Spagna Madrid in uno stallo all’italiana Riccardo Pennisi 26/01/2016 |
Una situazione all'italiana, "in cui mancano gli italiani": così l'ex primo ministro Felipe Gonzalez descrive l'attuale stallo di una Spagna disabituata all'incertezza e alla frammentazione visto che dal 1979 è stata retta da saldi governi monocolori.
Le ultime elezioni hanno spaccato il vecchio bipartitismo in un sistema a quattro, in cui nessuno è abbastanza forte per imporsi sugli altri, come dimostrano le consultazioni con il re Felipe VI per cercare di formare un nuovo governo.
Il premier uscente Mariano Rajoy, del Partido Popular, Pp, ha vinto le elezioni a dicembre, ma è indebolito. Il suo 28,7% significa il 16% in meno rispetto a quattro anni fa. Anche se il Pp resta il primo partito del paese Rajoy ha, per ora, rifiutato l’incarico di formare il nuovo governo. Mercoledì il re aprirà quindi un secondo giro di consultazioni. Pur con qualche incertezza, l’esito che sembra delinearsi è quello di una svolta a sinistra.
Verso una coalizione di sinistra?
Per avere la maggioranza assoluta in parlamento, il Pp dovrebbe fare un accordo con i socialisti del Psoe. La grande coalizione, inedita in Spagna, è la soluzione preferita sia dal mondo economico e dalla grande stampa nazionale che dai centri di potere europei".
La ragione è semplice: i numeri dicono che l'unica alternativa alle larghe intese è un'alleanza di sinistra, simile a quella appena nata in Portogallo. I socialisti in tal caso dovrebbero accordarsi con i radicali di Podemos, con gli ex comunisti di Izquierda Unida, e anche con i nazionalisti baschi e i secessionisti catalani.
Se ciò accadesse, la Spagna sarebbe il terzo paese mediterraneo a spostarsi ben oltre i confini classici della sinistra moderata: eventualità che a Bruxelles e a Berlino, dove si stabiliscono le regole economiche di tutto il continente, è vista con il fumo negli occhi. I socialdemocratici tedeschi, che nel 2013 preferirono il patto con Angela Merkel piuttosto che il governo con Verdi e Sinistra, spingeranno perché a Madrid si adotti la stessa soluzione.
I socialisti custodiscono le chiavi della partita. Il Psoe è però spaccato: Il segretario-candidato Pedro Sanchez, subito dopo aver incassato il peggior risultato della storia del suo partito (22%), è stato attaccato da un agguerrito fronte interno che ne chiede la testa. A sostituirlo - con il consenso dei delegati delle regioni centro-meridionali, ultimo bastione elettorale socialista - andrebbe la potente presidentessa dell'Andalusia Susana Diaz.
E i nuovi partiti? Ciudadanos, formazione centralista (la questione territoriale è fondamentale sulla scacchiera spagnola) e liberale nata una decina d'anni fa in Catalogna in opposizione alla crescita dell'indipendentismo, ha pochi seggi per essere decisiva nelle consultazioni. Le urne hanno però offerto al suo leader trentaseienne Albert Rivera un discreto 13,9%.
Meglio Podemos: il partito-movimento di sinistra radicale guidato da Pablo Iglesias, l'ex professore di scienze politiche e indignado che con il suo inatteso 20,7% è arrivato a un passo dai socialisti.
Il nodo Catalogna
Sanchez ha capito che proprio l'abbraccio con Podemos lo manterrebbe in sella e taglia i ponti con Rajoy: "se volete cacciarmi - sembra dire agli avversari interni - confessate allora la vostra vera intenzione, le larghe intese con il Pp". In molti nel Psoe le vorrebbero: i "vecchi" del partito, tra i quali potrebbe pesare il parere di Felipe Gonzalez, temono la rincorsa al radicalismo che secondo loro governare con Podemos comporterebbe.
E poi c’è il nodo del referendum sullo status amministrativo della Catalogna che Podemos potrebbe porre come condizione irrinunciabile ad un futuro governo di unità della sinistra. C’è chi teme che un accordo con i catalani, e anche i baschi, costerebbe varie concessioni ai poteri locali autonomisti: i loro elettori centro-meridionali, nel nome dell'uguaglianza di trattamento per tutte le regioni, non le tollererebbero.
Il nodo territoriale è centrale per capire la questione. Il Psoe ha perso il suo radicamento in Catalogna (dov'era molto forte) e nel Paese Basco: gli spagnoli che vivono nelle province più pluraliste per lingua e cultura, interessati a una revisione dei loro rapporti con il centro, seppur senza staccarsi, hanno votato Podemos.
Se il partito perdesse anche il sostegno della Spagna interna, centralista e egualitarista - Andalusia, Estremadura, Castiglia - sarebbe finito. D'altro canto, una grande coalizione con il Pp che non risolvesse i problemi del Paese (la disoccupazione tocca il 21%, l'emigrazione aumenta, la stagione dei tagli non è ancora conclusa) farebbe rischiare al Psoe la brutta fine del Pasok greco.
Le variabili delle consultazioni
Le consultazioni si svolgono dunque attorno a questo dilemma. Rajoy ha optato per la sua tipica tattica attendista, rinunciando a chiedere la fiducia in parlamento, dato che Sanchez appunto rifiuterebbe. La sopravvivenza politica di Sanchez dipende dalla formazione di una coalizione di sinistra, di cui lui stesso sarebbe il capo: come secondo classificato nel voto, ha diritto a condurre le trattative fino a presentare l'accordo al monarca.
A parte il grande dissidio interno, non sarà facile conciliare le vedute e gli interessi di tutti i partiti da coinvolgere. Ai separatisti catalani, che hanno appena conquistato la regione, farebbe gioco un governo centralista a Madrid, ma l'intesa con la sinistra, in fondo, potrebbe fruttare nuove devoluzioni di potere alla Catalogna. La trattativa sarebbe complicata dal parallelo negoziato con i baschi.
Podemos sa che, se il piano saltasse e si tornasse a votare, il partito socialista non reggerebbe, perdendo a suo vantaggio altre centinaia di migliaia di elettori. Per questo le condizioni che Iglesias fisserà per accordarsi con Sanchez saranno dure.
Se Sanchez fallisse, l'opzione di una grande coalizione tornerebbe probabilmente a imporsi, magari guidata da qualcuno che non sia Rajoy, per renderla più digeribile. Ma se la prova di forza e abilità a cui Sanchez è chiamato dovesse riuscire, una Spagna spostata a sinistra aprirebbe nuovi scenari in Europa.
Riccardo Pennisi è collaboratore di Limes, ISPI, Il Mattino e coordinatore delle tematiche europee presso Aspenia.
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Il premier uscente Mariano Rajoy, del Partido Popular, Pp, ha vinto le elezioni a dicembre, ma è indebolito. Il suo 28,7% significa il 16% in meno rispetto a quattro anni fa. Anche se il Pp resta il primo partito del paese Rajoy ha, per ora, rifiutato l’incarico di formare il nuovo governo. Mercoledì il re aprirà quindi un secondo giro di consultazioni. Pur con qualche incertezza, l’esito che sembra delinearsi è quello di una svolta a sinistra.
Verso una coalizione di sinistra?
Per avere la maggioranza assoluta in parlamento, il Pp dovrebbe fare un accordo con i socialisti del Psoe. La grande coalizione, inedita in Spagna, è la soluzione preferita sia dal mondo economico e dalla grande stampa nazionale che dai centri di potere europei".
La ragione è semplice: i numeri dicono che l'unica alternativa alle larghe intese è un'alleanza di sinistra, simile a quella appena nata in Portogallo. I socialisti in tal caso dovrebbero accordarsi con i radicali di Podemos, con gli ex comunisti di Izquierda Unida, e anche con i nazionalisti baschi e i secessionisti catalani.
Se ciò accadesse, la Spagna sarebbe il terzo paese mediterraneo a spostarsi ben oltre i confini classici della sinistra moderata: eventualità che a Bruxelles e a Berlino, dove si stabiliscono le regole economiche di tutto il continente, è vista con il fumo negli occhi. I socialdemocratici tedeschi, che nel 2013 preferirono il patto con Angela Merkel piuttosto che il governo con Verdi e Sinistra, spingeranno perché a Madrid si adotti la stessa soluzione.
I socialisti custodiscono le chiavi della partita. Il Psoe è però spaccato: Il segretario-candidato Pedro Sanchez, subito dopo aver incassato il peggior risultato della storia del suo partito (22%), è stato attaccato da un agguerrito fronte interno che ne chiede la testa. A sostituirlo - con il consenso dei delegati delle regioni centro-meridionali, ultimo bastione elettorale socialista - andrebbe la potente presidentessa dell'Andalusia Susana Diaz.
E i nuovi partiti? Ciudadanos, formazione centralista (la questione territoriale è fondamentale sulla scacchiera spagnola) e liberale nata una decina d'anni fa in Catalogna in opposizione alla crescita dell'indipendentismo, ha pochi seggi per essere decisiva nelle consultazioni. Le urne hanno però offerto al suo leader trentaseienne Albert Rivera un discreto 13,9%.
Meglio Podemos: il partito-movimento di sinistra radicale guidato da Pablo Iglesias, l'ex professore di scienze politiche e indignado che con il suo inatteso 20,7% è arrivato a un passo dai socialisti.
Il nodo Catalogna
Sanchez ha capito che proprio l'abbraccio con Podemos lo manterrebbe in sella e taglia i ponti con Rajoy: "se volete cacciarmi - sembra dire agli avversari interni - confessate allora la vostra vera intenzione, le larghe intese con il Pp". In molti nel Psoe le vorrebbero: i "vecchi" del partito, tra i quali potrebbe pesare il parere di Felipe Gonzalez, temono la rincorsa al radicalismo che secondo loro governare con Podemos comporterebbe.
E poi c’è il nodo del referendum sullo status amministrativo della Catalogna che Podemos potrebbe porre come condizione irrinunciabile ad un futuro governo di unità della sinistra. C’è chi teme che un accordo con i catalani, e anche i baschi, costerebbe varie concessioni ai poteri locali autonomisti: i loro elettori centro-meridionali, nel nome dell'uguaglianza di trattamento per tutte le regioni, non le tollererebbero.
Il nodo territoriale è centrale per capire la questione. Il Psoe ha perso il suo radicamento in Catalogna (dov'era molto forte) e nel Paese Basco: gli spagnoli che vivono nelle province più pluraliste per lingua e cultura, interessati a una revisione dei loro rapporti con il centro, seppur senza staccarsi, hanno votato Podemos.
Se il partito perdesse anche il sostegno della Spagna interna, centralista e egualitarista - Andalusia, Estremadura, Castiglia - sarebbe finito. D'altro canto, una grande coalizione con il Pp che non risolvesse i problemi del Paese (la disoccupazione tocca il 21%, l'emigrazione aumenta, la stagione dei tagli non è ancora conclusa) farebbe rischiare al Psoe la brutta fine del Pasok greco.
Le variabili delle consultazioni
Le consultazioni si svolgono dunque attorno a questo dilemma. Rajoy ha optato per la sua tipica tattica attendista, rinunciando a chiedere la fiducia in parlamento, dato che Sanchez appunto rifiuterebbe. La sopravvivenza politica di Sanchez dipende dalla formazione di una coalizione di sinistra, di cui lui stesso sarebbe il capo: come secondo classificato nel voto, ha diritto a condurre le trattative fino a presentare l'accordo al monarca.
A parte il grande dissidio interno, non sarà facile conciliare le vedute e gli interessi di tutti i partiti da coinvolgere. Ai separatisti catalani, che hanno appena conquistato la regione, farebbe gioco un governo centralista a Madrid, ma l'intesa con la sinistra, in fondo, potrebbe fruttare nuove devoluzioni di potere alla Catalogna. La trattativa sarebbe complicata dal parallelo negoziato con i baschi.
Podemos sa che, se il piano saltasse e si tornasse a votare, il partito socialista non reggerebbe, perdendo a suo vantaggio altre centinaia di migliaia di elettori. Per questo le condizioni che Iglesias fisserà per accordarsi con Sanchez saranno dure.
Se Sanchez fallisse, l'opzione di una grande coalizione tornerebbe probabilmente a imporsi, magari guidata da qualcuno che non sia Rajoy, per renderla più digeribile. Ma se la prova di forza e abilità a cui Sanchez è chiamato dovesse riuscire, una Spagna spostata a sinistra aprirebbe nuovi scenari in Europa.
Riccardo Pennisi è collaboratore di Limes, ISPI, Il Mattino e coordinatore delle tematiche europee presso Aspenia.
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