I
Paesi dell’Europa occidentale hanno vissuto il quarantennio della Guerra Fredda
con l’angosciante spettro di uno scontro tra blocchi contrapposti: ai servizi di
intelligence fu così attribuito il delicato compito di prevenire infiltrazioni
del mondo comunista cercando, al contempo, di mantenere per quanto possibile
una posizione autonoma rispetto agli Stati Uniti e alla NATO. Peraltro, sullo
sfondo rimaneva prioritaria la stabilità interna dei rispettivi Paesi che, a
vario titolo, furono oggetto di atti di criminalità organizzata o di autentico
terrorismo endogeno.
La
caduta del muro di Berlino stravolse gli scenari del passato e segnò l’inizio
di una nuova stagione per il Vecchio Continente: lo sgretolamento del blocco
comunista, unito all’emersione del fenomeno migratorio, ben presto polarizzò
l’attenzione soprattutto sulla stabilità politica interna, in funzione della
salvaguardia degli interessi economici nonché dell’ordine e della sicurezza
pubblica.
Il
nuovo millennio registra un ulteriore cambiamento di rotta destinato ad
incidere pesantemente sugli scenari futuri a livello globale: il violento
attacco alle Torri Gemelle inaugura un nuovo corso dell’antiterrorismo
internazionale nel segno di un marcato rinnovamento del composito dispositivo
di intelligence, quale risposta in chiave preventiva all’insurrezione terroristica in atto[1].
Gli
attentati di matrice islamica portati a termine nel Vecchio Continente, tra il
2004 e il 2020, hanno impresso una decisa accelerazione ai processi di riforma al
sistema europeo di sicurezza in essere: anche
l’Europa ha così avvertito la necessità di preservare l’equilibrio
sociopolitico delle proprie istituzioni, investendo molto in chiave preventiva
su una rivisitazione degli schemi classici degli apparati di intelligence, il cui core business rimane appunto quello di
prevenire, o quantomeno contenere, le minacce alla stabilità interna.
Nelle
pagine che seguono si offrirà una panoramica in chiave divulgativa dei sistemi
di intelligence dei principali partner europei dell’Italia, approccio da
considerarsi quanto mai indicativo posto che la complessità della materia
oggetto di indagine suggerisce di essere quasi didascalici onde evitare di
appesantire oltre modo il flusso delle informazioni fornite.
Italia
Persa la Seconda
guerra mondiale, l’Italia si trovò sin da subito catapultata nella
contrapposizione della Guerra Fredda, guardando alla Jugoslavia quale focolaio
di un possibile nuovo conflitto. Tuttavia, nonostante un sottobosco di
recriminazioni e di sospetti, non vi furono mai effettivi rischi in tal senso.
Fino alla fine degli anni Sessanta potremmo anzi dire che la matrice politica
delle agitazioni contro l’ordine dello Stato furono animate dalle
recriminazioni delle regioni germanofone di confine, sapientemente placate poi
con la costituzione delle regioni tramite laute concessioni alle esigenze di
autonomia dalle stesse rivendicate.
A livello più
generale, invece, dopo il periodo oscuro del ventennio fascista, nella Repubblica
Italiana gli apparati d’ordine pubblico e dei servizi furono legati a doppio
filo con un rigido atlantismo, sicché di fatto non esisteva una vera e propria
politica di sicurezza, delegata di fatto all’alleato statunitense. In questo
contesto prese avvio la lunga stagione dei cc.dd. “servizi segreti deviati”: lo
spettro che i comunisti potessero prendere il sopravvento nel Paese portò pezzi
dello Stato a ritenersi svincolati dal rispetto delle regole e alla progressiva
erosione di larghi strati delle istituzioni democratiche.
Gli anni Settanta,
passati alla storia come gli “anni di piombo”, videro il terrorismo di matrice
politica e la più comune criminalità organizzata sovrapporsi l’uno con l’altro
nel dichiarato scontro aperto alle istituzioni, cui lo Stato rispose con un
potenziamento del composito dispositivo di intelligence. Nel frattempo, a
partire dalla metà degli anni Ottanta, il passaggio da una condizione di
“sovranità limitata”, fortemente appiattita sulle posizioni del confronto fra
blocchi contrapposti, ad uno scenario multipolare provocò una parziale crisi di
identità del sistema di intelligence, solo parzialmente mitigata dal saltuario
orgoglio nazionale di essere al centro degli interessi gravitanti attorno al
bacino del Mediterraneo.
L’inizio del nuovo
millennio, tragicamente segnato dagli attentati di matrice jihadista condotti
in territorio statunitense, innescò un processo di riforma su scala mondiale
dei dispositivi di sicurezza, cui non rimase estranea nemmeno l’Italia che, nel
2007, ha posto le basi per una trasformazione epocale non solo da un punto di
vista organizzativo, ma soprattutto funzionale del proprio sistema di intelligence[2].
Prendendo atto
degli importanti mutamenti strategici avvenuti nel sistema internazionale nel
corso degli ultimi vent’anni, anche l’Italia ha così aggiornato la propria
“infrastruttura” per la sicurezza nazionale - le agenzie di informazione,
appunto -, rifocalizzandole su nuove missioni, rafforzandone il coordinamento
all’interno di un modello unitario, coerente e centripeto, potenziando i vari
livelli di controllo ed istituendo un sistema integrato di comando sotto
l’egida del vertice governativo. Una nuova intelligence, quindi, in grado di
rispondere con maggiore efficacia ed altrettanta flessibilità operativa alle
possibili minacce ai danni della sicurezza nazionale.
All’indomani della
riforma, fanno parte del
rinnovato
Sistema di Informazione per la Sicurezza della Repubblica: il Presidente del Consiglio dei Ministri;
l’Autorità delegata (ove istituita); il Comitato Interministeriale per la
Sicurezza della Repubblica (CISR); il Dipartimento delle Informazioni per la
Sicurezza (DIS); l’Agenzia Informazioni e Sicurezza Esterna (AISE); l’Agenzia
Informazioni e Sicurezza Interna (AISI).
L’elemento
preminente della riforma del 2007 è stata la definizione di uno stretto
controllo del Presidente del Consiglio dei Ministri sull’intero sistema, in via
diretta o attraverso un Autorità delegata, di cui diviene responsabile e allo
stesso tempo garante[3].
Tra le sue funzioni si annoverano: l’apposizione
del segreto di Stato o la relativa conferma in caso di opposizione; la nomina e
la revoca del Direttore del DIS, nonché del Direttore e del Vice Direttore
dell’AISE e dell’AISI; la definizione e lo stanziamento delle risorse da
iscrivere al bilancio del sistema di sicurezza; il potere di direttiva
sull’organizzazione e sul funzionamento del sistema informativo nonché dei
relativi lineamenti generali attuativi; il potere di coordinamento sulle
politiche dell’informazione per la sicurezza.
L’Autorità delegata, laddove si opti per la sua costituzione, rimane un
organo tributario di funzioni delegate, con funzione di sostegno e supporto al
Presidente del Consiglio, il quale rimane l’unico responsabile dell’andamento e
del funzionamento dell’intero sistema.
Il Comitato Interministeriale
per la Sicurezza della Repubblica (CISR) gode di ampi poteri di indirizzo sulla
politica dei servizi, accentuati in caso di situazioni di crisi. Ne fanno
parte: il Presidente del Consiglio e, ove istituito, l’Autorità delegata per la
sicurezza; il direttore generale del Dipartimento delle Informazioni per la
Sicurezza, con funzione di segretario; nonché i titolari dei Ministeri della
Giustizia, dell’Interno, dell’Economia e delle Finanze, della Difesa, dello
Sviluppo Economico e degli Affari Esteri.
Il Dipartimento
delle Informazioni per la Sicurezza (DIS), organo della presidenza del
Consiglio dei Ministri, ha il compito di sovrintendere alla definizione degli
indirizzi generali e di selezionare gli obiettivi fondamentali da perseguire
nel quadro della politica adottata. Rappresenta il cuore pulsante dei servizi
segreti italiani, centro di snodo dei dati raccolti e luogo di sintesi
decisionale. Alle sue dipendenze opera un Ufficio Centrale Ispettivo, un
Ufficio Centrale Archivi, la Scuola di Formazione e l’Ufficio Centrale per la
Segretezza.
Dal DIS dipendono
le due nuove agenzie, rispettivamente, l’Agenzia Informazioni e Sicurezza
Esterna (AISE) e l’Agenzia Informazioni e Sicurezza Interna (AISI). Se prima la
differenziazione tra i due comparti era prevalentemente di carattere
militare-civile, con consequenziale dipendenza dai Ministeri della Difesa e
dell’Interno, ora il limite operativo dipende come intuibile dall’aspetto
territoriale e, quindi, dai compiti di difesa esterna od interna, prendendo a
modello quando già esistente in altri contesti nazionali. L’eliminazione dalla linea di comando delle
figure del Ministero della Difesa e dell’Interno, inserite opportunamente nel
CISR, è il portato della manifesta volontà di accrescere i poteri del Presidente
del Consiglio dei Ministri in materia.
Per quanto riguarda
la componente di intelligence militare, è sopravvissuto il precedente II
Reparto Informazioni e Sicurezza, rimasto in capo allo Stato maggiore della
Difesa e, dunque, esterno al monopolio del DIS. La relativa autonomia
gestionale, tuttavia, è limitata soltanto alla gestione tecnico-militare o di
polizia militare delle istallazioni all’estero, pur riconoscendosi un rapporto
di fattiva sinergia operativa con l’AISE. Per evitare gli abusi avvenuti nei
decenni precedenti, il DIS vanta al suo interno un suo organo di vigilanza
endogeno, volto ad evitare deviazioni od ingerenze esterne di qualsiasi natura.
Al fine di dare un
quadro esaustivo sul tema, sia concesso un breve cenno al Comitato Parlamentare
per la Sicurezza della Repubblica (COPASIR), organo di controllo rispondente
all’avvertita esigenza, in chiave democratica, di avere una visione aggiornata
e senza filtri dell’attività dei servizi segreti. Composto da cinque deputati e
cinque senatori, vincolati alla più rigida osservanza del segreto di Stato
relativamente alle informazioni acquisite anche dopo la cessazione
dall’incarico, la presidenza del COPASIR è affidata ad uno dei componenti
appartenenti ai gruppi di opposizione parlamentare. Tale organo gode di ampi
poteri di controllo, di inchiesta e di ispezione, che si traducono in una serie
di obblighi di comunicazione gravanti sul Presidente del Consiglio dei Ministri,
responsabile e garante dell’intero sistema. In tal modo il Parlamento ha il
potere di attuare un penetrante controllo anche di tipo preventivo sull’operato
dei servizi segreti, sì da scongiurare la possibilità, seppur remota, di
eventuali comportamenti devianti travalicanti la mission istituzionale.
Prima
di concludere l’analisi del sistema di sicurezza in essere, è bene ricordare un
elemento peculiare del servizio di intelligence italiano, costituente un unicum
a livello europeo.
Ebbene,
dopo l'attentato del 12 novembre 2003, condotto a Nassiriya contro la Base
Maestrale dei Carabinieri che all'epoca partecipavano all'Operazione Antica Babilonia,
lanciata dall'Italia di intesa con la coalizione internazionale in seguito alla
conclusione delle operazioni militari condotte da Stati Uniti e Regno Unito
contro il regime di Saddam Hussein, il Governo italiano ha istituito il
Comitato di Analisi Strategica Antiterrorismo (CASA), al fine di assicurare il
corretto coordinamento tra le varie agenzie di intelligence, le forze di
polizia e le forze armate.
Più
nel dettaglio, il CASA rappresenta una struttura interforze che riunisce al suo
interno: il Direttore Centrale della Polizia di Prevenzione, che lo presiede;
le forze dell'ordine a competenza generale (Polizia di Stato ed Arma dei
Carabinieri); i direttori delle Agenzie di intelligence (AISE ed AISI); e un
rappresentante della Presidenza del Consiglio (Dipartimento Informazione e
Sicurezza). In determinati casi, qualora sia richiesta una specifica
competenza, il CASA include anche autorevoli rappresentanti della Guardia di
Finanza e del Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria.
Per
quanto concerne la valutazione della minaccia terroristica, questa viene svolta
prendendo in considerazione le informazioni sensibili raccolte dalle forze
dell'ordine e dalle varie agenzie tanto a livello nazionale che continentale.
Oltre a ciò, il CASA si occupa anche di controllare e monitorare la propaganda
jihadista online, così come di tenere costantemente aggiornate le liste dei foreign
fighters di ritorno.
Analizzata
l’evoluzione della struttura di intelligence italiana, è ormai giusto il
momento di trarre un bilancio, seppure sommario, del sistema in essere alla
luce delle sfide presenti e future alla stabilità interna. Chiusa la stagione
della contrapposizione in blocchi contrapposti ed aperta la fase dei pericoli
globali, asimmetrici ed apparentemente incontrollabili i rischi sono di fatto
aumentati a dismisura parallelamente all’estensione dello stesso concetto di
“interesse strategicamente sensibile”[4].
Ebbene, nel
complesso i recenti processi di riforma hanno consolidato una longeva
esperienza sul campo dei nostri apparati di sicurezza, rispondenti ai più
moderni criteri di efficienza, equilibrandone la maggiore autonomia operativa
con un controllo più incisivo sul piano funzionale a garanzia della
democraticità del relativo operato. Semmai nel breve periodo potranno emergere
talune difficoltà di adattamento per via della scelta politica di rendere
civile un apparato che storicamente aveva nella componente in divisa la sua
eccellenza.
La
circostanza, poi, che in Italia non si siano ancora registrati attentati
condotti da individui affiliati a gruppi terroristici non ci consente di tirare
i remi in barca. Tale primato, da salutare sicuramente con favore, non è certo
una garanzia di immunità anche per il prossimo futuro, benché ciò possa trovare
una razionale giustificazione in almeno due ordini di fattori.
Anzitutto,
a differenza delle compagini europee, l’Italia è uno Stato di recente
immigrazione, ciò che riduce sensibilmente i rischi connessi ad attivazioni
autonome da parte di cittadini italiani di seconda o anche terza generazione,
maggiormente esposti ai fenomeni di radicalizzazione. Nondimeno, non può
tacersi come siffatta fonte di pericolo possa trovare terreno fertile proprio
in quella folta schiera di migranti che, attraverso il canale di Sicilia e non
solo, raggiungono il territorio nazionale e che, in attesa di idonea
collocazione, potrebbero trovarsi esposti a fenomeni di adescamento propri in
quegli stessi centri di prima accoglienza adibiti alla loro iniziale gestione
umanitaria.
La
seconda ragione può essere individuata nella storia criminale nazionale, da una
parte, caratterizzata dalla criminalità di stampo mafioso e, dall'altra, dal
decennio degli “anni di piombo”, ciò che ha fornito alle forze di polizia e
alle agenzie di intelligence un elevato know-how nell'ambito della lotta
al crimine organizzato e al terrorismo. Ciononostante, come dimostra il caso
del terrorista Anis Amri, anche in Italia vi sono dei rischi collegati alla
radicalizzazione e al jihadismo. L'attentatore di Berlino, infatti, avrebbe
abbracciato il credo terrorista durante un periodo di prigionia in Sicilia, per
poi colpire in territorio tedesco nel 2016 ed, infine, fare ritorno in Nord
Italia, lì dove troverà la morte in uno scontro a fuoco con le forze
dell’ordine nel corso di un ordinario controllo di polizia.
In definitiva, la
situazione di frontiera nel bel mezzo del Mediterraneo, in uno con la notevole
frammentazione politica, sociale ed economica, non consente all’Italia di
abbassare la guardia nel quadro delle strategie di contrasto alle minacce di
nuova generazione poste alla sicurezza interna.
[1] Cfr. Law R.D., Terrorism: a history, Cambridge, Polity
Press, 2009; si veda anche Sageman M., Understanding
terror networks, Philadelphia, University of Pennsylvania Press, 2004.
[2] Il riferimento corre alla legge n. 124 del 3 agosto
2007 relativa al “Sistema di informazione per la sicurezza della Repubblica e
nuova disciplina del segreto”, successivamente modificata con la legge n. 133
del 7 agosto 2012, n. 133. Per
un approfondimento si rinvia a Mantici A., Servizi Segreti italiani: cos’erano, cosa
sono diventati e cosa potrebbero essere, Milano, Edizioni Fondazione
Margherita Hack, 2021, p. 137.
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