Bielorussia Minsk e Ue alla ricerca di un reset Alessandro Ronga 20/11/2015 |
Ufficialmente sospese per quattro mesi. È questa la sorte che tocca alle sanzioni che l’Unione europea, Ue, aveva imposto nel 2011 alla Bielorussia, dopo l’ondata di arresti seguita alle proteste di piazza contro il presidente Aleksandr Lukašėnko.
Dal 7 novembre è entrata infatti in vigore la decisione presa da Bruxelles all’indomani delle elezioni presidenziali di ottobre “in risposta alla liberazione di tutti i prigionieri politici avvenuta lo scorso 22 agosto e nel contesto del rafforzamento delle relazioni Ue-Bielorussia”.
Rafforzamento delle relazioni Ue-Bielorussia
Qualcosa è cambiato? Forse sì, forse no. L’embargo verso Lukašėnko, a cui in questi anni è stato anche impedito l’ingresso in Europa con il poco lusinghiero status di “persona non grata”, sarebbe dovuto servire a indebolire il Batka (il “piccolo padre”, come viene definito in patria il presidente) ed agevolare un collasso del regime.
Tali aspettative sono andate deluse: Lukašėnko è ancora là, sopravvissuto ad una terribile crisi valutaria nel 2010 e rafforzato nel 2014 dall’endorsement comunitario di “paciere” tra Russia e Ucraina, conferitogli nientemeno che da quella stessa Catherine Ashton che da Alto Rappresentante per la Politica Estera dell’Ue aveva fatto varare le sanzioni nei suoi confronti.
Da allora il barometro dei rapporti Minsk-Bruxelles si è mantenuto costantemente sul sereno: il fatto stesso che l’Ue, diversamente da quanto avvenuto nel 2010, stavolta non abbia sostenuto apertamente alcun movimento d’opposizione nella corsa presidenziale denota che, almeno per il momento, un cambio di leadership in Bielorussia non sia più prioritario nell’agenda europea.
Una scelta obbligata, dettata dal nuovo corso in politica estera avviato dalla Russia nel 2014: dopo molti anni, Mosca si è ripresa in Ucraina orientale e in Siria quel ruolo di potenza che le mancava dai tempi dell’Urss e con esso anche la capacità di influenzare con il suo peso le scelte dei decision makers nei paesi allineati e nelle nazioni alleate, come appunto è la Bielorussia.
Tra Russia e Bielorussia un rapporto logoro
Ma da mesi i rapporti tra il Cremlino e Minsk sono molto più tesi di quel che si pensi. A maggio aveva fatto scalpore la vistosa assenza di Lukašėnko alle celebrazioni sulla Piazza Rossa per il 70° anniversario della fine della Seconda Guerra Mondiale.
In ottobre l’ultimo capitolo di questo controverso rapporto di amore-odio ha avuto le fattezze di un nyet del presidente bielorusso alla costruzione di una base aerea russa, oggetto di trattativa tra i due governi da più di un anno, seguìto a una manifestazione di regime nella capitale proprio contro la realizzazione dell’infrastruttura militare russa.
Vicende che possono essere interpretate come un tentativo di sfuggire al guinzaglio che Vladimir Putin (a quanto pare, irritatissimo da questa mossa inattesa) vorrebbe ad agganciare al collo della Bielorussia.
Lukašėnko teme di ritrovarsi alla guida di un Paese “satellite” della Russia, com’erano fino al 1989 la Polonia o l’Ungheria: se il Cremlino decidesse di rispolverare la “dottrina della sovranità limitata” di brezneviana memoria, la Bielorussia potrebbe esserne uno dei principali campi di applicazione.
Del resto, è innegabile che l’ex repubblica sovietica sia già oggetto dell’influenza culturale e politica di Mosca. La maggior parte della popolazione bielorussa parla il russo e guarda emittenti televisive russe, quindi viene informata da fonti d’informazione russe, il più delle volte governative e critiche verso l’Ue per le note ragioni legate alla crisi ucraina.
Anche se non gradisce affatto questa ingerenza, Lukašėnko sa bene di non poter arginarla, almeno per ora: un eventuale strappo con il Cremlino in questo momento gli porterebbe solo guai.
Amicizie interessate
Il leader bielorusso è ben conscio di non essere considerato a Mosca un alleato di fiducia. Sa che basterebbe mettere un piede in fallo per finire bersaglio dei media russi (mai molto teneri nei suoi confronti) con il rischio di perdere il consenso popolare e quindi il potere.
A spingere Lukašėnko a rimanere sotto l’ombrello russo è probabilmente questo timore, come pure la stretta dipendenza di Minsk dall’economia del potente vicino, che di fatto rende la Bielorussia facilmente controllabile.
Batka sa benissimo che il principale partner strategico della Bielorussia è, e rimarrà, la Russia, come pure sa bene che i russi - dopo la vicenda ucraina - sono disposti a tutto pur di tenere in piedi quello “Stato cuscinetto” utile ad evitare che l’Occidente si avvicini alle porte del Cremlino.
Quando l’Ue nel 2011 varò le sanzioni volte a isolare Lukašėnko, non considerò l’eventualità, poi materializzatasi, che una Bielorussia isolata dalla comunità internazionale finisse, seppur di malavoglia, sempre più sotto l’ingerenza di Putin. Adesso la moratoria dei prossimi quattro mesi potrebbe dare avvio a un nuovo corso delle relazioni tra Bruxelles e Minsk, meno ideologico e più pratico.
Se la sfida è contro l’influenza culturale russa sui cittadini bielorussi, l’incipit può essere quello di agevolare la mobilità di questi ultimi verso i 28 paesi dell’Ue.
Diversamente da quanto accadeva ai tempi dell’Urss, oggi non è il governo di Minsk a bloccare chi parte, ma l’Ue stessa a creare problemi a chi arriva dalla Bielorussia, con procedure di ottenimento visti lunghe, complicate e costose: un vero e proprio disincentivo ai viaggi, anche in nazioni confinanti come Polonia, Lituania e Lettonia.
Alessandro Ronga è giornalista e collaboratore del settimanale "Il Punto".
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Rafforzamento delle relazioni Ue-Bielorussia
Qualcosa è cambiato? Forse sì, forse no. L’embargo verso Lukašėnko, a cui in questi anni è stato anche impedito l’ingresso in Europa con il poco lusinghiero status di “persona non grata”, sarebbe dovuto servire a indebolire il Batka (il “piccolo padre”, come viene definito in patria il presidente) ed agevolare un collasso del regime.
Tali aspettative sono andate deluse: Lukašėnko è ancora là, sopravvissuto ad una terribile crisi valutaria nel 2010 e rafforzato nel 2014 dall’endorsement comunitario di “paciere” tra Russia e Ucraina, conferitogli nientemeno che da quella stessa Catherine Ashton che da Alto Rappresentante per la Politica Estera dell’Ue aveva fatto varare le sanzioni nei suoi confronti.
Da allora il barometro dei rapporti Minsk-Bruxelles si è mantenuto costantemente sul sereno: il fatto stesso che l’Ue, diversamente da quanto avvenuto nel 2010, stavolta non abbia sostenuto apertamente alcun movimento d’opposizione nella corsa presidenziale denota che, almeno per il momento, un cambio di leadership in Bielorussia non sia più prioritario nell’agenda europea.
Una scelta obbligata, dettata dal nuovo corso in politica estera avviato dalla Russia nel 2014: dopo molti anni, Mosca si è ripresa in Ucraina orientale e in Siria quel ruolo di potenza che le mancava dai tempi dell’Urss e con esso anche la capacità di influenzare con il suo peso le scelte dei decision makers nei paesi allineati e nelle nazioni alleate, come appunto è la Bielorussia.
Tra Russia e Bielorussia un rapporto logoro
Ma da mesi i rapporti tra il Cremlino e Minsk sono molto più tesi di quel che si pensi. A maggio aveva fatto scalpore la vistosa assenza di Lukašėnko alle celebrazioni sulla Piazza Rossa per il 70° anniversario della fine della Seconda Guerra Mondiale.
In ottobre l’ultimo capitolo di questo controverso rapporto di amore-odio ha avuto le fattezze di un nyet del presidente bielorusso alla costruzione di una base aerea russa, oggetto di trattativa tra i due governi da più di un anno, seguìto a una manifestazione di regime nella capitale proprio contro la realizzazione dell’infrastruttura militare russa.
Vicende che possono essere interpretate come un tentativo di sfuggire al guinzaglio che Vladimir Putin (a quanto pare, irritatissimo da questa mossa inattesa) vorrebbe ad agganciare al collo della Bielorussia.
Lukašėnko teme di ritrovarsi alla guida di un Paese “satellite” della Russia, com’erano fino al 1989 la Polonia o l’Ungheria: se il Cremlino decidesse di rispolverare la “dottrina della sovranità limitata” di brezneviana memoria, la Bielorussia potrebbe esserne uno dei principali campi di applicazione.
Del resto, è innegabile che l’ex repubblica sovietica sia già oggetto dell’influenza culturale e politica di Mosca. La maggior parte della popolazione bielorussa parla il russo e guarda emittenti televisive russe, quindi viene informata da fonti d’informazione russe, il più delle volte governative e critiche verso l’Ue per le note ragioni legate alla crisi ucraina.
Anche se non gradisce affatto questa ingerenza, Lukašėnko sa bene di non poter arginarla, almeno per ora: un eventuale strappo con il Cremlino in questo momento gli porterebbe solo guai.
Amicizie interessate
Il leader bielorusso è ben conscio di non essere considerato a Mosca un alleato di fiducia. Sa che basterebbe mettere un piede in fallo per finire bersaglio dei media russi (mai molto teneri nei suoi confronti) con il rischio di perdere il consenso popolare e quindi il potere.
A spingere Lukašėnko a rimanere sotto l’ombrello russo è probabilmente questo timore, come pure la stretta dipendenza di Minsk dall’economia del potente vicino, che di fatto rende la Bielorussia facilmente controllabile.
Batka sa benissimo che il principale partner strategico della Bielorussia è, e rimarrà, la Russia, come pure sa bene che i russi - dopo la vicenda ucraina - sono disposti a tutto pur di tenere in piedi quello “Stato cuscinetto” utile ad evitare che l’Occidente si avvicini alle porte del Cremlino.
Quando l’Ue nel 2011 varò le sanzioni volte a isolare Lukašėnko, non considerò l’eventualità, poi materializzatasi, che una Bielorussia isolata dalla comunità internazionale finisse, seppur di malavoglia, sempre più sotto l’ingerenza di Putin. Adesso la moratoria dei prossimi quattro mesi potrebbe dare avvio a un nuovo corso delle relazioni tra Bruxelles e Minsk, meno ideologico e più pratico.
Se la sfida è contro l’influenza culturale russa sui cittadini bielorussi, l’incipit può essere quello di agevolare la mobilità di questi ultimi verso i 28 paesi dell’Ue.
Diversamente da quanto accadeva ai tempi dell’Urss, oggi non è il governo di Minsk a bloccare chi parte, ma l’Ue stessa a creare problemi a chi arriva dalla Bielorussia, con procedure di ottenimento visti lunghe, complicate e costose: un vero e proprio disincentivo ai viaggi, anche in nazioni confinanti come Polonia, Lituania e Lettonia.
Alessandro Ronga è giornalista e collaboratore del settimanale "Il Punto".
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