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Metodo di Ricerca ed analisi adottato

Medoto di ricerca ed analisi adottato
Vds post in data 30 dicembre 2009 sul blog www.coltrinariatlanteamerica seguento il percorso:
Nota 1 - L'approccio concettuale alla ricerca. Il metodo adottato
Nota 2 - La parametrazione delle Capacità dello Stato
Nota 3 - Il Rapporto tra i fattori di squilibrio e le capacità delloStato
Nota 4 - Il Metodo di calcolo adottato

Per gli altri continenti si rifà riferimento al citato blog www.coltrinariatlanteamerica.blogspot.com per la spiegazione del metodo di ricerca.

mercoledì 2 dicembre 2015

Europa: il sogno tramontato: le frontiere apere

Tornano le frontiere nazionali
Schengen tra morte e risurrezione
Riccardo Perissich
28/11/2015
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Ogni giorno i giornali raccontano della fine dell’Europa senza frontiere e molti sembrano pensare che sia un bene.

In realtà, non solo Schengen comporta indubbi vantaggi politici ed economici, ma sarebbe anche molto più efficace, meno costoso e più utile alla sicurezza di ciascuno controllare insieme le frontiere esterne e unire gli sforzi all’interno per combattere il terrorismo.

Ma Schengen non “funziona”. La percezione, infondata, è che la sicurezza sarebbe meglio assicurata all’interno di frontiere nazionali. È utile fare un po’ di storia.

Nascita e crescita di Schengen
Schengen nacque come un accordo, non ancora un trattato, fra 5 paesi (Benelux, Francia e Germania) con l’obiettivo di eliminare tutti i controlli su merci e persone alle proprie frontiere interne. La motivazione era doppia. Politica, perché il passo avrebbe avuto un alto valore simbolico e un evidente vantaggio economico. Pratica, perché i 5 paesi condividono un lungo sistema di frontiere comuni, porose e difficili da controllare.

Molto prima che Schengen entrasse in vigore, affittavo una casa sulla costa belga vicino alla frontiera francese: ogni mattina andavo in bicicletta a fare la spesa, per sentieri di campagna, in Francia, fino al vicino villaggio, e non mi è mai capitato di incontrare un doganiere. Di fatto, le frontiere quasi non esistevano tranne che sulle strade più importanti.

Ciò che i 5 paesi volevano fare interferiva per molti versi con disposizioni dell’allora Comunità Europea. La Commissione ottenne quindi uno strapuntino al tavolo delle discussioni; occupai quello scomodo sedile per alcuni anni.

Fin dalle prime riunioni fu posto un problema esistenziale. Il Benelux considerava Schengen un accordo “chiuso”, valido solo per i firmatari. La Commissione, appoggiata da Francia e Germania, riteneva invece che un accordo chiuso sarebbe stato, oltre che incompatibile con il trattato, politicamente impresentabile. Questa tesi prevalse e si decise che altri stati avrebbero potuto aderire, a patto di soddisfare condizioni molto stringenti.

Essenzialmente si trattava di un controllo rafforzato alle frontiere esterne e di una collaborazione molto più stretta fra le forze di polizia. All’epoca il terrorismo era considerato una minaccia secondaria e l’attenzione si concentrava sulla lotta alla criminalità organizzata e al traffico di droga.

Intorno al tavolo sedevano, accanto ai diplomatici, esclusivamente poliziotti ed erano questi ultimi a condurre la discussione. Del resto la loro volontà di collaborare era sostenuta dalla convinzione unanime, valida ancora oggi, che i criminali e i trafficanti erano spesso arrestati alla frontiera solo perché era un posto comodo per farlo, ma non grazie ai controlli; la maggior parte degli arresti avviene in seguito a segnalazioni di qualche tipo.

Il problema dei profughi era presente, ma in maniera molto meno drammatica di oggi; il risultato, che all’epoca sembrò soddisfare tutti, fu l’accordo di Dublino che affida allo stato di primo ingresso la responsabilità di gestire il richiedente asilo.

All’inizio le condizioni per ammettere nuovi membri furono prese molto sul serio e le candidature esaminate con diffidenza. Il principale problema, evidente anche se non reso esplicito, era l’Italia; in seguito, Giorgio Napolitano all’epoca ministro dell’interno dovette impegnare tutta la sua personale credibilità per perfezionare la nostra adesione.

Schengen fu progressivamente allargato a un gran numero di paesi a sud, nord ed est; oggi ha cessato di essere un accordo separato, è incluso nel quadro dell’Unione e comprende quasi tutti i paesi membri.

Schengen è gravemente malato
Le modalità di funzionamento del sistema rispecchiano la struttura dell’Ue. Le regole sono comuni, ma l’applicazione è interamente lasciata agli stati sotto il controllo della Commissione. Per un certo periodo tutto sembrava procedere bene e i cittadini europei si sono abituati a considerare l’Europa senza frontiere un diritto acquisito. Era tuttavia una navigazione in acque relativamente calme.

Come spesso succede, le risorse di cui dispone la Commissione per i controlli sono limitate e comunque la loro efficacia richiede anche attenzione da parte degli stati; è noto che essi diventano esigenti solo quando scoppia una crisi o quando i loro interessi sono direttamente colpiti dal comportamento anomalo di un altro membro. È connaturato al modo di funzionamento dell’Ue di essere troppo compiacente in condizioni normali e di scatenare l’isteria in circostanze eccezionali.

La situazione attuale è eccezionale. Una crisi migratoria senza precedenti e la minaccia terrorista hanno completamente cambiato i presupposti su cui Schengen era fondato. C’erano avvisaglie già da tempo; con l’inizio delle grandi ondate migratorie crebbe l’acrimonia dei paesi del nord per l’eccessivo lassismo dell’Italia (e poi della Grecia) nel proteggere le proprie frontiere e applicare l’accordo di Dublino e crebbe parallelamente il risentimento italiano verso la scarsa solidarietà e il mancato riconoscimento che Dublino era superato dai fatti.

L’estate scorsa, l’esplosione del problema dei rifugiati siriani ha fatto saltare la marmitta; un certo numero di paesi, prima all’est e poi anche a ovest ha cominciato a ristabilire controlli alle frontiere interne. Gli attentati di Parigi hanno fatto il resto. Contrariamente alla vulgata masochista secondo cui ciò rappresenta già ora la morte di Schengen, tutto ciò è in molti casi previsto dalle regole esistenti.

Tuttavia è sbagliato nascondersi dietro le interpretazioni legali. Esse prevedono che i controlli possano essere ristabiliti in circostanze eccezionali ma per un periodo limitato; è evidente che le circostanze eccezionali sono destinate a durare a lungo. Se Schengen non è morto, molti lo considerano un malato terminale e i populisti hanno buon gioco a reclamarne la fine definitiva.

Medici a consulto: morte o risurrezione?
In molti paesi, comprese Francia e Germania, è in corso un dibattito fra chi crede in una soluzione europea e chi vuole il ritorno alle frontiere nazionali. L’onere della prova ricade sui primi e il tempo a disposizione non è molto.

In tutto questo bisogna evitare di commettere tre errori. Il primo è di opporre i diritti e le libertà difesi dall’Europa, alla sicurezza che invece sarebbe difesa dagli stati; nella situazione attuale il bisogno di sicurezza è destinato a prevalere. Il secondo è fare un amalgama demagogico fra rifugiati e terroristi. Il terzo è di adottare una posizione irenica e sostenere che i due fenomeni non hanno alcun legame.

Contrariamente alla vulgata, le proposte della Commissione e le discussioni fra i governi si stanno muovendo nella direzione giusta: controllo rafforzato alle frontiere esterne, collaborazione più intensa e sistematica dei servizi preposti alla sicurezza, revisione di Dublino, ripartizione dei rifugiati, migliore controllo del territorio, meccanismo di rimpatrio dei non aventi diritto.

Ci sono parecchi problemi politici; tuttavia la difficoltà principale non è nella definizione di principi e delle regole, ma nella loro applicazione. In un sistema come quello attuale dell’Europa, l’efficacia del sistema è pari a quella del suo anello più debole; la minaccia è troppo grave per correre un simile rischio e questo è un argomento potente nelle mani dei populisti.

Sapere che alcuni terroristi, sia pure di nazionalità francese, sono entrati indisturbati dalla Grecia e forse dall’Italia ha prodotto un danno immenso. In un mondo ideale la risposta sarebbe semplice: una Fbi europea e il controllo delle frontiere affidato a una polizia europea. Sappiamo che non esistono le condizioni per questo passo e che, anche se esistessero l’emergenza attuale richiede risposte immediate.

Certo è possibile rafforzare alcuni strumenti che già abbiamo (Frontex, Europol, Eurojust), ma l’essenziale dell’esecuzione e della responsabilità resterà nelle mani degli stati. In tutti i casi bisogna sapere che un sistema efficace comporterebbe nuove importanti limitazioni della sovranità.

Anche a prescindere dalla mancanza di volontà politica da parte di alcuni paesi, sarà comunque difficile che tutti siano in grado di soddisfare alle condizioni richieste per ristabilire un livello di sicurezza accettabile. Certo, sarà necessario mettere in opera anche misure di aiuto e solidarietà. Tuttavia, se in campo economico in certe condizioni può essere saggio mostrare flessibilità nel rispetto delle regole sulla finanza pubblica, lo stesso grado di tolleranza non è possibile se si tratta di controlli alle frontiere.

La difficoltà pratica oltre che politica di mettere in opera un sistema comune rischia quindi di far apparire il ritorno permanente a sistemi nazionali come l’unica soluzione possibile, anche se sappiamo che sarebbe illusoria. Schengen non morirebbe per decisione cosciente ma, come si dice, by default.

Mi chiedo se la soluzione non risieda in qualche modo in un ritorno al metodo delle origini. Il nuovo sistema e le nuove regole partirebbero con i paesi che vogliono e possono non solo accettarle ma anche applicarle. Gli altri seguiranno, se vorranno e dopo essere stati assistiti nel percorso. È una soluzione, che si potrebbe definire Schengen “à la carte”; aleggia già nei corridoi, per il momento viene scartata con sdegno dai guardiani dell’ortodossia, ma sarebbe un errore respingerla a priori.

Riccardo Perissich, già direttore generale alla Commissione europea, è autore del volume “L'Unione europea: una storia non ufficiale”, Longanesi editore.
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