Calato il clamore mediatico suscitato, non certo in Italia, dalle dichiarazioni di Jean-Caude Juncker sull'opportunità di costituire un esercito dell'Unione europea, vale la pena di fare qualche considerazione a freddo.
Una prima osservazione riguarda la carica rivestita da Juncker: è il Presidente della Commissione che, in quanto organo comunitario, non ha competenza alcuna in tema di sicurezza e difesa, materie gelosamente riservate all'area intergovernativa; le sue dichiarazioni pertanto costituiscono di per se stesse un segnale molto forte, al limite della provocazione, il che implica che i tempi sembrano maturi per affrontare il tema senza preclusioni concettuali.
Organo in cerca di funzione Interessante è anche una delle motivazioni addotte, e cioè che "un tale esercito ci aiuterebbe a concepire una politica estera e di sicurezza comune", con un palese rovesciamento logico secondo cui l'organo è destinato a creare la funzione, e non viceversa.
Ci sarebbe da rimanere perplessi, ma prima sarà il caso di considerare quanto sta accadendo nei singoli paesi europei: la crisi economica ha indotto quasi tutti, con pochissime eccezioni, a tagli pesanti nel settore della difesa, effettuati senza la minima coordinazione, con il risultato che tutti hanno tagliato le stesse capacità, miopemente percepite come non più indispensabili.
Così oggi, ad esempio, sono praticamente scomparsi dagli arsenali degli stati membri i mezzi corazzati, salvo poi accorgersi che qualcuno ad Est questa capacità l'ha ben conservata!
Ora apparirebbe saggio, se non logico, che i ministri della difesa dei paesi dell'Unione, per lo meno dei 'willing and able, in un quadro di Cooperazione Strutturata Permanente, come previsto dal trattato di Lisbona, si riuniscano intorno ad un tavolo per concordare in modo coordinato i tagli, così che nel loro insieme i paesi europei conservino tutte le capacità necessarie in misura adeguata.
Sarebbe un modo surrettizio di riprendere il concetto di specializzazione e presuppone un grado di mutua fiducia che, al presentarsi della necessità, nessuno possa o voglia tirarsi indietro: ecco che l'organo darebbe forzatamente vita alla funzione. Vista sotto questa prospettiva, l'affermazione di Juncker non appare poi così fuori dalla realtà.
Protezionismo e mercato unico Vale la pena di riflettere anche su un'altra delle argomentazioni esposte nell'intervista, quella sull'ottimizzazione della spesa per l'ammodernamento dei mezzi e degli equipaggiamenti: oggi non solo si spende meno del dovuto, ma si spende male e in modo inefficiente, perché nella miope visione protezionistica delle proprie industrie per la difesa, i singoli paesi disperdono le proprie risorse in una miriade di programmi concorrenti, con buona pace del concetto di mercato unico.
Davvero l'Europa aveva bisogno di tre tipi di velivoli da caccia o di tredici veicoli blindati da trasporto truppe, con costi unitari saliti alle stelle e sacrificando il principio fondamentale dell'interoperabilita?
Certo l'Unione non ha fatto molto per stimolare in modo virtuoso il comparto dell'industria della difesa, salvo emanare faticosamente direttive rimaste sostanzialmente inapplicate: basta dichiarare che un programma risponde all'irrinunciabile interesse strategico del paese (come ha fatto la Francia per il futuro blindato!) per eludere i dettami del mercato unico.
Serve quindi un approccio diverso, propositivo e non normativo. Sarebbe così scandaloso se l'Unione in quanto tale, a somiglianza di quanto fatto per il programma Galileo, lanciasse lo sviluppo a fondi comuni del prossimo sistema d'arma complesso, assicurando ai paesi che decidessero di dotarsi di tale sistema benefici come l'esenzione dalla tassazione indiretta e lo scomputo dei fondi per l'acquisizione dal tetto del 3 % del deficit di bilancio?
Le cifre in gioco, riferite agli equilibri finanziari, sarebbero minuzie, ma il segnale politico sarebbe straordinariamente forte e potrebbe costituire l'elemento di discontinuità necessario.
Ecco perché le dichiarazioni di Juncker non sono campate in aria, ma al contrario possono costituire l'avvio di un dibattito che potrebbe portare lontano.
Vincenzo Camporini, già Capo di Stato Maggiore della Difesa, è vicepresidente dello IAI.
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