Pedro Sánchez si è ripreso il Partito socialista operaio spagnolo (Psoe). Oltre il 50% dei circa 190.000 militanti socialisti l’ha rieletto segretario generale nelle primarie di domenica scorsa, quasi otto mesi dopo che il Comitato Federale ne aveva forzato le dimissioni.
Sánchez ha vinto contro ogni pronostico, contro i desiderata dei poteri economici e dei principali media (incluso El País, storico quotidiano affine al socialismo), ma soprattutto avendo contro l’intero apparato del partito, che appoggiava la candidata andalusa Susana Díaz, fermatasi ad un 40% dei voti (concentrati peraltro nella sua regione), a fronte del 10% ottenuto dal basco Patxi Lopez, fautore di una poco probabile “terza via”.
La rivincita dell’uomo solo contro tutti Un uomo ferito nel suo orgoglio personale è stato portato alla vittoria da militanti feriti nel loro orgoglio socialista, che mai compresero la decisione di permettere, con l’astensione, l’investitura del conservatore Mariano Rajoy a capo del governo.
Una decisione cui Sánchez si oppose fermamente, fino a dimettersi da segretario generale del partito e da parlamentare, trasformando il “No a Rajoy” in un cavallo di battaglia dalla forte presa sulla base socialista. E senza che Susana Díaz sia riuscita a contrapporre una spiegazione valida a quella decisione, considerata dal partito un gesto necessario e di responsabilità, ma incomprensibile, dolorosa e traumatica per i militanti.
Proprio sul “peccato originale” dell’astensione, Pedro Sánchez ha costruito la sua rivincita, aiutato anche dalla recente ed ennesima ondata di scandali per corruzione che ha coinvolto, nelle scorse settimane, quel Partito popolare (Pp) che il Psoe ha contribuito a confermare al governo.
Quale futuro per il Psoe? Il Psoe esce dalle primarie profondamente fratturato e con la paura di imboccare quel sentiero di marginalizzazione già percorso dai socialisti altrove in Europa, come in Francia o Grecia, dovendosi al contempo difendere da un’alternativa di sinistra ingombrante come è Podemos.
A prima vista risulta difficile credere che Sánchez possa essere la persona giusta per risuscitare un Psoe che è già terzo partito di Spagna nei sondaggi, quando proprio sotto la sua guida i socialisti hanno conseguito i peggiori risultati della loro storia, ottenendo prima 90 e poi 85 seggi su 350 in Parlamento alle elezioni generali del 2015 e 2016. L’appoggio di 74.000 militanti non è molto, se confrontato con la perdita di quasi 6 milioni di elettori a partire dal 2011 (di cui 1 milione e mezzo nell’era Sánchez).
Al contempo, appare evidente che Sánchez potrà avere qualche chance solo se saprà recuperare l’unità del partito, integrando risorse dal campo dei due candidati sconfitti ed evitando di cadere nella tentazione di epurazioni, in vista del Congresso del 17-18 giugno - che designerà la nuova direzione esecutiva nazionale - e dei congressi regionali che si svolgeranno nel corso dell’estate.
È auspicabile, pertanto, che Sánchez sappia gestire il proprio trionfo con generosità e senza fretta, e in tal senso sembra andare la sua offerta di “liste di unità” (che la Díaz ha però respinto) in vista dei mini-congressi in cui ciascuna federazione regionale eleggerà i propri delegati al Congresso nazionale.
Fronte anti-Pp, opposizione senza sconti Dal punto di vista delle politiche non ci si attende, in ogni caso, una radicalizzazione sostanziale della linea del partito. Pur avendo Sánchez incentrato la campagna sulla necessità di un riposizionamento a sinistra, ciò si tradurrebbe soprattutto in una nuova strategia di alleanze con le altre forze di sinistra, secondo il modello portoghese e in funzione anti-Pp. Ciò potrebbe anche comportare un avvicinamento ad alcuni partiti regionali nazionalisti - ad esempio in Catalogna o nella Comunità Valenciana - cui Sánchez ha strizzato l’occhio riferendosi a una Spagna “nazione di nazioni”.
Nel medio periodo è inoltre probabile che, in linea con le promesse fatte, Sánchez cerchi di disegnare un nuovo modello interno di funzionamento del partito, che dia più protagonismo alla base, anche mediante periodiche consultazioni della militanza da cui trarre una legittimazione diretta, riducendo così il peso delle istanze intermedie e delle strutture regionali.
Il primo terreno su cui si misurerà la nuova linea che Sánchez intende dare al partito sarà, in ogni caso, quello parlamentare. A fronte delle accuse di “collaborazionismo” con il Partito popolare lanciate alla direzione provvisoria socialista e alla stessa Susana Diaz nel corso della campagna, ci si attende ora un’opposizione dura e senza sconti.
Rapporti con Podemos e rischio instabilità Resta da vedere fino a che punto essa sarà coordinata con Podemos, che è entrato a gamba tese nelle primarie socialiste presentando in Parlamento, appena due giorni prima della consultazione interna al Psoe, una mozione di sfiducia a Rajoy e proponendo il proprio leader Pablo Iglesias come capo del governo alternativo (la Costituzione spagnola ammette solo mozioni costruttive).
Non solo, Podemos ha già chiesto a Sánchez di passare dalle parole ai fatti e si è offerto di ritirare la propria mozione se il leader socialista ne presenterà una sua. Dalla squadra di Sánchez escludono che questo sia il momento propizio, con un Psoe ancora in costruzione.
Torna però così a Madrid lo spettro dell’instabilità, proprio ora che Rajoy poteva presentarsi a Bruxelles con i conti pressoché in ordine e con un’economia in crescita. Il Pp contava infatti più o meno apertamente sulla vittoria di Susana Díaz, vista come un’interlocutrice più istituzionale e responsabile, con cui far avanzare una legislatura in cui il governo è minoranza in Parlamento, attraverso accordi puntuali.
Rajoy ha comunque al momento escluso di voler sciogliere le Camere, nonostante il rischio che si riproduca una situazione di stallo che pregiudichi la governabilità.
Del resto, per non farsi cogliere impreparato, il leader del Pp stava già da tempo negoziando l’approvazione della legge di bilancio con una maggioranza alternativa, composta dai liberali di Ciudadanos, dal Partito nazionalista basco e dall’unico indispensabile (ma ancora non “a bordo”) deputato di Nuevas Canarias. A conferma che per un Psoe tanto dimagrito, anche un’opposizione dura potrebbe dare pochi frutti.
Elisabetta Holsztejn Tarczewski è diplomatica. Le opinioni sono espresse a titolo personale e non sono riconducibili al Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale.
|
Nessun commento:
Posta un commento