Aiuti di Stato Verdetto Ue sul futuro dell’Ilva Marco Gestri 05/02/2016 |
L’ennesimo Decreto “salva-Ilva” (ne sono stati contati 9), convertito in legge. Il 27 viene così definita la procedura per il ritorno sul mercato dell’Ilva, in amministrazione straordinaria dal 2013.
Incombe però lo spettro della Commissione Ue che il 20 gennaio ha deciso d’avviare un procedimento d’indagine formale sulle misure adottate a sostegno dell’Ilva di Taranto (per un importo intorno ai 2 miliardi). Il caso era stato sollevato da denunce presentate dall’associazione delle imprese siderurgiche tedesche e da Eurofer che riunisce le imprese europee del settore.
Qualcuno aveva commentato che l’azione evidenzia un intento della Germania di far chiudere l’Ilva. Accuse velatamente riprese da Matteo Renzi, scagliatosi contro “la lobby degli acciaieri di qualche Paese europeo”. Si profila un nuovo scontro Germania-Italia, che potrebbe diventare Ue-Italia. Quali la portata del provvedimento della Commissione e le prospettive di soluzione?
Commissione e aiuti di stato
Con la Decisione del 20 gennaio,la Commissione ha ritenuto che sussistano dubbi riguardo alla compatibilità delle misure italiane con le norme Ue sugli aiuti di Stato e non sia possibile “archiviare” il caso. Ciò non comporta che le misure siano illegittime. Questo dovrà essere appurato dalla Commissione con un procedimento formale, nel quale sia l’Italia che gli altri soggetti interessati (denuncianti e concorrenti) potranno formulare osservazioni.
Il procedimento si concluderà con un’ulteriore decisione che potrà alternativamente dichiarare che: a) le misure non costituiscono aiuti di Stato; b) pur essendo tali sono compatibili col mercato comune; c) possono risultare compatibili solo nel rispetto di determinate condizioni, fissate dalla Commissione; d) si tratta di aiuti di Stato illegali.
In quest’ultimo caso, scatterebbe l’obbligo di sopprimere le misure e assicurare la restituzione degli aiuti erogati. La Commissione dovrà dunque accertare se le azioni contestate costituiscano un “aiuto di Stato” secondo l’art. 107 del Trattato sul funzionamento dell’Ue, Tfue.
Sotto la lente della Commissione si trovano in primo luogo le disposizioni legislative che hanno stabilito garanzie statali su prestiti contratti dall’organo commissariale dell’Ilva. La Commissione nutre altresì dubbi sulle norme che attribuiscono ai prestiti concessi all’Ilva priorità in caso di fallimento.
Per quanto riguarda le garanzie statali, il Decreto del 5 gennaio 2015 aveva disposto una garanzia pubblica per prestiti pari a 400 milioni. La legge di stabilità 2016 aveva previsto ulteriori garanzie statali per prestiti fino a 800 milioni. Queste ultime sono state “trasformate” dalla legge di conversione del Decreto del dicembre 2015 in finanziamenti statali che dovranno essere restituiti cogli interessi.
La medesima legge ha inoltre disposto un finanziamento di 300 milioni all’amministrazione straordinaria di Ilva “per fare fronte alle indilazionabili esigenze finanziarie del Gruppo” che dovrà essere restituito con gli interessi da coloro che si aggiudicheranno l’impresa.
Secondo la giurisprudenza europea, costituisce aiuto di Stato qualsiasi misura che, attraverso un intervento pubblico, determini a favore di un’impresa determinata un vantaggio economicamente apprezzabile. In tale nozione, possono rientrare non solo finanziamenti, ma anche garanzie statali nei riguardi di prestiti contratti da un’impresa, a meno che vengano prestate secondo le normali condizioni di mercato.
La Commissione dovrà quindi determinare se le norme che prevedono finanziamenti o garanzie a favore dell’Ilva conferiscano a tale impresa un vantaggio indebito, precluso ai concorrenti.
Aiuti a finalità ambientali
L’Italia potrà far leva sul fatto che i finanziamenti erogati dalla legge di conversione dell’ultimo Decreto devono esser restituiti con gli interessi. Ma dovrà determinarsi che si tratta di finanziamenti erogati in condizioni di mercato, che avrebbe cioè potuto fornire anche un soggetto privato, pena una loro qualificazione come aiuti di Stato.
Questi sono in principio vietati dal Tfue in quanto pregiudicano una competizione ad armi pari tra le imprese. Il divieto non è assoluto, incontrando esenzioni sia automatiche (caso di calamità naturali) che subordinate a una valutazione discrezionale della Commissione.
Alcune categorie di aiuti sono poi dichiarati a priori, a certe condizioni, compatibili con il mercato comune (“esenzioni per categoria”). Tra queste gli aiuti a finalità ambientale. Nel settore siderurgico non sono invece ammessi aiuti volti a soccorrere imprese in difficoltà (Decisione Ceca n. 2496/96).
Qualora le misure a favore dell’Ilva fossero qualificate aiuti di Stato, l’Italia dovrebbe dimostrare che abbiano finalità esclusivamente ambientali. Le norme sopra ricordate prevedono che gli interventi statali hanno il fine esclusivo dell'attuazione del piano di tutela ambientale e sanitaria dell'impresa nonché di ripristino e di bonifica ambientale.
L’Italia cerca di convincere l’Ue
Nessuno nega che la situazione ambientale dell’Ilva di Taranto sia critica. Essa è stata ripetutamente oggetto dell’attenzione delle istituzioni Ue. Tuttavia, secondo la Commissione, l’Italia non ha provveduto a far sì che l’azienda operi in conformità della normativa ambientale europea.
Dunque, anche se alcune delle misure previste dai Decreti salva-Ilva costituissero aiuti di Stato, l’Italia avrebbe buon gioco nel giustificarle con la finalità ambientale? Un elemento a favore dell’Italia è che la Decisione della Commissione del 20 gennaio, riconoscendo le necessità di bonifica ambientale, non sospende le misure varate.
Permangono tuttavia alcuni ostacoli per una soluzione positiva nei riguardi di tutte le azioni di sostegno. In una situazione intricata come questa non è facile distinguere le misure eminentemente ambientali da quelle volte al salvataggio dell’impresa. In aggiunta, secondo un principio consolidato, non sono ammessi aiuti “ambientali” per consentire a un’impresa (mediante ammodernamento degli impianti) d’allinearsi a norme comunque obbligatorie.
Quanto alle misure di risanamento dell’area, gli interventi di sostegno devono essere conformi al principio “chi inquina paga”. Al riguardo, la legge di conversione approvata il 27 gennaio richiama puntualmente l'obbligo dell'attivazione delle azioni di rivalsa e di risarcimento nei confronti dei soggetti che hanno cagionato i danni ambientali e sanitari. Basterà a convincere la Commissione?
Non lo sappiamo. Certo che se la rigidità delle norme Ue dovesse portare alla chiusura del più grande impianto siderurgico d’Europa, nel Mezzogiorno d’Italia e nel contesto dell’odierna congiuntura economica, sarebbe difficile qualificare come “populiste” le prevedibili reazioni.
Marco Gestri è Professore di diritto internazionale nell’Università di Modena e Reggio Emilia e nella Johns Hopkins University, SAIS Europe.
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Qualcuno aveva commentato che l’azione evidenzia un intento della Germania di far chiudere l’Ilva. Accuse velatamente riprese da Matteo Renzi, scagliatosi contro “la lobby degli acciaieri di qualche Paese europeo”. Si profila un nuovo scontro Germania-Italia, che potrebbe diventare Ue-Italia. Quali la portata del provvedimento della Commissione e le prospettive di soluzione?
Commissione e aiuti di stato
Con la Decisione del 20 gennaio,la Commissione ha ritenuto che sussistano dubbi riguardo alla compatibilità delle misure italiane con le norme Ue sugli aiuti di Stato e non sia possibile “archiviare” il caso. Ciò non comporta che le misure siano illegittime. Questo dovrà essere appurato dalla Commissione con un procedimento formale, nel quale sia l’Italia che gli altri soggetti interessati (denuncianti e concorrenti) potranno formulare osservazioni.
Il procedimento si concluderà con un’ulteriore decisione che potrà alternativamente dichiarare che: a) le misure non costituiscono aiuti di Stato; b) pur essendo tali sono compatibili col mercato comune; c) possono risultare compatibili solo nel rispetto di determinate condizioni, fissate dalla Commissione; d) si tratta di aiuti di Stato illegali.
In quest’ultimo caso, scatterebbe l’obbligo di sopprimere le misure e assicurare la restituzione degli aiuti erogati. La Commissione dovrà dunque accertare se le azioni contestate costituiscano un “aiuto di Stato” secondo l’art. 107 del Trattato sul funzionamento dell’Ue, Tfue.
Sotto la lente della Commissione si trovano in primo luogo le disposizioni legislative che hanno stabilito garanzie statali su prestiti contratti dall’organo commissariale dell’Ilva. La Commissione nutre altresì dubbi sulle norme che attribuiscono ai prestiti concessi all’Ilva priorità in caso di fallimento.
Per quanto riguarda le garanzie statali, il Decreto del 5 gennaio 2015 aveva disposto una garanzia pubblica per prestiti pari a 400 milioni. La legge di stabilità 2016 aveva previsto ulteriori garanzie statali per prestiti fino a 800 milioni. Queste ultime sono state “trasformate” dalla legge di conversione del Decreto del dicembre 2015 in finanziamenti statali che dovranno essere restituiti cogli interessi.
La medesima legge ha inoltre disposto un finanziamento di 300 milioni all’amministrazione straordinaria di Ilva “per fare fronte alle indilazionabili esigenze finanziarie del Gruppo” che dovrà essere restituito con gli interessi da coloro che si aggiudicheranno l’impresa.
Secondo la giurisprudenza europea, costituisce aiuto di Stato qualsiasi misura che, attraverso un intervento pubblico, determini a favore di un’impresa determinata un vantaggio economicamente apprezzabile. In tale nozione, possono rientrare non solo finanziamenti, ma anche garanzie statali nei riguardi di prestiti contratti da un’impresa, a meno che vengano prestate secondo le normali condizioni di mercato.
La Commissione dovrà quindi determinare se le norme che prevedono finanziamenti o garanzie a favore dell’Ilva conferiscano a tale impresa un vantaggio indebito, precluso ai concorrenti.
Aiuti a finalità ambientali
L’Italia potrà far leva sul fatto che i finanziamenti erogati dalla legge di conversione dell’ultimo Decreto devono esser restituiti con gli interessi. Ma dovrà determinarsi che si tratta di finanziamenti erogati in condizioni di mercato, che avrebbe cioè potuto fornire anche un soggetto privato, pena una loro qualificazione come aiuti di Stato.
Questi sono in principio vietati dal Tfue in quanto pregiudicano una competizione ad armi pari tra le imprese. Il divieto non è assoluto, incontrando esenzioni sia automatiche (caso di calamità naturali) che subordinate a una valutazione discrezionale della Commissione.
Alcune categorie di aiuti sono poi dichiarati a priori, a certe condizioni, compatibili con il mercato comune (“esenzioni per categoria”). Tra queste gli aiuti a finalità ambientale. Nel settore siderurgico non sono invece ammessi aiuti volti a soccorrere imprese in difficoltà (Decisione Ceca n. 2496/96).
Qualora le misure a favore dell’Ilva fossero qualificate aiuti di Stato, l’Italia dovrebbe dimostrare che abbiano finalità esclusivamente ambientali. Le norme sopra ricordate prevedono che gli interventi statali hanno il fine esclusivo dell'attuazione del piano di tutela ambientale e sanitaria dell'impresa nonché di ripristino e di bonifica ambientale.
L’Italia cerca di convincere l’Ue
Nessuno nega che la situazione ambientale dell’Ilva di Taranto sia critica. Essa è stata ripetutamente oggetto dell’attenzione delle istituzioni Ue. Tuttavia, secondo la Commissione, l’Italia non ha provveduto a far sì che l’azienda operi in conformità della normativa ambientale europea.
Dunque, anche se alcune delle misure previste dai Decreti salva-Ilva costituissero aiuti di Stato, l’Italia avrebbe buon gioco nel giustificarle con la finalità ambientale? Un elemento a favore dell’Italia è che la Decisione della Commissione del 20 gennaio, riconoscendo le necessità di bonifica ambientale, non sospende le misure varate.
Permangono tuttavia alcuni ostacoli per una soluzione positiva nei riguardi di tutte le azioni di sostegno. In una situazione intricata come questa non è facile distinguere le misure eminentemente ambientali da quelle volte al salvataggio dell’impresa. In aggiunta, secondo un principio consolidato, non sono ammessi aiuti “ambientali” per consentire a un’impresa (mediante ammodernamento degli impianti) d’allinearsi a norme comunque obbligatorie.
Quanto alle misure di risanamento dell’area, gli interventi di sostegno devono essere conformi al principio “chi inquina paga”. Al riguardo, la legge di conversione approvata il 27 gennaio richiama puntualmente l'obbligo dell'attivazione delle azioni di rivalsa e di risarcimento nei confronti dei soggetti che hanno cagionato i danni ambientali e sanitari. Basterà a convincere la Commissione?
Non lo sappiamo. Certo che se la rigidità delle norme Ue dovesse portare alla chiusura del più grande impianto siderurgico d’Europa, nel Mezzogiorno d’Italia e nel contesto dell’odierna congiuntura economica, sarebbe difficile qualificare come “populiste” le prevedibili reazioni.
Marco Gestri è Professore di diritto internazionale nell’Università di Modena e Reggio Emilia e nella Johns Hopkins University, SAIS Europe.
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