Gran Bretagna Ambiguità laburiste su Brexit David Ellwood 24/11/2015 |
Arduo il compito di chi cerca di capire l’esatta posizione del Partito laburista sulla questione cruciale della permanenza o meno della Gran Bretagna nell’Unione europea, Ue. Il sito principale del Partito non ne parla. Tra le 22 questioni indicate come prioritarie dall’ufficio stampa non compare.
Ue, tema non in agenda
Il sito del Ministro degli esteri ombra, Hilary Benn, non funziona. Quello del responsabile per questa specifica questione, il deputato ed ex-ministro Alan Johnson, parla solo dei problemi della sua circoscrizione. Nel suo grande discorso al congresso annuale del Partito, Jeremy Corbyn ha liquidato il problema in due frasi (citate sotto).
A quanto pare, il problema era stato dibattuto dal congresso il giorno precedente, ma poiché non esiste un verbale della discussione, non se ne può sapere niente, se non tramite i scarni e inaffidabili resoconti dei giornali quotidiani. Il sito personale di Corbyn propone un suo discorso sull’argomento senza data. Con un po’ di ricerca, si capisce che risale al 2003.
Frugando ulteriormente, si scopre che sul Partito, l’intervento più recente sul tema è quello pronunciato dall’ex-Ministro ombra degli Esteri, Douglas Alexander, all’inizio della crisi libica, nel 2011.
La piattaforma offerta agli iscritti per contribuire all’elaborazione delle linee del partito sulle varie questioni, yourbritain.org.uk, non offre alcun risultato a quanti inseriscono ‘Unione europea’ nella maschera per la ricerca.
L’impegno europeo di Corbyn
Poiché il Partito laburista non ha il suo giornale, nemmeno on-line, bisogna sfogliare il Financial Times per trovare un articolo nel quale, il 17 settembre scorso, Corbyn spiega quale è il suo punto di vista sull’argomento, o almeno quale era alla metà di settembre (dopo due settimane di oscillazioni, piuttosto imbarazzanti per i sostenitori entusiasti del capo appena eletto).
Leggendolo, si deduce che secondo Corbyn l’Ue ha garantito certi diritti ai lavoratori: ferie stipendiate, limiti all’orario di lavoro, soggiorni sabbatici per la maternità e la paternità. La presenza inglese nell’Ue andrebbe quindi sostenuta proprio per difendere questi vantaggi.
Nello stesso articolo però, Corbyn sostiene che l’Ue viene percepita da troppi cittadini inglesi come un organismo anti-democratico, dominato dall’ideologia del neo-liberismo e dagli interessi del big business.
Basta vedere i suoi progetti per la liberalizzazione ulteriore delle rete ferroviarie per averne la conferma, oppure il sostegno europeo al patto per la riforma del commercio transatlantico, o il trattamento deplorevole riservato alla Grecia.
Secondo Corbyn, il laburista Gordon Brown aveva fatto bene a tenere fuori la Gran Bretagna dall’Eurozona, ma ora si tratta di premere per una tassa sulle transazioni finanziarie.
In questa ottica, per il leader laburista la spinta per riformare l’Ue messa in moto da David Cameron ed altri va bene solo se è in grado di garantire, tra le altre cose, la Politica agricola comune, Pac, venendo incontro così alle esigenze di tutti quegli agricoltori che durante l’estate hanno manifestato in diversi angoli del vecchio continente.
L’articolo del Financial Times si conclude con la promessa da parte dell’uomo ai vertici dei Labour di un maggiore impegno del Partito nel Parlamento europeo, al quale si dovrebbe affiancare un rafforzamento dei legami con i partiti e sindacati fratelli nei vari paesi dell’Ue.
Nel suo discorso di debutto al congresso annuale del partito, Corbyn ha speso solo due frasi per mostrare il suo sostegno ad un’Europa ‘sociale’, di unità, solidarietà e diritti. In questa occasione non c’è stato alcun accenno neanche al ruolo dell’Ue come l’unica istituzione capace di affrontare quei problemi urgenti e sotto gli occhi di tutti come terrorismo, immigrazione, asilo politico e cambiamento climatico.
Laburisti, storicamente disinteressati all’Ue
Assente anche ogni accenno autocritico alle sue precedenti posizioni sull’integrazione europea, al suo no, nel referendum del 1975, per la conferma dell’adesione del suo paese alla Cee, alla sua opposizione ai trattati di Maastricht e di Lisbona. Detto questo, la sua ambiguità si presenta come tutt’uno con quella del suo partito lungo tutta la storia dell’integrazione europea.
Fu proprio il primo ministro laburista Clement Attlee il primo a dire, alla fine degli anni ‘40, un no inglese al concetto di integrazione europea. Con l’eccezione di Roy Jenkins, primo presidente britannico della Commissione europea, nessuno politico laburista di rango si è mai speso per i principi della solidarietà europea. Più in generale,in tutti questi decenni, il partito non ha mai dimostrato il benché minimo interesse nei valori comunitari.
Mentre Tony Blair ha offerto una disponibilità generica, il suo successore Gordon Brown ha persino ostentato la sua indifferenza, a volte anche disprezzo, per tutto quello che si presenta sotto il nome dell’Europa.
Dobbiamo ancora aspettare per conoscere l’evoluzione della posizione del Partito laburista sulle questioni europee. Una grande assemblea sulla questione, annunciata per martedì 17 novembre nei dintorni di Birmingham, se si è svolta, non ha lasciato alcuna traccia nelle fonti ufficiali del partito, né nei media.
Il sito di Alan Johnson, confermato ultimamente come portavoce principale del partito sul referendum europeo, continua a tacere. Sarebbe questo il modo di comportarsi, e di comunicare col mondo, di un partito che aspira seriamente a conquistare il governo del Regno Unito?
David W.Ellwood, Johns Hopkins University, SAIS Europe, Bologna.
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Il sito del Ministro degli esteri ombra, Hilary Benn, non funziona. Quello del responsabile per questa specifica questione, il deputato ed ex-ministro Alan Johnson, parla solo dei problemi della sua circoscrizione. Nel suo grande discorso al congresso annuale del Partito, Jeremy Corbyn ha liquidato il problema in due frasi (citate sotto).
A quanto pare, il problema era stato dibattuto dal congresso il giorno precedente, ma poiché non esiste un verbale della discussione, non se ne può sapere niente, se non tramite i scarni e inaffidabili resoconti dei giornali quotidiani. Il sito personale di Corbyn propone un suo discorso sull’argomento senza data. Con un po’ di ricerca, si capisce che risale al 2003.
Frugando ulteriormente, si scopre che sul Partito, l’intervento più recente sul tema è quello pronunciato dall’ex-Ministro ombra degli Esteri, Douglas Alexander, all’inizio della crisi libica, nel 2011.
La piattaforma offerta agli iscritti per contribuire all’elaborazione delle linee del partito sulle varie questioni, yourbritain.org.uk, non offre alcun risultato a quanti inseriscono ‘Unione europea’ nella maschera per la ricerca.
L’impegno europeo di Corbyn
Poiché il Partito laburista non ha il suo giornale, nemmeno on-line, bisogna sfogliare il Financial Times per trovare un articolo nel quale, il 17 settembre scorso, Corbyn spiega quale è il suo punto di vista sull’argomento, o almeno quale era alla metà di settembre (dopo due settimane di oscillazioni, piuttosto imbarazzanti per i sostenitori entusiasti del capo appena eletto).
Leggendolo, si deduce che secondo Corbyn l’Ue ha garantito certi diritti ai lavoratori: ferie stipendiate, limiti all’orario di lavoro, soggiorni sabbatici per la maternità e la paternità. La presenza inglese nell’Ue andrebbe quindi sostenuta proprio per difendere questi vantaggi.
Nello stesso articolo però, Corbyn sostiene che l’Ue viene percepita da troppi cittadini inglesi come un organismo anti-democratico, dominato dall’ideologia del neo-liberismo e dagli interessi del big business.
Basta vedere i suoi progetti per la liberalizzazione ulteriore delle rete ferroviarie per averne la conferma, oppure il sostegno europeo al patto per la riforma del commercio transatlantico, o il trattamento deplorevole riservato alla Grecia.
Secondo Corbyn, il laburista Gordon Brown aveva fatto bene a tenere fuori la Gran Bretagna dall’Eurozona, ma ora si tratta di premere per una tassa sulle transazioni finanziarie.
In questa ottica, per il leader laburista la spinta per riformare l’Ue messa in moto da David Cameron ed altri va bene solo se è in grado di garantire, tra le altre cose, la Politica agricola comune, Pac, venendo incontro così alle esigenze di tutti quegli agricoltori che durante l’estate hanno manifestato in diversi angoli del vecchio continente.
L’articolo del Financial Times si conclude con la promessa da parte dell’uomo ai vertici dei Labour di un maggiore impegno del Partito nel Parlamento europeo, al quale si dovrebbe affiancare un rafforzamento dei legami con i partiti e sindacati fratelli nei vari paesi dell’Ue.
Nel suo discorso di debutto al congresso annuale del partito, Corbyn ha speso solo due frasi per mostrare il suo sostegno ad un’Europa ‘sociale’, di unità, solidarietà e diritti. In questa occasione non c’è stato alcun accenno neanche al ruolo dell’Ue come l’unica istituzione capace di affrontare quei problemi urgenti e sotto gli occhi di tutti come terrorismo, immigrazione, asilo politico e cambiamento climatico.
Laburisti, storicamente disinteressati all’Ue
Assente anche ogni accenno autocritico alle sue precedenti posizioni sull’integrazione europea, al suo no, nel referendum del 1975, per la conferma dell’adesione del suo paese alla Cee, alla sua opposizione ai trattati di Maastricht e di Lisbona. Detto questo, la sua ambiguità si presenta come tutt’uno con quella del suo partito lungo tutta la storia dell’integrazione europea.
Fu proprio il primo ministro laburista Clement Attlee il primo a dire, alla fine degli anni ‘40, un no inglese al concetto di integrazione europea. Con l’eccezione di Roy Jenkins, primo presidente britannico della Commissione europea, nessuno politico laburista di rango si è mai speso per i principi della solidarietà europea. Più in generale,in tutti questi decenni, il partito non ha mai dimostrato il benché minimo interesse nei valori comunitari.
Mentre Tony Blair ha offerto una disponibilità generica, il suo successore Gordon Brown ha persino ostentato la sua indifferenza, a volte anche disprezzo, per tutto quello che si presenta sotto il nome dell’Europa.
Dobbiamo ancora aspettare per conoscere l’evoluzione della posizione del Partito laburista sulle questioni europee. Una grande assemblea sulla questione, annunciata per martedì 17 novembre nei dintorni di Birmingham, se si è svolta, non ha lasciato alcuna traccia nelle fonti ufficiali del partito, né nei media.
Il sito di Alan Johnson, confermato ultimamente come portavoce principale del partito sul referendum europeo, continua a tacere. Sarebbe questo il modo di comportarsi, e di comunicare col mondo, di un partito che aspira seriamente a conquistare il governo del Regno Unito?
David W.Ellwood, Johns Hopkins University, SAIS Europe, Bologna.
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