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Metodo di Ricerca ed analisi adottato

Medoto di ricerca ed analisi adottato
Vds post in data 30 dicembre 2009 sul blog www.coltrinariatlanteamerica seguento il percorso:
Nota 1 - L'approccio concettuale alla ricerca. Il metodo adottato
Nota 2 - La parametrazione delle Capacità dello Stato
Nota 3 - Il Rapporto tra i fattori di squilibrio e le capacità delloStato
Nota 4 - Il Metodo di calcolo adottato

Per gli altri continenti si rifà riferimento al citato blog www.coltrinariatlanteamerica.blogspot.com per la spiegazione del metodo di ricerca.

martedì 16 settembre 2014

Gran Bretagna: l'incubo del referendum in Scozia

Sfide dell’Europa
Il Brexit inglese rischia di fare scivolare l’Ue
Riccardo Perissich
01/08/2014
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Pochi lo desiderano, ma l’Unione europea (Ue) potrebbe scivolare su un piano inclinato al cui termine c’è Brexit, ovvero l’uscita della Gran Bretagna. Forse c’è stato un vizio d’origine. Ogni contratto contiene compromessi che possono essere interpretati in modo diverso; in genere il tempo o un’autorità superiore risolvono i problemi.

La storia dell’integrazione europea è stata contorta e conflittuale; tutti i paesi hanno motivi d’insoddisfazione perché l’Europa “reale” non corrisponde alla particolare idea che se n’erano fatti. Mentre altri hanno progressivamente modificato la loro peculiare “idea di Europa” cercando di adattarla all’evoluzione e alle circostanze, lo stesso non è successo per la Gran Bretagna.

Antieuropeismo inglese: dai laburisti ai conservatori
Dall’adesione sono passati quarant’anni, l’Europa è oggi molto diversa e il Regno Unito ha avuto otto Primi ministri; la natura del dibattito interno non è però mai sostanzialmente cambiata, anche se la bandiera dell’anti-europeismo, un tempo appannaggio dei laburisti è passata nelle mani dei conservatori. Abbiamo conosciuto due crisi; questa è la terza.

La motivazione comune è la diffidenza verso l’integrazione intesa come progetto politico e non solo economico. Il “rinegoziato” di Wilson del 1975 fu una farsa destinata a calmare l’ala sinistra del partito; quello thatcheriano degli anni ‘80 era una questione di soldi la cui conclusione minò le fondamenta del bilancio comunitario. In seguito si è risolto il problema concedendo esenzioni da importanti politiche comuni: Schengen, l’euro.

Finora le richieste del premier David Cameron sono abbastanza vaghe, ma prese complessivamente sembrano voler cambiare la natura dell’Ue: più restrizioni per gli immigrati (anche comunitari), salvaguardia degli interessi della City, rimpatrio di competenze su alcune politiche comuni, rinuncia formale alla famigerata “unione sempre più stretta”. Il tutto dovrebbe essere consacrato in un nuovo trattato.

Il referendum di Cameron
Il problema è che la Gran Bretagna si appresta a negoziare con un’Europa in costante evoluzione. Da un lato, dopo gli allargamenti successivi, bisogna trovare il mezzo per gestire un’Ue più differenziata; esigenza formalmente riconosciuta nel trattato di Lisbona.

Dall’altro, l’euro non può essere considerato una semplice “cooperazione rafforzata”. La crisi ha dimostrato che chi ne fa parte è obbligato a ricercare un’integrazione sempre maggiore. La coabitazione con chi è all’esterno può essere gestibile per paesi che comunque prevedono di aderirvi (come la Polonia) e per paesi che non aderiranno ma sono piccoli (come la Danimarca); il caso della Gran Bretagna è strutturalmente diverso.

Il buon senso avrebbe suggerito di gestire il problema in modo pragmatico, ma la dinamica interna al Regno Unito ha imposto un’accelerazione. Quando annunciò l’intenzione di rinegoziare le condizioni dell’adesione e promise un referendum sul risultato, Cameron sperava di calmare l’impazienza di una parte del suo partito e togliere spazio ai movimenti populisti.

È successo invece il contrario: il disastroso risultato delle elezioni europee lo obbliga ora a rilanciare in senso sempre più euroscettico, come si è visto con il recente rimpasto del governo.

Nutrire la belva populista non fa che accrescerne la fame. Il partito laburista sembra anch’esso caduto nella trappola di promettere un referendum in caso di vittoria elettorale. Se esistesse un premio internazionale all’insipienza politica, Cameron sarebbe il candidato naturale.

Sul continente, salvo poche eccezioni nessuno desidera Brexit. L’apporto del Regno Unito è considerato essenziale per motivi economici e politici. Alcune richieste britanniche suscitano simpatia anche in altri paesi. Nessuno vuole essere obbligato ad affrontare le complesse conseguenze dell’uscita di un socio così importante. Si può quindi prevedere che notevoli sforzi saranno fatti per aiutare Cameron.

Rischio contagio per l’Ue
Tuttavia il continente affronta la prova con le sue fragilità interne; ci vorrà tempo per superarle e per recuperare il consenso degli elettorati. Il pericolo di “contagio” britannico esiste anche per altri paesi.

L’Ue avrà bisogno di una nuova architettura e di un nuovo trattato, ma non può farsi dettare i tempi dal negoziato britannico e ci devono essere dei paletti insormontabili. Il rafforzamento dell’eurozona è una priorità che non può essere sacrificata. Ci sono limiti alle eccezioni che si possono consentire alle politiche esistenti, per esempio in materia di libera circolazione delle persone e di mercato interno, senza correre il rischio di aprire il vaso di Pandora.

Infine “l’unione sempre più stretta”, anche se non ne conosciamo la forma concreta, non è un artificio retorico residuo di un passato eroico, ma è ancora oggi la condizione per accettare compromessi giustificati solo da un obiettivo strategico.

Nel Regno Unito, l’adesione all’Ue è sempre stata difesa da importanti pezzi dell’establishment. La loro “narrativa” è però minimalista e distante da quanto faticosamente si cerca di fare sul continente; il risultato è che sono gli euroscettici a definire i termini del dibattito. Ci vorrà buon senso da parte di tutti ed è lecito sperare nella fantasia dei negoziatori.

Errori catastrofici sono sempre possibili; la Gran Bretagna ha una lunga tradizione di vedere doppiezza dove c’è solo la sua incapacità di capire la politica europea dei partner, in primo luogo della Germania. È comunque difficile prevedere il risultato di un referendum che sarà come sempre giocato sulla pancia contro la ragione.

Una cosa è certa: anche se dovessero prevalere i voti contrari a Brexit, non sarà la fine del dramma, ma solo di un altro capitolo.

Riccardo Perissich, già direttore generale alla Commissione europea, è autore del volume “L'Unione europea: una storia non ufficiale”, Longanesi editore.
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