Ue e ricerca Horizon 2020 e Pmi: ancora molto da fare Felice Simonelli, Osvaldo Piperno, Silvia Ciccarelli 30/06/2015 |
In Europa operano circa 22 milioni di Pmi (il 99% del totale imprese attive) che generano 3.500 miliardi di euro di valore aggiunto (il 60% del totale) e impiegano quasi 90 milioni di addetti (il 67% del totale).
Questi numeri stridono con i risultati complessivi del Settimo Programma Quadro di ricerca e innovazione Ue: le Pmi rappresentano solo il 24% dei soggetti partecipanti e il 22% di quelli vincenti e raccolgono meno del 18% del budget complessivo.
Obiettivi specifici e canali preferenziali
La necessità di stimolare un maggior coinvolgimento delle Pmi è stata riconosciuta anche dall’Ue che ha introdotto uno specifico obiettivo “innovazione nelle Pmi” nel programma H2020.
La Commissione intende assegnare alle Pmi almeno il 20% dei finanziamenti inclusi nei pilastri “leadership industriale” e “sfide per la società”, ovvero circa 8,65 miliardi (poco più del 10% del budget complessivo H2020).
Parte di questa somma sarà erogata tramite un canale preferenziale di finanziamento, il cosiddetto Sme Instrument che dovrebbe garantire fondi alle Pmi per quasi 3 miliardi tra il 2014 e il 2020.
In aggiunta, le Pmi ad alta intensità di ricerca possono partecipare all’Eurostars Joint Programme. Un’altra opportunità è offerta infine dai finanziamenti sotto forma di capitale di credito o di rischio disponibili nell’alveo delle “call access to risk finance” (che non sono riservate solo alle Pmi).
Risultati ancora insoddisfacenti
Ciononostante, i risultati delle prime sub-call H2020 non hanno condotto a miglioramenti rispetto al precedente Programma Quadro: solo il 21% dei partecipanti e il 17% dei soggetti vincenti rientrano nella categoria Pmi cui è diretto meno del 14% del totale finanziamenti richiesti.
La nota positiva è che quasi 19% delle risorse erogate nell’ambito dei pilastri “leadership industriale” e “sfide per la società” sono andate alle Pmi, poco sotto il target iniziale. Nonostante gli sforzi compiuti, H2020 non è ancora un programma per Pmi.
Interrogativi e nodi da sciogliere
Restano una serie di dubbi e di nodi da sciogliere:
- È importante stimolare un maggior coinvolgimento delle Pmi in attività di ricerca e innovazione? È sufficiente riflettere sull’obiettivo, incluso nella strategia Europa 2020, di portare gli investimenti in ricerca e sviluppo al 3% del Pil europeo: in Europa il settore privato investe in tali attività poco più dell’1% del Pil, negli Usa quasi il 2%, in Giappone il 2 e mezzo. Mentre gli investimenti delle grandi imprese reggono il confronto internazionale, le Pmi europee rappresentano il tallone d’Achille.
- È adeguato il target di 8,65 miliardi (10% del budget totale) da destinare alle Pmi? Il programma H2020 ha segnato un punto di svolta, puntando soprattutto sull’innovazione piuttosto che su ricerca e sviluppo. Con l’avvicinamento al mercato è ragionevole attendersi maggiore interesse da parte delle Pmi, anche in assenza di obiettivi o strumenti dedicati. Il target della Commissione, peraltro solo sfiorato nelle prime sub-call, ha tutta l’aria di essere un bersaglio a portata di mano.
- Come si spiegano i risultati deludenti delle prime sub-call? Vale la pena riflettere su alcune delle criticità già emerse. Le Pmi: i) sono meno informate sulle opportunità offerte dai programmi europei; ii) hanno risorse umane e finanziarie, e spesso anche competenze (si pensi alle barriere linguistiche), inadeguate per preparare proposte convincenti; iii) incontrano ostacoli nella ricerca di partner e nella gestione di consorzi internazionali; iv) hanno difficoltà di accesso al credito per integrare, laddove richiesto, i fondi comunitari.
- La strategia adottata dalle Istituzioni europee può migliorare le performance delle Pmi? Lo Sme Instrument ha il pregio di dedicare risorse alle Pmi. Lo strumento consente la partecipazione anche a singole imprese e questa è stata la forma di partecipazione finora preponderante, in particolare per la fase uno. Sarebbe opportuno incentivare la partecipazione in forma consorziata per: i) addestrare alla partecipazione alle altre call H2020; ii) garantire la spinta innovativa che discende da collaborazioni internazionali. Lo Sme Instrument inoltre: i) offre una copertura pari al 70% delle risorse necessarie per un progetto, mal conciliandosi perciò con i problemi di accesso al credito delle Pmi; ii) non consente la contemporanea presentazione o implementazione di un secondo progetto nell’ambito dello stesso strumento, riducendo ulteriormente gli incentivi a creare consorzi.
Bisogna certamente coinvolgere più Pmi e dirigere loro maggiori risorse. Non basta però rincorrere le statistiche. Serve migliorare la qualità della partecipazione e consentire alle Pmi di superare e non aggirare i tipici limiti che le contraddistinguono.
Felice Simonelli è Assegnista di ricerca presso l’Agenzia Spaziale Italiana, Unità Linee Strategiche e Relazioni Paesi Europei & Ricercatore presso il Centre for European Policy Studies (Ceps).
Osvaldo Piperno è Primo Tecnologo, responsabile Piccole e Medie Imprese e Trasferimento Tecnologico presso l’Agenzia Spaziale Italiana, Unità Linee Strategiche e Relazioni Paesi Europei.
Silvia Ciccarelli è Assegnista di ricerca presso l’Agenzia Spaziale Italiana, Unità Linee Strategiche e Relazioni Paesi Europei.
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Obiettivi specifici e canali preferenziali
La necessità di stimolare un maggior coinvolgimento delle Pmi è stata riconosciuta anche dall’Ue che ha introdotto uno specifico obiettivo “innovazione nelle Pmi” nel programma H2020.
La Commissione intende assegnare alle Pmi almeno il 20% dei finanziamenti inclusi nei pilastri “leadership industriale” e “sfide per la società”, ovvero circa 8,65 miliardi (poco più del 10% del budget complessivo H2020).
Parte di questa somma sarà erogata tramite un canale preferenziale di finanziamento, il cosiddetto Sme Instrument che dovrebbe garantire fondi alle Pmi per quasi 3 miliardi tra il 2014 e il 2020.
In aggiunta, le Pmi ad alta intensità di ricerca possono partecipare all’Eurostars Joint Programme. Un’altra opportunità è offerta infine dai finanziamenti sotto forma di capitale di credito o di rischio disponibili nell’alveo delle “call access to risk finance” (che non sono riservate solo alle Pmi).
Risultati ancora insoddisfacenti
Ciononostante, i risultati delle prime sub-call H2020 non hanno condotto a miglioramenti rispetto al precedente Programma Quadro: solo il 21% dei partecipanti e il 17% dei soggetti vincenti rientrano nella categoria Pmi cui è diretto meno del 14% del totale finanziamenti richiesti.
La nota positiva è che quasi 19% delle risorse erogate nell’ambito dei pilastri “leadership industriale” e “sfide per la società” sono andate alle Pmi, poco sotto il target iniziale. Nonostante gli sforzi compiuti, H2020 non è ancora un programma per Pmi.
Interrogativi e nodi da sciogliere
Restano una serie di dubbi e di nodi da sciogliere:
- È importante stimolare un maggior coinvolgimento delle Pmi in attività di ricerca e innovazione? È sufficiente riflettere sull’obiettivo, incluso nella strategia Europa 2020, di portare gli investimenti in ricerca e sviluppo al 3% del Pil europeo: in Europa il settore privato investe in tali attività poco più dell’1% del Pil, negli Usa quasi il 2%, in Giappone il 2 e mezzo. Mentre gli investimenti delle grandi imprese reggono il confronto internazionale, le Pmi europee rappresentano il tallone d’Achille.
- È adeguato il target di 8,65 miliardi (10% del budget totale) da destinare alle Pmi? Il programma H2020 ha segnato un punto di svolta, puntando soprattutto sull’innovazione piuttosto che su ricerca e sviluppo. Con l’avvicinamento al mercato è ragionevole attendersi maggiore interesse da parte delle Pmi, anche in assenza di obiettivi o strumenti dedicati. Il target della Commissione, peraltro solo sfiorato nelle prime sub-call, ha tutta l’aria di essere un bersaglio a portata di mano.
- Come si spiegano i risultati deludenti delle prime sub-call? Vale la pena riflettere su alcune delle criticità già emerse. Le Pmi: i) sono meno informate sulle opportunità offerte dai programmi europei; ii) hanno risorse umane e finanziarie, e spesso anche competenze (si pensi alle barriere linguistiche), inadeguate per preparare proposte convincenti; iii) incontrano ostacoli nella ricerca di partner e nella gestione di consorzi internazionali; iv) hanno difficoltà di accesso al credito per integrare, laddove richiesto, i fondi comunitari.
- La strategia adottata dalle Istituzioni europee può migliorare le performance delle Pmi? Lo Sme Instrument ha il pregio di dedicare risorse alle Pmi. Lo strumento consente la partecipazione anche a singole imprese e questa è stata la forma di partecipazione finora preponderante, in particolare per la fase uno. Sarebbe opportuno incentivare la partecipazione in forma consorziata per: i) addestrare alla partecipazione alle altre call H2020; ii) garantire la spinta innovativa che discende da collaborazioni internazionali. Lo Sme Instrument inoltre: i) offre una copertura pari al 70% delle risorse necessarie per un progetto, mal conciliandosi perciò con i problemi di accesso al credito delle Pmi; ii) non consente la contemporanea presentazione o implementazione di un secondo progetto nell’ambito dello stesso strumento, riducendo ulteriormente gli incentivi a creare consorzi.
Bisogna certamente coinvolgere più Pmi e dirigere loro maggiori risorse. Non basta però rincorrere le statistiche. Serve migliorare la qualità della partecipazione e consentire alle Pmi di superare e non aggirare i tipici limiti che le contraddistinguono.
Felice Simonelli è Assegnista di ricerca presso l’Agenzia Spaziale Italiana, Unità Linee Strategiche e Relazioni Paesi Europei & Ricercatore presso il Centre for European Policy Studies (Ceps).
Osvaldo Piperno è Primo Tecnologo, responsabile Piccole e Medie Imprese e Trasferimento Tecnologico presso l’Agenzia Spaziale Italiana, Unità Linee Strategiche e Relazioni Paesi Europei.
Silvia Ciccarelli è Assegnista di ricerca presso l’Agenzia Spaziale Italiana, Unità Linee Strategiche e Relazioni Paesi Europei.
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