotto il segno di questa doppia incertezza. Innanzitutto l'incertezza se la Cancelliera avesse agito bene, mantenendo fermamente, ostinatamente di contro a tutte le critiche, il suo punto di vista ("Ce la faremo"); in secondo luogo, se ci si poteva e se ci si può affidare all' Europa con la sua evidente riluttanza ad allinearsi alle proposte tedesche. Soprattutto per quanto attiene al coinvolgimento tanto impegnativo della Turchia. In questa ottica, le elezioni sono state un test di fiducia nella Cancelliera.

Il risultato complessivo - pur nelle sue articolazioni e variazioni interne regionali - è stato positivo per la Merkel. Paradossalmente, non per il suo partito (la Cdu) , ma per la linea da lei sostenuta anche contro il parere di molti suoi deputati. Questo non significa che la Cancelliera abbia ottenuto una approvazione incondizionata. Al contrario, è stata avvertita che ora deve mantenere le promesse di una sensibile e controllata diminuzione della migrazione in Germania. Senza dimenticare che deve ricuperare e rinsaldare il ruolo tedesco nelle questioni economiche e finanziarie sempre sul tappeto.

Nuovi orientamenti della politica tedesca
In termini di equilibri politici interni si apre ora una fase di non facile decifrazione per lo scarto tra i numeri e i rapporti di alleanza esistenti in parlamento e i nuovi orientamenti che si delineano con le consultazioni regionali. Se confermati alle prossime consultazioni politiche, questi nuovi orientamenti modificheranno il panorama politico tradizionale tedesco.

I "partiti popolari" (Volksparteien) democristiani e socialdemocratico perderanno progressivamente peso, mentre si rafforzeranno i partiti minori (Verdi, liberali e sinistra/Linke) già significativamente presenti sulla scena. Il tutto sotto la minaccia di un ulteriore rafforzamento della AfD. Sembra delinearsi una sorta di discriminante tra partiti "tradizionali", "pro-sistema", orientati positivamente verso 'Ue e la nuova forza "anti-sistema".

In realtà nessuna di queste definizioni coglie nel segno. Tutte le formazioni politiche in campo sentono l'urgenza di una ridefinizione della loro identità. Compresa l' AfD , la cui qualifica corrente di partito "populista" non vuol dire proprio niente, per l'abuso che viene fatto di questo aggettivo.

È verosimile che con il passare del tempo cerchi di liberarsi degli aspetti più aggressivamente xenofobi, per riprendere alcuni tratti originari di partito di destra nazionale, concentrato sugli interessi primari della Germania, partito anti-euro, pro-Russia con il ricupero di quella prospettiva che un tempo si sarebbe chiamato il Sonderweg tedesco ("la strada speciale tedesca").

Non è il caso per il momento di lasciarsi andare a queste speculazioni. A breve e medio termine è prevedibile una convergenza di tutte le forze orientate verso l'Europa (magari con toni più esigenti verso l'Ue a cominciare dalla questione migratoria) per arginare "l'estremismo di destra". Ma è prematuro parlare di una nuova ipotetica grande estesa "Coalizione per la Germania" con assestamenti interni, con l'inclusione dei Verdi e dei Liberali che sono tornati a farsi sentire.

Un punto però è sicuro: soltanto una personalità come Angela Merkel è in grado di guidare in questa nuova situazione.

Gian Enrico Rusconi è professore emerito di Scienza politica dell’Università di Torino. Per alcuni anni Gastprofessor presso la Freie Universitaet di Berlino. Tra le sue pubblicazioni: Germania Italia Europa. Dallo Stato di potenza alla ‘potenza civile’ (Einaudi 2003, trad. tedesca, 2006); Berlino. La reinvenzione della Germania (Laterza 2009). Cavour e Bismarck (il Mulino 2011; trad. tedesca 2013).
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giovedì 24 marzo 2016

Europa: le tragedie ci ricordano che dobbiamo costruire ancora l'Europa

Tragedie europee
Nous sommes l’Europe
Nicoletta Pirozzi
22/03/2016
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La reazione emotiva collettiva alle tragedie delle studentesse Erasmus morte in un incidente stradale a Tarragona e agli attentati terroristici all’aeroporto e alla metropolitana di Bruxelles ci restituisce il senso dell’Europa come comunità di popoli e culture.

Le conquiste dell’Europa unita sono spesso sottovalutate o date per scontate: sia dalle generazioni che le hanno costruite e che troppo spesso le guardano ormai con occhi disillusi e cinici, sia dalle nuove generazioni, che le trattano come diritti acquisiti e poco rilevanti.

Eppure il fatto di sentire il peso dei fatti drammatici di Tarragona e di Bruxelles come fossero le proprie è un effetto poderoso della costruzione europea e forse quello che può salvarci dalla disgregazione in atto nel nostro continente.

Generazione Erasmus
Il programma Erasmus, che consente agli studenti di tutta Europa di acquisire esperienza e conoscenza in Paesi stranieri e di entrare in contatto con culture diverse e nuove, ha formato generazioni di cittadini europei non più avvezzi alle limitazioni dei confini, delle lingue, delle monete.

Eppure in anni recenti il programma ha rischiato di finire sotto la scure dei tagli al bilancio europeo, salvo poi essere recuperato nel nuovo pacchetto Erasmus + per il periodo 2014-2020, con un finanziamento complessivo di 14,7 miliardi di euro.

Il processo di integrazione ha garantito la creazione e lo sviluppo di istituzioni e simboli comuni che fanno di Bruxelles la capitale d’Europa, la sede di studio e delle prime esperienze lavorative di tanti giovani europei, un luogo di aggregazione che è ormai diventato parte delle coscienze individuali dei cittadini europei e il punto di riferimento per le élite politiche che ci governano.

Se a volte è difficile comunicare l’importanza che le conquiste dell’euro e di Schengen rivestono nella nostra vita quotidiana, è in frangenti come quello che stiamo vivendo che il bagaglio di esperienze condivise si mostra in tutta la sua potenza.

Occorre quindi sottolinearne la valenza, presentarla anche agli spiriti più critici e sbandierarla come traguardo storico europeo rispetto al resto del mondo. È sulla tenuta di questo terreno comune e sulla percezione di un demos europeo che si deve basare una rinascita del progetto di integrazione e il freno alle dinamiche di rinazionalizzazione e frammentazione dell’Unione.

Siamo forse disposti a rinunciare alla libertà e all’arricchimento assicurati dal mercato unico, dalla libera circolazione e da uno spazio culturale europeo? Possiamo permettere a dinamiche nazionaliste, populiste e financo terroristiche di privarci di questi pilastri della nostra esistenza nello spazio pubblico e privato europeo?

La risposta è ovviamente negativa e dovrebbe portare a conseguenze imprescindibili a livello politico ed istituzionale, oltre che culturale e sociale.

È essenziale in primo luogo promuovere un’Europa della cultura e della cittadinanza, dove possano sentirsi a casa tutti coloro che si riconoscono nei valori europei di democrazia, rispetto della stato di diritto, dei diritti umani e delle libertà fondamentali. È possibile investendo più risorse, umane e finanziarie, nell’integrazione culturale, nella lotta alla povertà e alla disoccupazione soprattutto delle giovani generazioni, nella protezione di un welfare europeo sostenibile.

Intelligence europea
Serve superare le barriere nazionali in materia di condivisione dell’intelligence, delle forze di polizia e dei sistemi giudiziari. La creazione di un’intelligence europea si impone in tutta la sua urgenza, insieme al rafforzamento delle istituzioni che sono state create per garantire una risposta europea alle minacce alla sicurezza, da Europol a Eurojust a Frontex.

Sul fronte dell’intelligence anti-terrorismo, va ricordato che l’Unione europea ha creato la figura del Coordinatore anti-terrorismo nel 2004, all’indomani degli attentati alla metropolitana di Madrid, ed ha elaborato una Strategia contro il terrorismo nel 2005. Tuttavia, la capacità di coordinare le azioni degli Stati membri in un’azione efficace di contrasto al terrorismo è ancora embrionale e limitata dalle competenze nazionali in materia.

All’interno del Servizio europeo per l’azione esterna, il nuovo servizio diplomatico europeo, esiste un Intelligence Centre (Intcen) che però non ha capacità autonome di raccolta e funziona soltanto su fonti open source o sulle informazioni volontariamente condivise dai governi nazionali.

L’azione politica e militare nei confronti dei Paesi che alimentano il terrorismo, materialmente e ideologicamente, deve essere coordinata attraverso istituzioni e capacità comuni. Un attacco a uno dei Paesi membri dell’Unione è un attacco a tutta l’Europa, e allo stesso tempo richiede una risposta coordinata e compatta che sia credibile sul fronte internazionale.

L’invocazione della clausola di difesa reciproca, introdotta dal Trattato di Lisbona all’indomani degli attentati terroristici di Parigi del novembre scorso è stato un segnale incoraggiante, salvo poi tradursi in negoziazioni bilaterali tra la Francia e i singoli Stati dell’Ue al fine di alleggerire le forze di sicurezza francesi dai numerosi impegni internazionali.

Non ci sono più scuse per ritardare l’utilizzodegli strumenti creati col Trattato di Lisbona del 2009 in materia di sicurezza e difesa, e per andare oltre nella creazione di un quartier generale unico che traduca in azione le decisioni di una Politica estera e di sicurezza comune.

L’Europa è nostra, noi siamo l’Europa. È il nostro patrimonio culturale che siamo chiamati a tutelare per non soccombere e scomparire.

Nicoletta Pirozzi è responsabile di ricerca presso lo IAI.
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Germania: l'accoglienza non è gradita

Elezioni regionali tedesche
Merkel sotto attacco dal fronte interno
Eugenio Salvati
17/03/2016
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Il risultato delle elezioni regionali tenutesi nei tre Länder della Sassonia-Anhalt, Renania-Palatinato e Baden Wutternmberg ha consegnato agli osservatori un quadro politico parzialmente mutato al cui centro vi è però sempre la kanzlerin Merkel, ormai apertamente sfidata da attori numerosi e diversi tra loro che si collocano sia all’interno che all’esterno del suo partito.

Gli avversari della Merkel si sono mobilitati negli ultimi mesi contro le scelte fatte dalla cancelliera in merito alla gestione della crisi dei rifugiati.

I dati elettorali rilevanti da registrare sono due: l’ottimo risultato di Alternative für Deutschland, Afd, il partito porta bandiera delle posizioni populiste, tradizionaliste e anti immigrazione che ha preso in totale poco meno del 20%, e il calo della Spd che conferma come i partner di governo della Merkel patiscano elettoralmente il ruolo della cancelliera.

Test all’accoglienza della Cancelliera
Il tema immigrazione è stato al centro di questa campagna elettorale, tanto da rendere il voto una sorta di referendum sulle politiche del governo federale. A questo proposito bisogna dire che la coalizione di governo viene sì punita dagli elettori, ma non subisce un vero tracollo, dato che la Cdu ha pagato un costo elettorale contenuto. Rispetto alle elezioni del 2011 negli stessi tre Länder, il partito della Merkel ha sostanzialmente tenuto perdendo all’incirca poco più di 600.000 voti totali.

Poco più elevato in termini assoluti è il calo della Spd che però, perdendo malamente nel Baden-Wuerttenberg, dove diventa il quarto partito, causa non poche difficoltà al Verde Winfried Kretschmann per riproporre la coalizione di governo. Il dato della Spd conferma il rischio che corre come junior partner della coalizione di perdere l’immagine di alternativa sistemica alla Cdu, risultando così politicamente svuotato (cosa già accaduta nella precedente esperienza di grande coalizione).

Questo calo contenuto, a cui va sommato il buon risultato di Verdi e Liberali che sono sostanzialmente concordi con la politica di accoglienza, rileva come la maggioranza dei tedeschi chiamati al voto non ha voluto punire la Merkel sul tema immigrati.

La sfida lanciata da Alternative für Deutschland
Ciò non può però marginalizzare il grande risultato di Afd, che nel giro di pochi mesi è diventato il vero interprete della insoddisfazione verso la Merkel, alimentata sia dall’animosità contro le politiche di accoglienza considerate troppo “aperte”, sia dell’ostilità per le posizioni della cancelliera rispetto all’Europa e ai rapporti con i partner comunitari.

Nonostante una situazione economica generale del paese alquanto positiva, Afd ha catalizzato tramite questi due temi il risentimento che cova nella Germania più profonda, in particolare riuscendo a riportare al voto chi si era precedentemente astenuto.

Non è un caso che il risultato più importante di Afd in questo turno elettorale è il 23% raccolto in Sassonia Anhalt, Land che può vantare il più alto tasso di disoccupazione in Germania, doppio rispetto a quello degli altri due Länder andati al voto. Dove l’economia e l’inclusione sociale sono più in difficoltà, il richiamo anti immigrazione e anti integrazione sembra farsi più suadente, specialmente se declinato in chiave di tutela dell’identità nazionale.

La sfida lanciata da Afd aveva già da alcuni mesi trovato sponda all’interno della Cdu-Csu; in particolare i settori più di destra del partito erano in allarme per paura di perdere terreno nei confronti del messaggio populista e di destra di Afd.

Il primo contrasto di rilievo è stato quello con il ministro delle finanze Wolfang Schäuble che incarna l’ala rigorista in materia di politica europea e che con le sue posizioni cerca di presidiare l’elettorato di destra più sensibile all’idea che i partner europei economicamente meno virtuosi non debbano pesare sulla fiscalità tedesca. Lo stesso Schäuble si è espresso in modo non entusiasta rispetto alla politica di accoglienza dei rifugiati voluta dalla Merkel.

C’è poi l’insofferenza del partito gemello della Cdu, la Csu bavarese, estremamente critico rispetto alla politica sui migranti, il cui leader aveva addirittura adombrato l'ipotesi di un ricorso davanti alla Corte di Karlsruhe contro la kanzlerin per la gestione degli ingressi. Crisi poi rientrata dopo il congresso della Cdu di dicembre.

Julia Kloeckner, l’alternativa alla Merkel che non decolla
Ci sono infine alcuni singoli esponenti della Cdu che hanno deciso di far sentire la loro voce, come i tre candidati in queste tre elezioni regionali. Tutti e tre hanno impostato la loro campagna criticando la politica della Merkel sugli immigrati e abbracciando posizioni nettamente più a destra della cancelliera.

Se in Sassonia-Anhalt Rainer Haselhoff continuerà a guidare il Land, molto peggio è andata a Julia Kloeckner, considerata una potenziale rivale della Merkel per la leadership del partito, che sperava di strappare il Renania Palatinato alla Spd, accentuando la sua distanza politica dalla Merkel. Infatti la Klöckner ha presentato alcune settimane fa un piano alternativo alle politiche di accoglienza del governo, con cui ha chiesto di stabilire un numero giornaliero fisso di profughi a cui permettere di entrare in Germania.

I potenziali avversari della Merkel sono molteplici e benché siano stati piegati nei conflitti diretti con la cancelliera, potrebbero riprendere fiato proprio grazie al successo di Afd. Nonostante il posizionamento di destra non sembri aiutare gli oppositori della Merkel, è probabile che continuerà una sorta di guerra di logoramento contro la cancelliera alimentata dalla paura della Cdu di perdere consensi in favore della destra populista.

Lo scarso successo, almeno fino ad ora, delle posizioni anti Merkel nella destra della Cdu è probabilmente dovuto alla capacità della kanzlerin di guadagnarsi la fiducia di un elettorato più attento al volto umanitario di certe politiche, in questo danneggiando soprattutto la Spd i cui contorni programmatico/valoriali e il suo appeal elettorale, sembrano più sbiaditi dopo anni di coabitazione con la Cdu di Angela Merkel.

Eugenio Salvati è Dottore di Ricerca in Scienza Politica, Università di Pavia.
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venerdì 18 marzo 2016

L'Europa rifiuta la Turchia. Ankara deve rimanere fuori dell'Unione

Allargamento
Ankara nell’Ue? No, grazie
Fabio Turato
11/03/2016
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Il rapporto tra Bruxelles e Ankara ha vissuto giorni migliori. È questo uno dei risultati emersi da un’indagine condotta da Demos&Pi sull’ingresso della Turchia nell’Unione europea, Ue.

Rispetto alla rilevazione condotta nel 2009, il pessimismo prevale nel 51% degli intervistati. Gli italiani che ritengono la Turchia non adatta all’Ue o che ne ritenevano un possibile ingresso non prima di dieci anni, salgono di 9 punti percentuali rispetto al 2009.

Calano invece di 15 punti percentuali gli ottimisti. Ovvero coloro che ritengono che Ankara possa entrare nell’Ue da subito o entro i cinque anni. In aumento invece il grado di incertezza sull’argomento che sale di sei punti percentuali (arrivando al17%); probabile riflesso della crisi geopolitica siriana.

Si tratta di orientamenti che, con ogni probabilità, risentono in buona misura della democrazia in chiave autoritaria interpretata dal presidente Racep Tayyip Erdogan, ma anche della costruzione mediatica occidentale che ne è seguita: dalla dura repressione a Gezi Park, agli scontri con la minoranza curda, all’ambiguo rapporto con l’autoproclamatosi “stato islamico”. Il che ne aumenta il grado di diffidenza nell’opinione pubblica italiana, come si può riscontrare anche nelle opinioni espresse.

Gli italiani e l’entrata della Turchia nell’Ue
Se consideriamo i cittadini in base alla intenzione di voto emerge come gli intervistati vicini alla Lega Nord ritengano pressoché irrealizzabile l’ingresso della Turchia nell’Ue nel 75% dei casi.

Un elevato grado di pessimismo (65%) è espresso anche da chi si percepisce vicino al Movimento 5 stelle, ma in questo caso la lettura risulta più sfumata. Tanto che, una parte consistente del suo bacino elettorale (31%) ritiene che Ankara possa ancora aspirare all’adesione comunitaria.

Si tratta di una lettura simile a quella offerta dagli intervistati prossimi a Forza Italia. In questo caso, la quota dei pessimisti scende al 59%, ma una componente cospicua (31%) è ancora possibilista, mentre gli incerti salgono al 10%.

Infine, l’entrata della Turchia nell’Ue risulta pressoché impossibile per il 45% degli elettori del Pd, ma in questo caso troviamo la componente percentuale più ottimista del quadro politico nazionale (36%), mentre il grado di incertezza e la sospensione del giudizio sale al 19% rispetto agli altri partiti.

Ue-Turchia: la collaborazione sui migranti
L’adesione turca sintetizza temi cari all’opinione pubblica italiana: dall’immigrazione al rapporto con l’Islam. Inoltre, non va dimenticato che i negoziati avviati da Bruxelles nel 2005 sono oggi praticamente bloccati e la crisi siro–irachena ci permette di toccare con mano gli effetti negativi nei ritardi dell’intesa.

Ragionare su forme di partenariato più stringente potrebbe altresì risultare una via per mantenere aperti canali di dialogo con un attore geopolitico determinante per la cerniera Europa-Medio Oriente.

Ne è un esempio la proposta europea di sostenere finanziariamente la gestione dei migranti sul territorio turco (solo dall’area siro-irachena sono presenti oltre due milioni di rifugiati). Nonché della possibilità della liberalizzazione dei visti verso l’Ue per i cittadini turchi entro ottobre 2016 qualora si inneschi un clima di reciproca collaborazione.

Tuttavia, tatticismi e rigidità manifestate sull’argomento da diversi paesi comunitari, sfidanole concrete capacità dell’Ue europea nell’attuazione del progetto.

Fabio Turato insegna Relazioni internazionali presso la Scuola di Scienze politiche dell’Università degli Studi di Urbino “Carlo Bo”.
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mercoledì 9 marzo 2016

Europa: ancora non si vede una strategia

Immigrazione
Bye bye Dublin? 
Marcello Di Filippo
01/03/2016
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Da qualche tempo negli ambienti europei l’idea di una profonda revisione del regolamento Dublino III non è più un taboo. La Commissione europea dovrebbe presentare a breve una proposta.

Tale atto stabilisce quale Stato membro è competente a esaminare una richiesta di asilo e, nel caso in cui la procedura abbia esito positivo, a farsi carico della persona nel lungo periodo: la 'applicazione pratica’ di tali criteri ha determinato negli anni un notevole aggravio per gli Stati posti alla frontiera esterna dell’area Schengen.

Al tempo stesso, questi paesi non sempre riescono a controllare la propria porzione di frontiera esterna, registrare le persone entrate e trattenerle sul proprio territorio per il tempo necessario ad esaminare il loro status.

Inoltre, i paesi di prima linea non sono di solito la meta dei richiedenti asilo, i quali intendono raggiungere alcuni Stati dell’Europa centro-settentrionale. Ne conseguono notevoli flussi irregolari (c.d. movimenti secondari), con destinazione detti paesi.

Trasferimenti Dublino, dati sconfortanti
Per porre rimedio a tale situazione, il regolamento prevede i c.d. trasferimenti Dublino, una procedura coattiva secondo cui il richiedente asilo che si trova nello Stato non competente viene deportato verso quello competente.

Dalla prassi applicativa emergono dati sconfortanti: pochi trasferimenti a fronte dell’entità reale dei movimenti secondari, difficoltà della cooperazione interstatale in materia, divieto di trasferimento verso paesi temporaneamente non sicuri (tra cui spicca la Grecia), misure unilaterali quali reintroduzione di controlli alle frontiere interne e strette sugli ingressi, anche di genuini richiedenti asilo.

In questo quadro, le tensioni politiche continuano a crescere, sia tra i governi che all’interno dei paesi più esposti o più generosi.

La tenuta dell’area Schengen è messa a serio rischio. Molti richiedenti asilo e migranti sono esposti a violazioni dei loro diritti e allo sfruttamento dei trafficanti.

Nel settembre 2015 è stato adottato un regime temporaneo di ricollocazione dei richiedenti asilo per sostenere gli sforzi di Grecia e Italia.

risultati ottenuti finora sono deludenti. Inoltre, tale schema è stato concepito come mera eccezione transitoria a un quadro giuridico i cui elementi portanti rimangono invariati, sui quali è quanto mai urgente pensare a soluzioni ambiziose e al tempo stesso realistiche.

Italia in prima linea per una nuova disciplina
In quanto paese di prima linea, è auspicabile che l’Italia promuova un approccio nuovo all’individuazione dello Stato competente.

La necessaria costruzione del consenso intorno a idee capaci di ovviare all’attuale situazione può e deve fondarsi su argomenti capaci di incontrare positivo apprezzamento da parte degli altri governi (sia di prima che di “seconda” linea), delle istituzioni europee, dell’opinione pubblica europea.

Prendendo spunto dall’esperienza realizzata in decenni di cooperazione internazionale nella determinazione della giurisdizione in materia civile, commerciale e penale (nel cui ambito, i titoli di giurisdizione sono calibrati sulla ricorrenza di un collegamento reale tra uno Stato e i soggetti o gli interessi coinvolti), le linee guida di una nuova disciplina potrebbero essere così sintetizzabili:

1) formulare i criteri giurisdizionali facendo leva sull’esistenza di un collegamento sostanziale tra il richiedente asilo e lo stato membro (relazioni familiari, professionali e sociali che siano obiettivamente verificabili). Un Paese collegato genuinamente con il richiedente è quello meglio situato per agevolarne un effettivo inserimento sociale e lavorativo, con costi e tempi ridotti per il sistema di assistenza sociale. Ne discenderebbe un’alta propensione alla compliance da parte dei richiedenti asilo. Detto altrimenti, uno scenario win-win;

2) elaborare un meccanismo di quote, da aggiornare periodicamente, che individui le effettive capacità di accoglienza degli stati e tuteli i Paesi più generosi e più esposti;

3) ove sussista un legame effettivo con uno stato, questo sarà competente, indipendentemente dal luogo di primo ingresso. Ove siano presenti collegamenti sostanziali con più Paesi, il richiedente potrebbe esprimere una preferenza. Se lo stato designato in uno dei due modi indicati ha già superato la propria quota, la competenza passerebbe a un altro paese collegato con il richiedente;

4) in assenza di legami con uno specifico stato, il richiedente asilo sarà assegnato al Paese che ha il minor tasso di soddisfacimento della propria quota. In seguito, ove la procedura di asilo si concluda positivamente, il rifugiato potrebbe accettare un lavoro in un altro stato membro.

Equilibrio tra esigenze e aspirazioni di richiedenti asilo
Questa impostazione contribuirebbe a ridurre le tensioni tra gli Stati membri e stabilirebbe un ragionevole equilibrio tra le loro esigenze e le aspirazioni dei richiedenti asilo. Il richiedente asilo sarebbe scoraggiato dal tenere comportamenti elusivi, e in alcuni casi le sue preferenze o il suo protagonismo economico riceverebbero riconoscimento sul piano giuridico.

Il nuovo sistema non renderebbe le cose più complicate per i sistemi nazionali: al contrario, porterebbe ordine in una situazione lose-lose ove il caos regna sovrano. Inoltre, l’approccio qui proposto consentirebbe di rassicurare l’opinione pubblica e di contrastare argomentazioni faziose.

Infine, potrebbe incentivare la condotta di operazioni SAR da parte di Stati o enti privati in quanto sarebbe scardinato l’assunto secondo cui lo Stato che autorizza lo sbarco deve anche necessariamente farsi carico della gestione del richiedente asilo sul lungo periodo.

Marcello Di Filippo è Professore associato di Diritto internazionale nell’Università di Pisa e Coordinatore dell’ Osservatorio sul diritto europeo dell’immigrazione.
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domenica 6 marzo 2016

Dialogo con la Geopolitica ed Oltre con Eugenio di Rienzo


dirienzo 1 1Tornano, il prossimo 12 marzo, i “Dialoghi sulla Geopolitica e oltre” dell’IsAG, questa volta con ospite Eugenio Di Rienzo, Professore Ordinario di Storia Moderna all’Università Sapienza e Direttore della “Nuova Rivista Storica”.
Negli ultimi anni Di Rienzo, dopo aver studiato la Francia e il Regno delle Due Sicilie nel quadro delle rivalità internazionali dell’Ottocento, e i retroscena dei contatti diplomatici tra URSS e potenze dell’Asse negli anni ’40 del secolo scorso, ha trasposto questi suoi interessi all’epoca contemporanea, con due fortunate opere su Afghanistan e Ucraina.
Dei “Grandi Giochi” tra potenze mondiali, dall’ieri all’oggi, con la sua competenza storica e il tagliente anticonformismo che lo caratterizza, Eugenio Di Rienzo discuterà col pubblico e con Giacomo Guarini in un dibattito aperto tra passato, presente e futuro.
L’appuntamento è per sabato 12 marzo 2016, dalle ore 10.00 alle ore 12.00, presso la Biblioteca “Franco Basaglia” di Via Federico Borromeo 67, Roma.
Clicca qui per la locandina: [pdf] [jpg].
L’ingresso è libero, gradita la previa registrazione tramite il modulo in linea seguente: