È stata una campagna lunga, a tratti logorante, quella che ha portato al faccia a faccia decisivo di domenica 7 maggio fra Marine Le Pen e Emmanuel Macron, al secondo turno delle presidenziali francesi.
Per quanto riguarda la Le Pen, la sua presenza è ormai percepita come normale, tanto il Front National si è affermato nelle urne negli ultimi scrutini. Il paradosso sta nell’altro sfidante, Emmanuel Macron: si presenta come il favorito mentre la sua candidatura appariva molto fragile fino a pochi mesi fa. È stata una congiunzione assai rara fra volontà politica e circostanze favorevoli quella che ha aperto la strada al candidato centrista, il quale ha beneficiato delle debolezze delle primarie sia di destra, quelle dei “républicains”, sia di sinistra, quelle del partito socialista.
Macron sulle orme di Giscard d‘Estaing Macron realizza quindi quello che molti hanno tentato senza riuscirsi, una candidatura di centro che unisca la destra e la sinistra intorno a una piattaforma riformista, centrando l’obiettivo di Giscard d’Estaing che già voleva mettere d’accordo sul suo nome “due francesi su tre”.
Macron rappresenta un’espressione politica in piena evoluzione. Da un lato, è un compromesso anti-Le Pen: il candidato giovane che appare il migliore rifugio per il campo dei moderati impegnato a evitare un’ulteriore affermazione del candidato del Front National. Dall’altro, rappresenta una nuova cesura nella politica francese, che rimette in questione il classico bipolarismo destra/sinistra, per opporre i partigiani di un modello aperto, europeo e social-democratico, a quelli che promuovono un modello chiuso, nazionale, con forti interventi statalisti, di matrice di estrema destra ma anche di sinistra radicale.
Macron si impone quindi anche come il candidato della società aperta contro le chiusure proclamate dalla Le Pen. Ed è la miscela fra queste due dimensioni, quella di essere il campione anti-Le Pen ma anche di costituire una cesura politica al passo coi tempi, che rappresenta la forza della candidatura Macron.
Nuovi scenari per la Quinta Repubblica Ma questo vantaggio apre scenari nuovi nel contesto della Quinta Repubblica francese. Nelle elezioni politiche, le legislative, il maggioritario a due turni appariva come una grande macchina di semplificazione che permetteva a un campo di vincere le elezioni in modo chiaro e di avere una maggioranza nell’Assemblea nazionale a sostegno di un governo.
Il perno della legge elettorale sta nella soglia del 12,5% degli iscritti che un candidato deve superare per presentarsi al secondo turno. Con tassi di partecipazione relativamente bassi, soltanto le formazioni che registravano risultati superiori al 20% dei votanti passavano al ballottaggio, nella stragrande maggioranza dei casi sinistra di governo (socialisti) contro destra di governo (républicains).
Oggi, però, la frammentazione osservata nell’ambito del primo turno delle presidenziali fa temere una relativa dispersione dei voti per le politiche. Con quattro formazioni che si aggirano intorno al 20%, possiamo pensare di avere una serie di scontri “triangolari” oppure “quadrangolari”, il che rende abbastanza improbabile che un solo partito possa raggiungere la maggioranza assoluta dei 289 seggi.
Un presidente e un ventaglio di coalizioni Anche se il movimento di Macron, “En Marche”, potrebbe beneficiare di una vittoria del suo leader alle presidenziali, sembra difficile pensare che possa governare da solo. Il che lascia la porta aperta a eventuali coalizioni sia con i socialisti che con i “républicains”. La Francia dovrà quindi re-imparare a governare in coalizione, una prassi che risale al periodo politico precedente la Quinta Repubblica, ovvero a prima del 1958.
Così facendo, la Francia si avvicina anche alla politica tedesca o italiana, il che paradossalmente potrebbe essere portatore di un certo realismo europeo sinonimo di potenziali convergenze. Il movimento “En Marche” non ha esitato a dichiarare il suo europeismo, ovvero la costruzione di una proposta politica riformista all’interno delle istituzioni europee presentate come un valore positivo.
Anche da questo punto di vista si tratta di una svolta epocale, poiché la critica all’Europa era diventata oggetto di competizione fra una destra e una sinistra impegnate a rincorrere i populismi. La logica politica centrista offre il vantaggio di chiarire questo equivoco e di ristabilire il dibattito intorno all’Europa in un contesto pragmatico molto più sano.
Il discorso francese è stato spesso percepito, a ragione, come molto nazionalista e piuttosto diffidente nei confronti dell’Europa. È paradossale constatare che oggi, nel contesto dell’opposizione all’estrema destra, l’Europa diventa il baricentro della politica francese, uno spostamento che potrebbe potenzialmente trascinare i principali partner europei, anche tenendo conto dei calendari elettorali in Germania e in Italia.
È dunque vero che il futuro dell’Europa è in gioco nella presidenziale francese, ma per essere più precisi è in gioco la possibilità di un’accelerazione europea. Se questo succederà, molto si dovrà allo spauracchio Le Pen, non ultimo dei paradossi.
Jean Pierre Darnis è Direttore Programma Sicurezza e Difesa IAI.
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