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Metodo di Ricerca ed analisi adottato

Medoto di ricerca ed analisi adottato
Vds post in data 30 dicembre 2009 sul blog www.coltrinariatlanteamerica seguento il percorso:
Nota 1 - L'approccio concettuale alla ricerca. Il metodo adottato
Nota 2 - La parametrazione delle Capacità dello Stato
Nota 3 - Il Rapporto tra i fattori di squilibrio e le capacità delloStato
Nota 4 - Il Metodo di calcolo adottato

Per gli altri continenti si rifà riferimento al citato blog www.coltrinariatlanteamerica.blogspot.com per la spiegazione del metodo di ricerca.

venerdì 31 marzo 2023

Salvatore Domenico Vassapolli. I Servizi di Intelligence negli Stati UE.. La Spagna

 


Paese di illustre tradizione coloniale, posto al confine tra l’Europa e l’Africa, la Spagna ha da sempre avuto una vocazione transfrontaliera e multiculturale.

La fine della stagione imperialista, gli sconvolgimenti politici del Novecento e il trentennio franchista hanno prodotto una notevole instabilità interna e un diffuso senso di spaesamento sociale, parzialmente attenuato dall’adesione alla Nato nel 1982 e dalla successiva adesione alla Comunità Europea, che hanno comunque costituito l’occasione per un nuovo rilancio della cooperazione internazionale soprattutto in chiave politica, militare ed economica.

Le sfide del nuovo millennio non hanno esentato Madrid da un complessivo ripensamento della propria collocazione internazionale, anche in ragione delle sfide, dei rischi e delle possibilità esistenti all’orizzonte. Del resto, l’asse Baleari-Gibilterra-Canarie rimane tuttora un punto nevralgico del sistema di sicurezza del Paese. L’enclave di Ceuta, pur di indiscusso valore strategico, pone la Spagna quale avamposto dell’Unione Europea verso i rischi derivanti dal caos politico-sociale del Mediterraneo allargato in punto di immigrazione clandestina e terrorismo, come tragicamente dimostrato dall’attentato condotto alla metropolitana di Madrid l’11 marzo 2004.

Non stupisce, dunque, come i servizi di intelligence nazionali siano lo specchio di uno scenario così composito, la cui priorità rimane comunque la stabilità politica interna[1].

Nati nel periodo della dittatura franchista e completamente rivisitati all’indomani della sua caduta, i servizi di intelligence spagnoli sono stati oggetto di un’ulteriore riforma dopo gli attentati dell’11 Settembre 2001, nell’ambito di un più ampio ripensamento della strategia di difesa e sicurezza nazionale volta ad uno snellimento burocratico e ad un consolidamento delle regole democratiche.

In tale contesto, nel 2002, trovò i natali il Centro National de Inteligencia (CNI), formalmente dipendente dal dicastero della Difesa ma di fatto costituente un’entità a sé stante, chiamata a rendere conto dell’attività svolta unicamente al Primo Ministro spagnolo.

Il CNI assomma il ruolo di servizio preposto allo spionaggio e controspionaggio, interno ed estero, facendosi garante anche della funzione di coordinamento con le altre strutture informative del sistema di intelligence nazionale. In tal senso, il riferimento corre al Centro de Inteligencia de las Fuerzas Armadas (CIFAS), con competenza in materia di spionaggio militare, nonché al Centro Nacional de Coordinación Antiterrorista (CNCA), ovvero la struttura deputata in via sistematica all’antiterrorismo.

Dal momento che il personale del CNI è privo della qualifica di agente di polizia giudiziaria, ogni azione di contrasto al crimine di supporto nella lotta al terrorismo è per forza di cose devoluta ad appositi comparti della polizia nazionale (Comisaría General de Información - CGI) e della gendarmeria (Servicio de Información de la Guardia Civil - SIGC).

La matrice terroristica dei recenti attacchi condotti nel Vecchio Continente ha indotto la Spagna, analogamente ad altre realtà europee, a concentrare i propri sforzi principalmente per arginare il fenomeno dei lupi solitari, anche se il redivivo attivismo di alcune cellule dell’indipendentismo basco (ETA) suggerisce di non sottovalutare la minaccia posta da un possibile partenariato cointeressato delle stesse con esponenti del network del terrore, per creare quel clima di instabilità interna funzionale al raggiungimento dei rispettivi obiettivi criminali[2].



[2] A titolo esemplificativo, cfr. Santucci G., “Volevano lanciare un tir contro la Sagrada Familia”, in Corriere della Sera, 20 Agosto 2019.

lunedì 20 marzo 2023

Salvatore Domenico Vassapolli. I Servizi di Intelligence negli Stati UE.. La Francia

 


Francia

Sin dagli albori dello Stato moderno, la Francia ha avvertito la necessità di avvalersi in via sistematica di apparati preposti in via strutturata alla raccolta di informazioni strategicamente rilevanti per la preservazione della stabilità interna e l’accrescimento del proprio predominio d’oltralpe.

Oggigiorno, i servizi di intelligence francesi sono sei e si dividono essenzialmente in militari e civili, in linea con la tradizionale divisione amministrativa dello Stato centralizzato[1].

In particolare, dal dicastero della Difesa dipendono: la Direction Générale de la Sécurité Extérieure (DGSE) competente per il servizio estero; la Direction de la Protection et de la Sécurité de la Défense (DPSD) competente per la sicurezza interna; la Direction du Renseignement Militaire (DRM) competente per le informazioni tattico-strategiche delle Forze armate nazionali, da cui dipende anche la gestione e l’impiego del satellite da osservazione Hélios.

Dal dicastero dell’Interno, invece, dipende la Direction Ccentrale du Renseignement Intérieur (DCRI) competente per il controspionaggio e la lotta al terrorismo interno.

Infine, dal dicastero dell’Economia dipendono: la Direction Nationale du Renseignement et des Enquêtes Douanières (DNRED), competente per le indagini doganali e movimenti di merci sospette; la Cellule de Traitement du Renseignement et de l'Action contre les Circuits Financiers clandestins (TRACFIN), incaricati dell’attività di intelligence sui traffici finanziari sospetti e clandestini.

Delineato sommariamente l’organigramma strutturale dei servizi di intelligence, è opportuno soffermarsi in maniera più analitica sulle agenzie di maggiore interesse ai fini espositivi.

In tal senso, la più importante tra le cennate agenzie è sicuramente la DCRI. Istituita con decreto n. 445 del 30 Aprile 2014, la DCRI rappresenta un servizio della polizia nazionale cui compete, tra l’altro, la prevenzione e repressione degli atti di terrorismo diretti contro la sicurezza dello Stato, l’integrità territoriale o le stesse istituzioni della Repubblica, partecipando inoltre alla sorveglianza degli individui e dei gruppi di ispirazione radicale che possano ricorrere alla violenza per attentare alla sicurezza nazionale. La DCRI combatte la criminalità organizzata e le nuove forme di terrorismo informatico, occupandosi anche di prevenzione contro la proliferazione delle armi nucleari, biologiche, chimiche e balistiche.

Per svolgere tali compiti, la DCRI è organizzata in una struttura nazionale, facente capo al Ministero degli Interni, e in strutture territoriali con competenza zonale od interdipartimentale, le quali, a loro volta, riferiscono ai Prefetti, rappresentanti del Governo sul territorio. La duplice veste di servizio di intelligence e di polizia giudiziaria consente all’agenzia un approccio globale all'attività terroristica, strutturando la propria attività di contrasto in quattro diversi ambiti: i) analisi del fenomeno della radicalizzazione violenta; ii) analisi dell'evoluzione geopolitica delle aree considerate sensibili (con particolare riguardo ai Paesi di cultura islamica in Africa ed Asia che abbiano forti legami con la Francia); iii) valutazione dei rischi rappresentati dall'integralismo islamico e dai foreign fighters di ritorno; iv) identificazione dei gruppi o degli individui attivi sul territorio nazionale e loro neutralizzazione. La DCRI attualmente conta oltre 3600 unità di personale attivo ed è composta da una direzione per l'intelligence e le operazioni, da una direzione tecnica, da un servizio di amministrazione generale, da un ispettorato generale e da un gruppo di intervento (Groupe d'Appui Opérationnel - GAO).

Il core business della DPSD, invece, è la sicurezza interna del Paese, concentrandosi essenzialmente sulle attività di spionaggio e controspionaggio nonché su quelle di antiterrorismo e sovversione, oltre ad essere responsabile della sicurezza del personale in servizio, delle informazioni e delle infrastrutture sensibili.

La DGSE, infine, si occupa della tutela degli interessi francesi all’estero con particolare attenzione alla concorrenza straniera. Partendo dalla propria appartenenza al contesto militare, vanta solide basi in tutte le zone del vecchio impero francese: in questo modo ha creato e consolidato un reticolo molto efficace, soprattutto in Africa nord-equatoriale, in Medio Oriente e nel sud-est asiatico, dove ha raggiunto accordi di partenariato con le locali strutture di sicurezza contro il terrorismo e la criminalità organizzata. Tuttavia, non ha mancato di essere altrettanto dinamica in altri contesti geografici, anche in tradizionali terreni di caccia di altre organizzazioni straniere.

Parigi, del resto, rimane ancora il centro di un microcosmo, che va dal Maghreb alla Polinesia, dalla Guiana a Gibuti: questa collocazione internazionale ha amplificato la possibilità di minacce alla sicurezza interna destate dalle ramificate attività sia delle organizzazioni criminali che terroristiche.

Per questi motivi esiste una Comunità dell’intelligence francese (Communauté Française de Renseignement - CFR), volta a includere la somma dei vari servizi segreti del Paesi francofoni, la cui direzione dipende direttamente dall’Eliseo.

Chiarita a grandi linee la struttura dei servizi di intelligence d’oltralpe, sia concessa qualche breve considerazione su alcuni profili di potenziale vulnerabilità del sistema in essere[2].

Ebbene, la tripartita dipendenza strutturale dei servizi di intelligence francesi, pur essendo riconosciuta ormai da tutta la comunità nazione come parte dell’azione di governo, costituisce al contempo uno degli elementi di maggiore criticità del sistema nel contrasto al terrorismo. Invero, l’eccessiva frammentazione degli apparati incide sull’efficienza operatività del sistema, come emblematicamente dimostrato dagli attentati occorsi nel Paese tra il 2015 e il 2017. Al contempo, la presenza di diversi livelli intermedi all'interno dei singoli servizi, rende più farraginosa la procedura di circuitazione delle informazioni tra centro e periferia, a discapito della capacità di reazione del sistema. Motivo per cui sarebbe auspicabile provvedere quanto prima ad una semplificazione dell'attuale struttura di intelligence.

Inoltre, la Francia, propria per la sua tradizione colonialista, è una delle nazioni maggiormente esposte al fenomeno dei cosiddetti “lupi solitari”, ossia individui che, radicalizzandosi autonomamente grazie alla propaganda veicolata sul web, decidono di perpetrare attacchi terroristici, utilizzando solitamente mezzi di facile ottenimento, come coltelli od autovetture. Si pensi, ad esempio, all'attentato condotto a Nizza il 14 luglio 2016, durante il quale un cittadino tunisino, Mohamed Lahouaiej Bouhlel, si è scagliato sulla folla con un camion che aveva precedentemente rubato, finendo con l’uccidere 86 persone e ferendone oltre 400.

Tuttavia, ciò che più mette in allarme le autorità francesi è soprattutto il fenomeno dei foreign fighters di ritorno: le autorità francesi temono che la sconfitta dello Stato Islamico in Medio Oriente possa far sì che i numerosi combattenti francesi sopravvissuti possano far rientro in patria con l'intento di commettere attentati in nome del Califfato.

Da ultimo, desta vieppiù preoccupazione il fenomeno della radicalizzazione sul web, in grado di raccogliere molti proseliti soprattutto sui francesi di seconda o terza generazione penetrandone la coscienza sin in profondità, facendo leva sul galoppante disagio sociale giovanile e sul fattore identitario musulmano.



[1] Per maggiori dettagli si veda Molteni M., Storia dei servizi segreti, Roma, Newton, 2018.

[2] Per queste ed altre riflessioni si rinvia a Fenech M.G.-Pietrasanta M.S., Rapport n. 3922, Assemblée Nationale, 5 luglio 2016.

[3] In argomento, si veda Krieger W, Storia dei servizi segreti: dai Faraoni alla CIA, Sesto San Giovanni, Mimesis Edizioni, 2013.

[4] Su queste ed altre tematiche, si veda Orsini A., “Gli attentati dell’Isis in Europa occidentale. Un’interpretazione sociologica”, in Democrazia e Sicurezza, Bologna, Il Mulino, vol. 3, 2018.

[5]  Così Rosenow Williams K., Organizing Muslims and Integrating Islam in Germany. New Developments in the 21st Century, Leiden – Boston, BRILL, 2012.

venerdì 10 marzo 2023

Salvatore Domenico Vassapolli. I Servizi di intelligence negli Statidella UE. Parte generale

 


I Paesi dell’Europa occidentale hanno vissuto il quarantennio della Guerra Fredda con l’angosciante spettro di uno scontro tra blocchi contrapposti: ai servizi di intelligence fu così attribuito il delicato compito di prevenire infiltrazioni del mondo comunista cercando, al contempo, di mantenere per quanto possibile una posizione autonoma rispetto agli Stati Uniti e alla NATO. Peraltro, sullo sfondo rimaneva prioritaria la stabilità interna dei rispettivi Paesi che, a vario titolo, furono oggetto di atti di criminalità organizzata o di autentico terrorismo endogeno.

La caduta del muro di Berlino stravolse gli scenari del passato e segnò l’inizio di una nuova stagione per il Vecchio Continente: lo sgretolamento del blocco comunista, unito all’emersione del fenomeno migratorio, ben presto polarizzò l’attenzione soprattutto sulla stabilità politica interna, in funzione della salvaguardia degli interessi economici nonché dell’ordine e della sicurezza pubblica.

Il nuovo millennio registra un ulteriore cambiamento di rotta destinato ad incidere pesantemente sugli scenari futuri a livello globale: il violento attacco alle Torri Gemelle inaugura un nuovo corso dell’antiterrorismo internazionale nel segno di un marcato rinnovamento del composito dispositivo di intelligence, quale risposta in chiave preventiva all’insurrezione terroristica in atto[1].

Gli attentati di matrice islamica portati a termine nel Vecchio Continente, tra il 2004 e il 2020, hanno impresso una decisa accelerazione ai processi di riforma al sistema europeo di sicurezza in essere: anche l’Europa ha così avvertito la necessità di preservare l’equilibrio sociopolitico delle proprie istituzioni, investendo molto in chiave preventiva su una rivisitazione degli schemi classici degli apparati di intelligence, il cui core business rimane appunto quello di prevenire, o quantomeno contenere, le minacce alla stabilità interna.

Nelle pagine che seguono si offrirà una panoramica in chiave divulgativa dei sistemi di intelligence dei principali partner europei dell’Italia, approccio da considerarsi quanto mai indicativo posto che la complessità della materia oggetto di indagine suggerisce di essere quasi didascalici onde evitare di appesantire oltre modo il flusso delle informazioni fornite.

 

 

 

Italia

Persa la Seconda guerra mondiale, l’Italia si trovò sin da subito catapultata nella contrapposizione della Guerra Fredda, guardando alla Jugoslavia quale focolaio di un possibile nuovo conflitto. Tuttavia, nonostante un sottobosco di recriminazioni e di sospetti, non vi furono mai effettivi rischi in tal senso. Fino alla fine degli anni Sessanta potremmo anzi dire che la matrice politica delle agitazioni contro l’ordine dello Stato furono animate dalle recriminazioni delle regioni germanofone di confine, sapientemente placate poi con la costituzione delle regioni tramite laute concessioni alle esigenze di autonomia dalle stesse rivendicate.

A livello più generale, invece, dopo il periodo oscuro del ventennio fascista, nella Repubblica Italiana gli apparati d’ordine pubblico e dei servizi furono legati a doppio filo con un rigido atlantismo, sicché di fatto non esisteva una vera e propria politica di sicurezza, delegata di fatto all’alleato statunitense. In questo contesto prese avvio la lunga stagione dei cc.dd. “servizi segreti deviati”: lo spettro che i comunisti potessero prendere il sopravvento nel Paese portò pezzi dello Stato a ritenersi svincolati dal rispetto delle regole e alla progressiva erosione di larghi strati delle istituzioni democratiche.

Gli anni Settanta, passati alla storia come gli “anni di piombo”, videro il terrorismo di matrice politica e la più comune criminalità organizzata sovrapporsi l’uno con l’altro nel dichiarato scontro aperto alle istituzioni, cui lo Stato rispose con un potenziamento del composito dispositivo di intelligence. Nel frattempo, a partire dalla metà degli anni Ottanta, il passaggio da una condizione di “sovranità limitata”, fortemente appiattita sulle posizioni del confronto fra blocchi contrapposti, ad uno scenario multipolare provocò una parziale crisi di identità del sistema di intelligence, solo parzialmente mitigata dal saltuario orgoglio nazionale di essere al centro degli interessi gravitanti attorno al bacino del Mediterraneo.

L’inizio del nuovo millennio, tragicamente segnato dagli attentati di matrice jihadista condotti in territorio statunitense, innescò un processo di riforma su scala mondiale dei dispositivi di sicurezza, cui non rimase estranea nemmeno l’Italia che, nel 2007, ha posto le basi per una trasformazione epocale non solo da un punto di vista organizzativo, ma soprattutto funzionale del proprio sistema di intelligence[2].

Prendendo atto degli importanti mutamenti strategici avvenuti nel sistema internazionale nel corso degli ultimi vent’anni, anche l’Italia ha così aggiornato la propria “infrastruttura” per la sicurezza nazionale - le agenzie di informazione, appunto -, rifocalizzandole su nuove missioni, rafforzandone il coordinamento all’interno di un modello unitario, coerente e centripeto, potenziando i vari livelli di controllo ed istituendo un sistema integrato di comando sotto l’egida del vertice governativo. Una nuova intelligence, quindi, in grado di rispondere con maggiore efficacia ed altrettanta flessibilità operativa alle possibili minacce ai danni della sicurezza nazionale.

All’indomani della riforma, fanno parte del rinnovato Sistema di Informazione per la Sicurezza della Repubblica: il Presidente del Consiglio dei Ministri; l’Autorità delegata (ove istituita); il Comitato Interministeriale per la Sicurezza della Repubblica (CISR); il Dipartimento delle Informazioni per la Sicurezza (DIS); l’Agenzia Informazioni e Sicurezza Esterna (AISE); l’Agenzia Informazioni e Sicurezza Interna (AISI).

L’elemento preminente della riforma del 2007 è stata la definizione di uno stretto controllo del Presidente del Consiglio dei Ministri sull’intero sistema, in via diretta o attraverso un Autorità delegata, di cui diviene responsabile e allo stesso tempo garante[3]. Tra le sue funzioni si annoverano: l’apposizione del segreto di Stato o la relativa conferma in caso di opposizione; la nomina e la revoca del Direttore del DIS, nonché del Direttore e del Vice Direttore dell’AISE e dell’AISI; la definizione e lo stanziamento delle risorse da iscrivere al bilancio del sistema di sicurezza; il potere di direttiva sull’organizzazione e sul funzionamento del sistema informativo nonché dei relativi lineamenti generali attuativi; il potere di coordinamento sulle politiche dell’informazione per la sicurezza.

L’Autorità delegata, laddove si opti per la sua costituzione, rimane un organo tributario di funzioni delegate, con funzione di sostegno e supporto al Presidente del Consiglio, il quale rimane l’unico responsabile dell’andamento e del funzionamento dell’intero sistema.

Il Comitato Interministeriale per la Sicurezza della Repubblica (CISR) gode di ampi poteri di indirizzo sulla politica dei servizi, accentuati in caso di situazioni di crisi. Ne fanno parte: il Presidente del Consiglio e, ove istituito, l’Autorità delegata per la sicurezza; il direttore generale del Dipartimento delle Informazioni per la Sicurezza, con funzione di segretario; nonché i titolari dei Ministeri della Giustizia, dell’Interno, dell’Economia e delle Finanze, della Difesa, dello Sviluppo Economico e degli Affari Esteri.

Il Dipartimento delle Informazioni per la Sicurezza (DIS), organo della presidenza del Consiglio dei Ministri, ha il compito di sovrintendere alla definizione degli indirizzi generali e di selezionare gli obiettivi fondamentali da perseguire nel quadro della politica adottata. Rappresenta il cuore pulsante dei servizi segreti italiani, centro di snodo dei dati raccolti e luogo di sintesi decisionale. Alle sue dipendenze opera un Ufficio Centrale Ispettivo, un Ufficio Centrale Archivi, la Scuola di Formazione e l’Ufficio Centrale per la Segretezza.

Dal DIS dipendono le due nuove agenzie, rispettivamente, l’Agenzia Informazioni e Sicurezza Esterna (AISE) e l’Agenzia Informazioni e Sicurezza Interna (AISI). Se prima la differenziazione tra i due comparti era prevalentemente di carattere militare-civile, con consequenziale dipendenza dai Ministeri della Difesa e dell’Interno, ora il limite operativo dipende come intuibile dall’aspetto territoriale e, quindi, dai compiti di difesa esterna od interna, prendendo a modello quando già esistente in altri contesti nazionali. L’eliminazione dalla linea di comando delle figure del Ministero della Difesa e dell’Interno, inserite opportunamente nel CISR, è il portato della manifesta volontà di accrescere i poteri del Presidente del Consiglio dei Ministri in materia.

Per quanto riguarda la componente di intelligence militare, è sopravvissuto il precedente II Reparto Informazioni e Sicurezza, rimasto in capo allo Stato maggiore della Difesa e, dunque, esterno al monopolio del DIS. La relativa autonomia gestionale, tuttavia, è limitata soltanto alla gestione tecnico-militare o di polizia militare delle istallazioni all’estero, pur riconoscendosi un rapporto di fattiva sinergia operativa con l’AISE. Per evitare gli abusi avvenuti nei decenni precedenti, il DIS vanta al suo interno un suo organo di vigilanza endogeno, volto ad evitare deviazioni od ingerenze esterne di qualsiasi natura.

Al fine di dare un quadro esaustivo sul tema, sia concesso un breve cenno al Comitato Parlamentare per la Sicurezza della Repubblica (COPASIR), organo di controllo rispondente all’avvertita esigenza, in chiave democratica, di avere una visione aggiornata e senza filtri dell’attività dei servizi segreti. Composto da cinque deputati e cinque senatori, vincolati alla più rigida osservanza del segreto di Stato relativamente alle informazioni acquisite anche dopo la cessazione dall’incarico, la presidenza del COPASIR è affidata ad uno dei componenti appartenenti ai gruppi di opposizione parlamentare. Tale organo gode di ampi poteri di controllo, di inchiesta e di ispezione, che si traducono in una serie di obblighi di comunicazione gravanti sul Presidente del Consiglio dei Ministri, responsabile e garante dell’intero sistema. In tal modo il Parlamento ha il potere di attuare un penetrante controllo anche di tipo preventivo sull’operato dei servizi segreti, sì da scongiurare la possibilità, seppur remota, di eventuali comportamenti devianti travalicanti la mission istituzionale.

Prima di concludere l’analisi del sistema di sicurezza in essere, è bene ricordare un elemento peculiare del servizio di intelligence italiano, costituente un unicum a livello europeo.

Ebbene, dopo l'attentato del 12 novembre 2003, condotto a Nassiriya contro la Base Maestrale dei Carabinieri che all'epoca partecipavano all'Operazione Antica Babilonia, lanciata dall'Italia di intesa con la coalizione internazionale in seguito alla conclusione delle operazioni militari condotte da Stati Uniti e Regno Unito contro il regime di Saddam Hussein, il Governo italiano ha istituito il Comitato di Analisi Strategica Antiterrorismo (CASA), al fine di assicurare il corretto coordinamento tra le varie agenzie di intelligence, le forze di polizia e le forze armate.

Più nel dettaglio, il CASA rappresenta una struttura interforze che riunisce al suo interno: il Direttore Centrale della Polizia di Prevenzione, che lo presiede; le forze dell'ordine a competenza generale (Polizia di Stato ed Arma dei Carabinieri); i direttori delle Agenzie di intelligence (AISE ed AISI); e un rappresentante della Presidenza del Consiglio (Dipartimento Informazione e Sicurezza). In determinati casi, qualora sia richiesta una specifica competenza, il CASA include anche autorevoli rappresentanti della Guardia di Finanza e del Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria.

Per quanto concerne la valutazione della minaccia terroristica, questa viene svolta prendendo in considerazione le informazioni sensibili raccolte dalle forze dell'ordine e dalle varie agenzie tanto a livello nazionale che continentale. Oltre a ciò, il CASA si occupa anche di controllare e monitorare la propaganda jihadista online, così come di tenere costantemente aggiornate le liste dei foreign fighters di ritorno.

Analizzata l’evoluzione della struttura di intelligence italiana, è ormai giusto il momento di trarre un bilancio, seppure sommario, del sistema in essere alla luce delle sfide presenti e future alla stabilità interna. Chiusa la stagione della contrapposizione in blocchi contrapposti ed aperta la fase dei pericoli globali, asimmetrici ed apparentemente incontrollabili i rischi sono di fatto aumentati a dismisura parallelamente all’estensione dello stesso concetto di “interesse strategicamente sensibile”[4].

Ebbene, nel complesso i recenti processi di riforma hanno consolidato una longeva esperienza sul campo dei nostri apparati di sicurezza, rispondenti ai più moderni criteri di efficienza, equilibrandone la maggiore autonomia operativa con un controllo più incisivo sul piano funzionale a garanzia della democraticità del relativo operato. Semmai nel breve periodo potranno emergere talune difficoltà di adattamento per via della scelta politica di rendere civile un apparato che storicamente aveva nella componente in divisa la sua eccellenza.

La circostanza, poi, che in Italia non si siano ancora registrati attentati condotti da individui affiliati a gruppi terroristici non ci consente di tirare i remi in barca. Tale primato, da salutare sicuramente con favore, non è certo una garanzia di immunità anche per il prossimo futuro, benché ciò possa trovare una razionale giustificazione in almeno due ordini di fattori.

Anzitutto, a differenza delle compagini europee, l’Italia è uno Stato di recente immigrazione, ciò che riduce sensibilmente i rischi connessi ad attivazioni autonome da parte di cittadini italiani di seconda o anche terza generazione, maggiormente esposti ai fenomeni di radicalizzazione. Nondimeno, non può tacersi come siffatta fonte di pericolo possa trovare terreno fertile proprio in quella folta schiera di migranti che, attraverso il canale di Sicilia e non solo, raggiungono il territorio nazionale e che, in attesa di idonea collocazione, potrebbero trovarsi esposti a fenomeni di adescamento propri in quegli stessi centri di prima accoglienza adibiti alla loro iniziale gestione umanitaria.

La seconda ragione può essere individuata nella storia criminale nazionale, da una parte, caratterizzata dalla criminalità di stampo mafioso e, dall'altra, dal decennio degli “anni di piombo”, ciò che ha fornito alle forze di polizia e alle agenzie di intelligence un elevato know-how nell'ambito della lotta al crimine organizzato e al terrorismo. Ciononostante, come dimostra il caso del terrorista Anis Amri, anche in Italia vi sono dei rischi collegati alla radicalizzazione e al jihadismo. L'attentatore di Berlino, infatti, avrebbe abbracciato il credo terrorista durante un periodo di prigionia in Sicilia, per poi colpire in territorio tedesco nel 2016 ed, infine, fare ritorno in Nord Italia, lì dove troverà la morte in uno scontro a fuoco con le forze dell’ordine nel corso di un ordinario controllo di polizia.

In definitiva, la situazione di frontiera nel bel mezzo del Mediterraneo, in uno con la notevole frammentazione politica, sociale ed economica, non consente all’Italia di abbassare la guardia nel quadro delle strategie di contrasto alle minacce di nuova generazione poste alla sicurezza interna.

 Salvatore Domenico Vassapolli, Testo dalla Tesi di Lauura del master 1° Livello in Terrorismo eAntiterrorismo internazionale



[1] Cfr. Law R.D., Terrorism: a history, Cambridge, Polity Press, 2009; si veda anche Sageman M., Understanding terror networks, Philadelphia, University of Pennsylvania Press, 2004.

[2] Il riferimento corre alla legge n. 124 del 3 agosto 2007 relativa al “Sistema di informazione per la sicurezza della Repubblica e nuova disciplina del segreto”, successivamente modificata con la legge n. 133 del 7 agosto 2012, n. 133. Per un approfondimento si rinvia a Mantici A., Servizi Segreti italiani: cos’erano, cosa sono diventati e cosa potrebbero essere, Milano, Edizioni Fondazione Margherita Hack, 2021, p. 137.