Brexit Cameron-Tusk, bozza di un accordo anti-brexit David Ellwood 08/02/2016 |
Sarà davvero un momento come quello del settembre 1939 quando il Parlamento britannico ha dovuto decidere la risposta della nazione all’invasione nazista della Polonia?
Il parallelo è stato evocato dal Daily Mail in un clamoroso editoriale pubblicato dopo la presentazione al pubblico del pacchetto di accordi - meglio bozze di accordi - sullo status del Regno Unito dentro l’Unione europea, Ue, negoziato tra il Primo Ministro David Cameron e il Consiglio europeo, rappresentato dal suo Presidente Donald Tusk.
‘Siamo a una crocevia della storia della democrazia in queste isole britanniche’, ha tuonato il Mail, in seguito a un dibattito parlamentare che ha visto il Primo ministro attaccato da molti dei suoi propri deputati, mentre i partiti dell’opposizione -laburisti e nazionalisti scozzesi - si concentravano esclusivamente sulle implicazioni per loro del referendum promesso da Cameron sul suo accordo con l’Ue.
Punti per evitare la Brexit
Non c’è dubbio che una distanza notevole separa le promesse offerte dal Partito conservatore nel suo programma elettorale del 2015, sulla riforma dell’Ue, e quello che Cameron ha effettivamente - e provvisoriamente - ottenuto da Tusk.
Prima si parlava di un controllo molto più severo, se non blocco, dell’immigrazione dai paesi dell’Unione; dell’esclusione totale degli immigrati dai benefits del welfare per diversi anni; della neutralizzazione delle decisioni della Corte europea dei diritti umani e il ripristino della supremazia delle leggi nazionali su quelli dell’Ue; della separazione completa dal punto di visto giuridico e politico dei paesi dell’Eurozona dagli altri; dell’esclusione dalla Gran Bretagna da qualunque progetto che tenderebbe a costruire una ‘unione sempre più stretta’; del rafforzamento del mercato unico e l’abolizione di tutti quegli elementi protezionistici che danneggerebbero la ‘competitività’ dell’Unione, e così via.
Nella lettera che Tusk ha inviato a Cameron per formalizzare il loro accordo, il Presidente del Consiglio europeo si impegna a: 1. rispettare la differenza tra i membri della Eurozona e gli altri; 2. promuovere la competitività tramite la de-regulation; 3. rafforzare il principio e la pratica della sussidiarietà; 4. ‘chiarire’ le regole e le leggi esistenti sui problemi della libertà di movimento dei cittadini dentro l’area dell’Ue, soprattutto per quanto riguardo gli abusi veri o presunti da parte degli immigrati dei sistemi di welfare dei paesi che li ricevono; 5. esplorare la possibilità che ‘elementi’ dell’accordo possono essere incorporati nei Trattati di base dell’Ue al momento della loro prossima revisione.
Labour IN for Britain
All’interno del partito di Cameron si sta alzando un’ondata sempre più rumorosa di quanti contestano l’accordo per la sua forma provvisoria, per l’ambito ristretto dei contenuti e per il non aver ricostruito i fondamenti dei rapporti con l’Ue su basi ancora più distaccate di quelle già esistenti.
Il tasto su cui più insistono i contestatori è quello della sovranità: mai più il parlamento britannico dovrebbe sottostare alle direttive, i regolamenti o qualunque altra forma di legislazione proveniente da qualsiasi istanza dell’Unione.
In un contesto del genere le opposizioni ufficiali si trovano del tutto emarginate. Il Partito laburista ha cercato debolmente di fare leva sulle divisioni tra i Tories, mentre sui contenuti, Corbyn ha fatto accenno soltanto alla questione dei ‘diritti dei lavoratori’, senza approfondire ulteriormente.
Il responsabile per il partito sulle questioni europei, Alan Johnson, ha messo in piedi un piccolo movimento di opinione, Labour IN for Britain¸(sic; di cui il suo sito personale non parla, né quello ufficiale del Partito).
La sua presenza sul Web si limita a un messaggio vocale di Johnson medesimo, insieme a una serie di affermazioni scritte, sui benefici economici per la nazione della permanenza nell’Ue. Dei grandi problemi esistenziali che l’Unione ha davanti, nessuno accenno, ma almeno compare la parola ‘inter-dipendenza’, un caso del tutto eccezionale nel confronto britannico.
Diversi nazionalismi
Quello che è certo è che mentre la classe politica e una parte di quella del business parlano soprattutto di sovranità, alle masse che leggono la stampa di Rupert Murdoch e gli altri giornali anti-Europa, è la questione dell’immigrazione che preoccupa. Intanto i nazionalisti scozzesi minacciano di chiedere un altro referendum sulla questione dell’indipendenza, se la maggioranza degli inglesi chiede di uscire dall’Ue.
Come gallesi ed irlandesi del nord e del sud, essi hanno sempre manifestato un atteggiamento verso il progetto europeo nel suo insieme ben diverso da quelli in Inghilterra che fanno la voce più grossa. Simpatia comunque non vuole dire comprensione.
Quello che più colpisce di questo dibattito è la povertà del linguaggio e dei ragionamenti, la sostanziale indifferenza al grande mondo fuori le isole, il rifiuto generale di contemplare le realtà dell’interdipendenza, persino quando queste stanno distruggendo l’industria del petrolio nel Mare del nord, e le acciaierie del Galles e del Nord Est, e minacciano la stabilità delle istituzioni finanziarie di Londra.
Non saranno né Cameron né Corbyn a spiegare tutto questo ai loro confusi elettori.
David W.Ellwood, Johns Hopkins University, SAIS Europe, Bologna.
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‘Siamo a una crocevia della storia della democrazia in queste isole britanniche’, ha tuonato il Mail, in seguito a un dibattito parlamentare che ha visto il Primo ministro attaccato da molti dei suoi propri deputati, mentre i partiti dell’opposizione -laburisti e nazionalisti scozzesi - si concentravano esclusivamente sulle implicazioni per loro del referendum promesso da Cameron sul suo accordo con l’Ue.
Punti per evitare la Brexit
Non c’è dubbio che una distanza notevole separa le promesse offerte dal Partito conservatore nel suo programma elettorale del 2015, sulla riforma dell’Ue, e quello che Cameron ha effettivamente - e provvisoriamente - ottenuto da Tusk.
Prima si parlava di un controllo molto più severo, se non blocco, dell’immigrazione dai paesi dell’Unione; dell’esclusione totale degli immigrati dai benefits del welfare per diversi anni; della neutralizzazione delle decisioni della Corte europea dei diritti umani e il ripristino della supremazia delle leggi nazionali su quelli dell’Ue; della separazione completa dal punto di visto giuridico e politico dei paesi dell’Eurozona dagli altri; dell’esclusione dalla Gran Bretagna da qualunque progetto che tenderebbe a costruire una ‘unione sempre più stretta’; del rafforzamento del mercato unico e l’abolizione di tutti quegli elementi protezionistici che danneggerebbero la ‘competitività’ dell’Unione, e così via.
Nella lettera che Tusk ha inviato a Cameron per formalizzare il loro accordo, il Presidente del Consiglio europeo si impegna a: 1. rispettare la differenza tra i membri della Eurozona e gli altri; 2. promuovere la competitività tramite la de-regulation; 3. rafforzare il principio e la pratica della sussidiarietà; 4. ‘chiarire’ le regole e le leggi esistenti sui problemi della libertà di movimento dei cittadini dentro l’area dell’Ue, soprattutto per quanto riguardo gli abusi veri o presunti da parte degli immigrati dei sistemi di welfare dei paesi che li ricevono; 5. esplorare la possibilità che ‘elementi’ dell’accordo possono essere incorporati nei Trattati di base dell’Ue al momento della loro prossima revisione.
Labour IN for Britain
All’interno del partito di Cameron si sta alzando un’ondata sempre più rumorosa di quanti contestano l’accordo per la sua forma provvisoria, per l’ambito ristretto dei contenuti e per il non aver ricostruito i fondamenti dei rapporti con l’Ue su basi ancora più distaccate di quelle già esistenti.
Il tasto su cui più insistono i contestatori è quello della sovranità: mai più il parlamento britannico dovrebbe sottostare alle direttive, i regolamenti o qualunque altra forma di legislazione proveniente da qualsiasi istanza dell’Unione.
In un contesto del genere le opposizioni ufficiali si trovano del tutto emarginate. Il Partito laburista ha cercato debolmente di fare leva sulle divisioni tra i Tories, mentre sui contenuti, Corbyn ha fatto accenno soltanto alla questione dei ‘diritti dei lavoratori’, senza approfondire ulteriormente.
Il responsabile per il partito sulle questioni europei, Alan Johnson, ha messo in piedi un piccolo movimento di opinione, Labour IN for Britain¸(sic; di cui il suo sito personale non parla, né quello ufficiale del Partito).
La sua presenza sul Web si limita a un messaggio vocale di Johnson medesimo, insieme a una serie di affermazioni scritte, sui benefici economici per la nazione della permanenza nell’Ue. Dei grandi problemi esistenziali che l’Unione ha davanti, nessuno accenno, ma almeno compare la parola ‘inter-dipendenza’, un caso del tutto eccezionale nel confronto britannico.
Diversi nazionalismi
Quello che è certo è che mentre la classe politica e una parte di quella del business parlano soprattutto di sovranità, alle masse che leggono la stampa di Rupert Murdoch e gli altri giornali anti-Europa, è la questione dell’immigrazione che preoccupa. Intanto i nazionalisti scozzesi minacciano di chiedere un altro referendum sulla questione dell’indipendenza, se la maggioranza degli inglesi chiede di uscire dall’Ue.
Come gallesi ed irlandesi del nord e del sud, essi hanno sempre manifestato un atteggiamento verso il progetto europeo nel suo insieme ben diverso da quelli in Inghilterra che fanno la voce più grossa. Simpatia comunque non vuole dire comprensione.
Quello che più colpisce di questo dibattito è la povertà del linguaggio e dei ragionamenti, la sostanziale indifferenza al grande mondo fuori le isole, il rifiuto generale di contemplare le realtà dell’interdipendenza, persino quando queste stanno distruggendo l’industria del petrolio nel Mare del nord, e le acciaierie del Galles e del Nord Est, e minacciano la stabilità delle istituzioni finanziarie di Londra.
Non saranno né Cameron né Corbyn a spiegare tutto questo ai loro confusi elettori.
David W.Ellwood, Johns Hopkins University, SAIS Europe, Bologna.
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