Se analizziamo le modalità in cui sono avvenuti gli attentati a Parigi di gennaio e di novembre 2015 si può notare che entrambi gli attacchi hanno visto l’utilizzazione di armi ed esplosivi (nel secondo caso), entrambi hanno colpito cosiddetti “simboli” in varie parti della città: la sede di un giornale satirico, un supermercato ebraico, una sala da concerti, uno stadio, bar e locali dove si dà appuntamento la gioventù parigina il venerdì sera.
Chi li ha perpetrati è giovane, proviene da quartieri periferici ed ha un passato da piccolo criminale. È noto alle autorità. Più membri della stessa famiglia sono coinvolti.
I fratelli Kouachi sono stati addestrati da Al-Qaida nella Penisola arabica mentre, al momento di scrivere, è noto che almeno tre degli attentatori della recente strage parigina si sono recati in Siria per combattere con l’autoproclamatosi “stato islamico”.
C’è molta speculazione nello stabilire il livello di comando e controllo di Al-Qaida e dello “stato islamico” su questi attacchi. Ispirati o diretti? In realtà, questo ha poca importanza.
La Siria non basta In queste settimane ci si è chiesti se questi attacchi fossero il risultato della presenza militare francese all’estero e in particolare in Siria o della radicalizzazione violenta di una certa parte della popolazione francese. La verità risiede in una combinazione di questi due fattori.
Da un lato, lo “stato islamico”, ovvero il gruppo che ha ispirato o variamente diretto gli ultimi attentati, è il prodotto di un evento che nessuno è stato in grado di prevedere: la trasformazione del conflitto siriano in guerra civile capace di catalizzare le tensioni regionali e internazionali. Senza la guerra in Siria, oggi non ci sarebbe nessuno “stato islamico”, né concretamente né metaforicamente.
Sarebbe un errore tuttavia affermare che la Siria, da sola, sia la causa di questi ultimi attentati o che il fatto che dietro di essi ci sia lo “stato islamico” invece che Al-Qaida cambi di molto le cose.
Dopo venerdì 13 novembre ci si è affrettati a dire che la Francia ha un problema di radicalizzazione violenta cresciuta in casa. In realtà, questo fenomeno non riguarda solo la Francia e non è assolutamente nuovo.
Forse ci si è dimenticati che l’11 settembre è stato pianificato ad Amburgo o che gli attentatori di Londra fossero tutti nati in Inghilterra cosi come tutti gli attentatori che hanno agito in Francia (tanto nella sede di Charlie Hebdo che recentemente) fossero francesi e belgi.
Crisi generazionale Come ha recentemente affermato il politologo Olivier Roy, il problema della radicalizzazione in Francia riguarda solo due categorie di persone: i giovani (figli di) immigrati di seconda (non terza!) generazione e i giovani francesi convertiti all’Islam. È una crisi generazionale condotta contro la generazione dei padri in cui si assiste non alla radicalizzazione dell’Islam, ma all’islamizzazione del radicalismo.
Come se ci fosse il bisogno di ripeterlo, qui l’Islam per sé c’entra poco o niente. Avrebbe potuto essere qualsiasi ideologia, se ancora esistessero. In anni differenti, questi giovani si sarebbero probabilmente uniti all’Action Directe.
Per ragioni complesse e ancora da scoprire, una versione distorta della religione islamica è riuscita ad imporsi a livello ideologico, anche in Europa.
Ecco perché è evidente che un’operazione militare in Siria, in Iraq o in Iraq e in Siria non è sufficiente, da sola, a contrastare il fenomeno del terrorismo né in Europa né in Medio Oriente.
Le recenti piccole vittorie militari contro lo “stato islamico” in Iraq (Sinjar, Baji) ad esempio, hanno immediatamente mostrato i segni di future tensioni locali a livello politico-sociale che in dieci anni potrebbero dare vita ad un nuovo gruppo. Dopotutto lo “stato islamico” è figlio della mala gestione dell’Iraq post-Saddam e della campagna contro Al-Qaida in Iraq.
È corretto dire che i conflitti irrisolti del Medio Oriente nutrono di uomini ed idee gruppi come lo “stato islamico”, il quale ha infatti già penetrato Yemen, Libia ed Afghanistan.
Integrazione e rinuncia alla discriminazione Ma ciò non basta. Per sradicare il fenomeno della radicalizzazione e del terrorismo in Europa è necessario capire che c’è una parte della popolazione europea che si sente in conflitto all’interno della propria famiglia e in uno stato di profondo malessere nei confronti della società in cui vive, non perché Parigi non sia sufficientemente musulmana, ma perché questi giovani non hanno la più pallida idea di chi siano e di che cosa vogliano.
In quanto nati in Europa, hanno creduto di poter essere come i loro coetanei non di origine straniera e di poter diventare qualsiasi cosa desiderassero, ma, a causa di decenni di politiche sociali sbagliate sono rimasti incastrati nelle piccole Algeri, Tunisi, Baghdad che circondano le grandi metropoli europee.
E tristemente, gli unici modelli forti di riferimento intorno a loro sono dei criminali vestiti di nero, aiutati da una massiccia macchina propagandistica post-moderna, ma anche dai media occidentali.
Per la sicurezza dei cittadini europei, tutti, efficaci politiche di integrazione e la rinuncia integrale alla discriminazione sono tanto importanti quanto la sconfitta militare dello “stato islamico”.
Sofia Zavagli è assistente di ricerca al Clingendael Institute e Fellow all’International Centre for Counter Terrorism (ICCT) all’Aia.
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