Conferimento Emblema Araldico a Mario Ceccaroni. Recanati 16 gennaio 2025.
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5 settimane fa
Blog di sviluppo per l'approfondimento della Geografia Politica ed Economica attraverso immagini, cartine, grafici e note. Atlante Geografico Statistico Capacità dello Stato. Parametrazione a 100 riferito agli Stati Europei. Spazio esterno del CESVAM - Istituto del Nastro Azzurro. (info:centrostudicesvam@istitutonastroazzurro.org
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![]() L’idea dell’Unione energetica - sulla quale l’Esecutivo guidato da Jean-Claude Juncker ha investito notevole capitale politico - è stata lanciata proprio dallo stesso Tusk lo scorso aprile, quand’era ancora premier polacco, alla luce dell’acuirsi del conflitto in Ucraina e dai possibili rischi per gli approvvigionamenti energetici ai paesi dell’Europa centrale. Nelle loro conclusioni, i capi di Stato e governo dei 28 Stati Ue hanno sostanzialmente avallato quanto proposto dalla Commissione nella comunicazione, ribadendo l’impegno verso le cinque priorità d’azione per l’Unione energetica: sicurezza energetica, solidarietà e fiducia; piena integrazione del mercato europeo dell'energia; efficienza energetica per contenere la domanda; de-carbonizzazione dell'economia; ricerca, innovazione e competitività. Pur sottolineando la necessità di rafforzare l’azione dell’Ue in materia, il Consiglio europeo non ha però mancato di ricordare la sovranità degli Stati membri e il loro diritto di definire autonomamente i mix energetici nazionali, un elemento che in qualche modo rischia di limitare la portata innovativa dell’Unione energetica stessa. Il gas (e la Russia) elementi centrali Il protrarsi della crisi ucraina e l’incerto destino degli approvvigionamenti di gas russo pesano, eccome, sulle scelte del Consiglio europeo. Non è un caso che il primo tema trattato nelle conclusioni sia la realizzazione di progetti infrastrutturali, in particolar modo le interconnessioni per il trasporto dell’elettricità e del gas nelle regioni periferiche del continente, quelle più vulnerabili in caso di interruzioni degli approvvigionamenti energetici. In quest’ottica l’Unione energetica dovrà garantire la totale conformità alle normative Ue degli accordi per la fornitura di gas tra Stati membri e paesi terzi, rafforzando misure di coordinamento e trasparenza pur nel rispetto delle esigenze di confidenzialità e segretezza fondamentali per un settore complesso come quello energetico. Tali misure, ha sottolineato lo stesso Tusk, potranno prevenire pratiche di abuso di posizione dominante contrarie al diritto europeo da parte di fornitori esterni (c’è chi legge qui Gazprom), rafforzando concretamente la sicurezza energetica dell’Ue. Poco o nulla di fatto, invece, per gli acquisti collettivi di gas, uno dei principali cavalli di battaglia dell’ex premier polacco.L’idea di un acquirente europeo rimane per ora in naftalina, mentre si prospetta la creazione di meccanismi volontari che permettano agli Stati membri di aggregare la propria domanda al fine rafforzare il potere negoziale nei confronti dei fornitori pur rispettando le regole europee della concorrenza. Mercato sì, ma con un occhio alla sicurezza Tra gli obiettivi del Consiglio europeo non poteva mancare il rafforzamento dei meccanismi di mercato attraverso la completa implementazione e la rigorosa applicazione della legislazione europea in materia energetica. Nulla di nuovo sotto il sole, pertanto, e nessun forte riferimento alla competitività del sistema e alla riduzione del costo dell’energia in Europa. Il tema dei costi per cittadini e imprese viene trattato in modo tangenziale affrontando la spinosa questione del modello d’integrazione delle rinnovabili nel mercato elettrico europeo. Le conclusioni sottolineano correttamente la necessità di elaborare un modello decisamente più flessibile ed efficiente di quello attuale - ponendo l’accento sul contributo delle cooperazioni regionali -, che da un lato rispetti le regole europee in materia di aiuti di stato ma che dall’altro non vada a incidere sulla libertà degli stati membri di definire in autonomia il loro mix energetico. Significativa l’attenzione prestata al rafforzamento del frame work regolatorio per garantire agli Stati membri la sicurezza degli approvvigionamenti di gas ed elettricità. Reti energetiche più robuste, maggiore attenzione all’efficienza energetica e sviluppo delle risorse domestiche sono gli ingredienti principali della ricetta del Consiglio europeo per un mercato orientato in primo luogo alla sicurezza energetica. Un’Europa energeticamente sostenibile Non potevano infine mancare i riferimenti alla sostenibilità, per un’Unione che mira a consolidare il suo ruolo di guida globale sui temi delle politiche ambientali e che punta forte sulla sua diplomazia climatica in vista della COP21 di Parigi. In questo contesto, sarà necessario utilizzare gli strumenti dell’Unione energetica per sviluppare una solida e coerente legislazione in materia di emissioni, efficienza e rinnovabili sulla base degli obiettivi fissati al 2030. Significativo il riconoscimento da parte del Consiglio europeo della necessità di implementare un sistema di governance efficace e trasparente, un elemento cruciale per il futuro di ogni ambizione europea in materia di energia, ma che finora non è stato trattato a dovere né dalla Commissione né dagli Stati membri nei loro precedenti incontri. Infine, viene sottolineata l’importanza della dimensione tecnologica dell’Unione energetica, un elemento di assoluta novità inserito tra le priorità d’azione nel documento redatto dalla Commissione Juncker. Gli Stati membri invitano l’Ue a sviluppare una strategia per la tecnologia e l’innovazione nei settori dell’energia e del clima, un elemento di grande rilevanza non soltanto in ambito interno per ridurre e razionalizzare consumi ed emissioni, ma anche per consolidare leadership europea nel settore in vista dell’appuntamento di Parigi e delle strategie post-2020. Nicolò Sartori è responsabile di ricerca del Programma Energia dello IAI (@_nsartori). | ||||||||
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![]() Tale timore induce Kiev ad attuare misure di sicurezza sui confini transnistriani, come la costruzione di trincee (dall’estate scorsa) e il più recente dispiegamento della Guardia Nazionale e di volontari esperti (ed infiltrabili) già combattenti nel Donbass. Tali azioni nascono dalla convinzione che la Transnistria possa costituire una minaccia militare per l’Ucraina. Problemi di sicurezza della Transnistria In realtà, non prendendo in considerazione i veterani riservisti della guerra del 1992, le truppe presenti nella regione non superano le 1.500/2.000 unità, sono tatticamente e logisticamente isolate, impossibilitate ad effettuare un normale e regolare ricambio degli effettivi e, soprattutto, vincolate al proprio primario obiettivo strategico (difesa di postazioni, obiettivi sensibili, armerie): ingenuo pensare che possano condurre operazioni militari sul territorio ucraino. È molto più naturale, invece, che sia la Transnistria a sentirsi minacciata e privata di un supporto difensivo adeguato da parte della Russia, per l’isolamento logistico della regione. Anche per questo, i “peacekeeper” russi sono impegnati da mesi in massicce esercitazioni, l’ultima delle quali può considerarsi preparatoria a scenari tipici di una guerra ibrida (esercitazione di piccoli gruppi tattici). I problemi della sicurezza s’inseriscono in un contesto economico già inizialmente non florido e che, a partire dall’agosto 2014, va sensibilmente peggiorando, come ammette la stessa premier Tatiana Turanskaya. Ciò è dovuto principalmente alla vicina crisi ucraina e alle misure commerciali e di sicurezza adottate dal governo di Kiev nei confronti della regione: annullamento dei contratti (energia elettrica, cemento, acciaio), aumento dei controlli alla frontiera e una campagna mediatica che mette in cattiva luce l’economia locale, scoraggiando di conseguenza i partner ucraini dall’intrattenere rapporti commerciali. A questo si aggiunge ovviamente il pesante deprezzamento del rublo russo che di fatto mette i produttori transnistriani nella condizione di non poter esportare con profitto né in Russia né in Ucraina. Lo stesso ricchissimo oligarca russo Alisher Usmanov ha lasciato la Transnistria e i propri interessi legati alla metallurgia e al cemento, cedendo a gennaio le proprie quote direttamente alle autorità di Tiraspol e lasciando in seria difficoltà l’economia della città di Ribnita. La crisi economica Il governo sta cercando di difendere il rublo transnistriano impedendone il cambio valutario, vietando l’uscita della moneta dai confini nazionali e cercando di dotarsi di valuta forte (euro e dollari americani), abbandonando quindi la vecchia e ricorrente idea di adottare il rublo russo come moneta nazionale. Il deprezzamento del rublo russo nei confronti del rublo transnistriano rende più costoso il sostegno all’economia locale da parte della Russia, che di recente ha rifiutato per la prima volta di concedere un modesto aiuto (pari a circa 100 milioni di dollari) al governo di Tiraspol, non garantendo più l’integrazione in rubli russi alle pensioni sociali. La stessa Gazprom, pur non sollecitandone il pagamento, vanta crediti nei confronti di Tiraspol pari a circa 5 miliardi di dollari dovuti alle forniture di gas erogate nel corso degli anni. La legge finanziaria 2015 prevede uscite quadruple delle entrate e in assenza di un aiuto economico da parte della Russia il governo di Tiraspol sarà costretto a operare drastici tagli alla spesa sociale, licenziamenti in massa, aumenti delle tasse e introduzione di nuovi balzelli. Le già bassissime pensioni sono state dimezzate e l’erogazione degli stipendi ai dipendenti pubblici è attualmente garantita solo a Tiraspol, Dubasari e Ribnita. La crisi ucraina comporta pesanti contraccolpi sul sistema economico e sociale dell’autoproclamato stato separatista e genera diffidenza, incrementando ulteriormente l’isolamento che da oltre 20 anni contraddistingue la regione. La desolante situazione economica può, infine, innescare un pericoloso malcontento sociale potenzialmente aggravato da divisioni etnico-linguistiche su cui movimenti politici ultranazionalisti potrebbero irresponsabilmente giocare. Lo sa bene il governo di Tiraspol che teme infiltrazioni esterne e che pertanto aumenta i controlli alle proprie frontiere sia orientali che occidentali e riorganizza l’organico dei propri servizi informativi e di sicurezza. Come lo sa bene il governo di Kiev che teme un attivismo terroristico nella provincia di Odessa; e lo sa bene il governo di Chisinau, che non può chiudere le frontiere (significherebbe riconoscere indirettamente la sovranità di Tiraspol), ma è in costante apprensione per la propria popolazione residente nella regione. Mirko Mussetti è un giovane analista di stampo neorealista. Aree di interesse primario: Est Europa ed Asia Centrale (@mirkomussetti). |
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![]() Una prima osservazione riguarda la carica rivestita da Juncker: è il Presidente della Commissione che, in quanto organo comunitario, non ha competenza alcuna in tema di sicurezza e difesa, materie gelosamente riservate all'area intergovernativa; le sue dichiarazioni pertanto costituiscono di per se stesse un segnale molto forte, al limite della provocazione, il che implica che i tempi sembrano maturi per affrontare il tema senza preclusioni concettuali. Organo in cerca di funzione Interessante è anche una delle motivazioni addotte, e cioè che "un tale esercito ci aiuterebbe a concepire una politica estera e di sicurezza comune", con un palese rovesciamento logico secondo cui l'organo è destinato a creare la funzione, e non viceversa. Ci sarebbe da rimanere perplessi, ma prima sarà il caso di considerare quanto sta accadendo nei singoli paesi europei: la crisi economica ha indotto quasi tutti, con pochissime eccezioni, a tagli pesanti nel settore della difesa, effettuati senza la minima coordinazione, con il risultato che tutti hanno tagliato le stesse capacità, miopemente percepite come non più indispensabili. Così oggi, ad esempio, sono praticamente scomparsi dagli arsenali degli stati membri i mezzi corazzati, salvo poi accorgersi che qualcuno ad Est questa capacità l'ha ben conservata! Ora apparirebbe saggio, se non logico, che i ministri della difesa dei paesi dell'Unione, per lo meno dei 'willing and able, in un quadro di Cooperazione Strutturata Permanente, come previsto dal trattato di Lisbona, si riuniscano intorno ad un tavolo per concordare in modo coordinato i tagli, così che nel loro insieme i paesi europei conservino tutte le capacità necessarie in misura adeguata. Sarebbe un modo surrettizio di riprendere il concetto di specializzazione e presuppone un grado di mutua fiducia che, al presentarsi della necessità, nessuno possa o voglia tirarsi indietro: ecco che l'organo darebbe forzatamente vita alla funzione. Vista sotto questa prospettiva, l'affermazione di Juncker non appare poi così fuori dalla realtà. Protezionismo e mercato unico Vale la pena di riflettere anche su un'altra delle argomentazioni esposte nell'intervista, quella sull'ottimizzazione della spesa per l'ammodernamento dei mezzi e degli equipaggiamenti: oggi non solo si spende meno del dovuto, ma si spende male e in modo inefficiente, perché nella miope visione protezionistica delle proprie industrie per la difesa, i singoli paesi disperdono le proprie risorse in una miriade di programmi concorrenti, con buona pace del concetto di mercato unico. Davvero l'Europa aveva bisogno di tre tipi di velivoli da caccia o di tredici veicoli blindati da trasporto truppe, con costi unitari saliti alle stelle e sacrificando il principio fondamentale dell'interoperabilita? Certo l'Unione non ha fatto molto per stimolare in modo virtuoso il comparto dell'industria della difesa, salvo emanare faticosamente direttive rimaste sostanzialmente inapplicate: basta dichiarare che un programma risponde all'irrinunciabile interesse strategico del paese (come ha fatto la Francia per il futuro blindato!) per eludere i dettami del mercato unico. Serve quindi un approccio diverso, propositivo e non normativo. Sarebbe così scandaloso se l'Unione in quanto tale, a somiglianza di quanto fatto per il programma Galileo, lanciasse lo sviluppo a fondi comuni del prossimo sistema d'arma complesso, assicurando ai paesi che decidessero di dotarsi di tale sistema benefici come l'esenzione dalla tassazione indiretta e lo scomputo dei fondi per l'acquisizione dal tetto del 3 % del deficit di bilancio? Le cifre in gioco, riferite agli equilibri finanziari, sarebbero minuzie, ma il segnale politico sarebbe straordinariamente forte e potrebbe costituire l'elemento di discontinuità necessario. Ecco perché le dichiarazioni di Juncker non sono campate in aria, ma al contrario possono costituire l'avvio di un dibattito che potrebbe portare lontano. Vincenzo Camporini, già Capo di Stato Maggiore della Difesa, è vicepresidente dello IAI. | ||||||||
Italia-Russia Renzi a Mosca, per il rilancio del ruolo italiano Andrea Carteny 09/03/2015 |
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I limiti del negoziato con Putin Europa-Russia, la Merkel traccia il solco Laura Mirachian 08/03/2015 |
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Crisi del debito e riparazioni di guerra La Grecia batte cassa alla Germania Rodolfo Bastianelli 25/02/2015 |
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Energia L’Unione energetica tra passato e futuro dell’Ue Lorenzo Colantoni, Nicolò Sartori 24/02/2015 |
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