Emmanuel Macron ha vinto nettamente il ballottaggio. Saprà En Marche, questo movimento nuovo, legato nel nome stesso - la stessa sigla: EM - al suo fondatore, tradursi in una forza parlamentare?, e di quale dimensione? Certo, dalla portata del suo successo passerà l'ampiezza della capacità di manovra del nuovo presidente.
Non bisogna tuttavia procedere con il metro del recente passato, cioè della prassi degli ultimi 15 anni seguita alla riforma costituzionale che nel 2000 ha introdotto il quinquennato. Dopo la riforma, i candidati all'Eliseo - scelti attraverso le primarie dai grandi partiti - si sono confrontati alle presidenziali e i deputati sono poi stati eletti sull'onda del risultato di queste, assicurando pertanto al presidente della Repubblica una combinazione di poteri per cinque anni che non ha eguali nel panorama delle democrazie occidentali (negli Usa, infatti, ci sono le elezioni di medio termine; e nei regimi parlamentari il primo ministro può essere sempre sostituito).
Dalle elezioni per l'Assemblea nazionale potrebbe uscire una maggioranza così coesa da imporre al nuovo presidente un governo: qualcosa di diverso dalle coabitazioni conosciute prima della riforma del quinquennato, poiché si tratterebbe di una coabitazione non temporanea ma strutturale.
Un panorama politico frammentato Le vicende di questi mesi mostrano tuttavia quanto il panorama politico francese sia frammentato. Se il Front National riuscisse - riproponendo anche parzialmente il radicamento conquistato nel primo turno delle presidenziali - a portare in Parlamento un consistente gruppo di deputati, difficilmente la destra gollista potrà avere da sola la forza di imporre al presidente un governo frutto di una maggioranza coesa.
E così anche un successo relativo, che garantisse cioè la costruzione di un gruppo parlamentare sotto la bandiera di EM sufficientemente consistente seppur non maggioritario, ne farebbe inevitabilmente il centro di gravità attorno al quale costruire una coalizione. Non avremmo più un presidenzialismo assoluto e l'esercizio del potere, grazie a un accresciuto ruolo del Parlamento, potrebbe essere più equilibrato, meno dipendente dall'influenza della personalità del presidente,il quale dovrà comunque sforzarsi di costruire consenso.
L’Europa al centro della campagna Di fronte a queste possibili prospettive, non dobbiamo dimenticare - e nella sua prima uscita pubblica sulla spianata del Louvre Macron lo ha mostrato plasticamente -, che il presidente della V Repubblica si vede accordato dall'elezione a suffragio universale un particolare carisma, che ha uno dei suoi terreni di elezione (espressamente garantiti dalle norme costituzionali ) nelle matières de souvraineté: la difesa, gli affari esteri, ma anche (da De Gaulle in giù) gli affari europei.
Mettendo al centro della sua campagna la politica europea, Macron ha chiamato i cittadini francesi a dargli un mandato chiaro: "l'Europa è l'opportunità che abbiamo per integrare la nostra piena sovranità", ha infatti affermato senza mezzi termini. I francesi ieri hanno eletto chi siederà per la Francia nel Consiglio europeo. Gli hanno dato un mandato di rilancio, di rifondazione del progetto europeo.
Un mandato che il nuovo presidente ha declinato con una chiarezza sconosciuta nella storia delle competizioni politiche francesi, e più in generale di quelle europee (simmetricamente opposto, nel merito, a quello che il premier britannico sta chiedendo ai suoi cittadini, ma di eguale forza). Un mandato che potrà sviluppare quale che sia l'esito delle legislative, a meno di non voler concedere una chance all'ipotesi di un Parlamento che veda maggioritarie le forze estremiste - di destra e di sinistra - antieuropee.
L’Unione, un progetto da rilanciare Il progetto europeo, indebolito secondo Macron da mancanza di responsabilità e assenza di visione, va rilanciato con una chiara ambizione politica. Ed è compito della Francia "prendere l'iniziativa e collaborare con la Germania, l'Italia ed altri Paesi per rimettere in piedi la nostra Europa".
Il presidente più giovane che la Francia abbia mai avuto, appartenente a una generazione non a caso destinata nei prossimi anni a fare della Francia il Paese più popoloso d'Europa, ha ricordato che l'Unione europea "si costruirà attorno al senso del futuro". Da ciò l'impegno per una politica di investimenti, da finanziare con un bilancio dell'Eurozona affidato a un ministro delle Finanze che sia responsabile davanti al Parlamento dell'Eurozona. Un impegno razionale e strettamente collegato alla necessità di introdurre riforme a livello nazionale che riducano le spese correnti.
A ben vedere, Macron riprende così il filo di quel percorso riformatore cui lui stesso aveva contribuito quale principale collaboratore sulle questioni europee del presidente Hollande, appena eletto nel 2012. Nell'estate di quell'anno (quando il progetto di Unione bancaria fu per la prima volta definito e concordato dai governi) era maturata una svolta nella costruzione della risposta alla crisi. Una risposta il cui organico respiro, fissato nel cosiddetto "Rapporto dei 4 presidenti” del giugno del 2012, si è tuttavia perso strada facendo.
Da un rapporto dei presidenti all’altro Quel Rapporto infatti, oltre a prevedere l'Unione bancaria, fissava quale prospettiva la realizzazione di una Unione di bilancio, quindi di "un organismo di bilancio a livello della zona euro, quale un ufficio del tesoro" e addirittura, nel medio termine, "la emissione di debito comune come elemento di tale unione di bilancio".
Tutto ciò in un contesto fondato da un lato sulla responsabilità che deriva dalla "titolarità nazionale delle riforme", condizione essenziale per promuovere la crescita, e dall'altro su un rafforzamento della legittimità democratica dei processi decisionali, attraverso uno stretto coinvolgimento del Parlamento europeo e dei Parlamenti nazionali.
Questa visione organica, che era andata maturando anche grazie al sistematico lavoro che svolgevano insieme i collaboratori del presidente francese, della cancelliera tedesca e del premier italiano (lo stesso Macron, Nikolaus Meyer-Landrut - oggi ambasciatore tedesco in Francia - e Enzo Moavero Milanesi), è andata perdendosi.
Il successivo “Rapporto dei 5 presidenti” del 2015 sembra infatti aver smarrito questa complessiva visione politica in favore di una governance economica dell'Unione tutta essenzialmente fondata sul rigoroso rispetto di un complesso sistema di regole. Mentre il bilancio dell'eurozona diventa una più incerta "funzione comune di stabilizzazione macroeconomica" e il ministro del Tesoro una futuribile "tesoreria della zona euro".
Riprendere la giusta ambizione Più che una "rivoluzione" il presidente Macron propone allora oggi in primo luogo alla Germania, ma anche espressamente all'Italia, di riprendere con la giusta ambizione quell'organico disegno che lui stesso aveva contribuito ad abbozzare nel 2012, giovane consigliere del presidente Hollande; e di farlo a partire da una ritrovata coesione politica, da una strategia di riforme e modernizzazione del proprio Paese e di riduzione delle spese correnti in cambio dell'impegno, innanzitutto tedesco, a procedere verso una vera riprogrammazione di bilancio, che riconcili solidarietà e responsabilità.
Macron ha dato al suo futuro governo un orizzonte di due anni che coincide con il tempo che resta per la fine della legislatura europea (del Parlamento europeo, della Commissione e del mandato del presidente Tusk). Nel frattempo propone di lanciare, dopo le elezioni tedesche, un dibattito europeo sul contenuto dell'azione dell'Unione e sul suo futuro, al termine del quale Macron prefigura una rifondazione vera del processo di integrazione di un'Europa differenziata e a più velocità.
Si tratta di una sfida lanciata innanzitutto al nostro Paese, oltre che alla Germania,che potrà in fondo contribuire a impostare nel modo giusto la prossima competizione elettorale.
Luigi Gianniti, consigliere parlamentare, insegna diritto parlamentare presso la Facoltà di scienze politiche di Roma 3, già capo di gabinetto del ministro per gli affari europei
|
Nessun commento:
Posta un commento