Scontro Italia-Ue Il complesso di Calimero e la demonizzazione della Germania Riccardo Perissich 20/01/2016 |
L’attacco frontale di Matteo Renzi all’Unione europea, Ue, solleva almeno tre interrogativi. Innanzitutto i temi e i toni.
Tentare di politicizzare i contenziosi sugli aiuti di stato è sempre controproducente, trattandosi di materie su cui il giudizio finale non spetta ai governi ma alla Corte di Giustizia. Su diversi altri temi l’Italia ha le sue ragioni, ma si tratta di materie su cui la discussione è aperta e dove abbiamo già ottenuto in parte soddisfazione.
I toni ricordano l’eterno complesso di Calimero per cui ci riteniamo vittime di una deliberata discriminazione, salvo poi oscillare fra la dichiarazione che siamo i migliori del mondo, ma anche che siamo strutturalmente incapaci di soddisfare gli impegni liberamente sottoscritti.
Inoltre, l’attacco un po’ demagogico alla “tecnocrazia europea” arriva proprio nel momento in cui la Commissione, assieme al Parlamento, unico debole ostacolo alla deriva intergovernativa, tenta dopo anni di gestione opaca di riacquistare un ruolo politico.
Infine il più importante: aprire un conflitto aperto con la Germania. È probabile che la reazione irrituale di Jean Claude Juncker sia stata motivata anche dallo sgomento di assistere a uno scollamento fra i due soli governi che in un’Europa in serio pericolo di disfacimento mantengono una certa forza e quindi dovrebbero cedere meno di altri alla tentazione di rincorrere i populisti per acquistare consenso interno.
Demonizzare la Germania, deve pensare il presidente della Commissione, rischia di condurre Angela Merkel all’isolamento, ad arrendersi di fronte alle difficoltà, soccombere alle pressioni interne e gettare la spugna. È dunque sul rapporto con la Germania che dobbiamo concentrare l’attenzione.
Italia senza una politica tedesca
L’Italia non ha più una “politica tedesca” da molti anni. Abbiamo sempre preferito focalizzarci sul rapporto con Francia e Gran Bretagna, più di recente con la Spagna, anche se siamo stati raramente ricambiati. Certo, ci sono stati Ciampi, Monti e Napolitano; ma sono state iniziative personali, non seguite e forse nemmeno condivise dall’insieme della classe dirigente.
Se a un italiano o a un tedesco si chiede quale paese europeo sente più vicino, nessuno indicherebbe rispettivamente la Germania e l’Italia. Eppure abbiamo più cose in comune di quanto si pensi. Due unità nazionali tardive, esperienze democratiche a dir poco travagliate, le ferite di un nazionalismo distruttivo.
Nel dopoguerra, l’Europa è stata vista in primo luogo come un modo per ritrovare dignità nel consesso delle nazioni. Inoltre due costituzioni che limitano il potere dell’esecutivo a profitto della centralità del Parlamento, una preferenza per un’organizzazione statale (nel caso italiano ancora in divenire) di tipo federale. Negli affari internazionali una radicata riluttanza ad assumere responsabilità militari. Due economie ancora in gran parte basate sulla manifattura.
L’influenza di alcuni di questi fattori ha fatto sì che Italia e Germania siano sempre state i due grandi paesi più propensi a sposare una prospettiva federale dell’evoluzione della Ue.
Il nostro rapporto con la Germania è invece stato caratterizzato da un misto di ammirazione e antipatia da parte italiana e di diffidenza e irritante condiscendenza da parte tedesca. Nonostante i legami economici, l’immigrazione e il turismo, i due paesi non si conoscono.
Le responsabilità di questo stato di cose sono largamente condivise ed è inutile fare la lista dei meriti e dei demeriti, ma le assurdità che si leggono sulla stampa tedesca a proposito dell’Italia sono pari solo a quelle che si leggono sulla stampa italiana a proposito della Germania.
Italia-Germania, convergenze e divergenze risolvibili
Eppure, contrariamente alla vulgata diffusa, mai come ora i due paesi hanno avuto interessi convergenti sulle cose essenziali e divergenze che non è impossibile comporre. Sulla Libia e il Medio Oriente pensiamo fondamentalmente le stesse cose. Sul problema dei rifugiati, quello su cui probabilmente si gioca il futuro dell’Unione, abbiamo interessi e visione simili. Persino sull’economia le due visoni, per molti versi obiettivamente distanti, si sono molto avvicinate dall’inizio della crisi.
Ciò che più conta, la Germania, egemone riluttante, ha bisogno di sponde e alleati per trasformare l’egemonia in leadership. L’indebolimento della Francia, la marginalizzazione della Gran Bretagna, l’involuzione dell’est, accresce il bisogno di Italia agli occhi di Berlino.
Nel 2012 e per un breve periodo, Mario Monti alla testa di un paese che sembrava aver voltato pagina e intrapreso la strada delle riforme, è riuscito a influire in modo incisivo sulla politica tedesca e quindi su quella dell’Europa. Oggi le relazioni sono tornate a un minimo storico.
Incontro Renzi-Merkel
Nella politica europea attuale contano molto i rapporti personali. Tuttavia nulla predisponeva Giscard e Schmidt, o Kohl e Mitterrand al rapporto stretto e fruttuoso che si stabilì fra loro. Sfugge a troppi che quei felici periodi del rapporto franco-tedesco non sarebbero stati possibili senza un’estesa rete di contatti e una lunga pratica di dialogo a tutti i livelli.
Nulla o poco di tutto ciò esiste oggi fra Italia e Germania. Sembra a volte che il peso del dialogo costruttivo con la Germania sia fatto ricadere sulle spalle di Mario Draghi; ciò è irrituale e controproducente per noi e per l’istituzione che presiede.
Il 29 Matteo Renzi incontrerà la Cancelliera ed è prevedibile che entrambi avranno interesse a proclamare il ritorno del bel tempo. Possiamo tuttavia essere certi che alla prima intervista maldestra di un politico o di un banchiere il cielo tornerà ad essere tempestoso. Alcune divergenze sono oggettive e non facili da negoziare.
Gli stereotipi, le rigidità tedesche e le incertezze italiane sono fenomeni radicati. Lo sforzo di dialogo dovrà quindi essere lungo, paziente e diffuso, alla stregua di ciò che avviene da decenni fra Francia e Germania. Da solo non basterà a rimettere in moto l’Europa, ma è un dovere di entrambi i paesi.
Riccardo Perissich, già direttore generale alla Commissione europea, è autore del volume “L'Unione europea: una storia non ufficiale”, Longanesi editore.
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I toni ricordano l’eterno complesso di Calimero per cui ci riteniamo vittime di una deliberata discriminazione, salvo poi oscillare fra la dichiarazione che siamo i migliori del mondo, ma anche che siamo strutturalmente incapaci di soddisfare gli impegni liberamente sottoscritti.
Inoltre, l’attacco un po’ demagogico alla “tecnocrazia europea” arriva proprio nel momento in cui la Commissione, assieme al Parlamento, unico debole ostacolo alla deriva intergovernativa, tenta dopo anni di gestione opaca di riacquistare un ruolo politico.
Infine il più importante: aprire un conflitto aperto con la Germania. È probabile che la reazione irrituale di Jean Claude Juncker sia stata motivata anche dallo sgomento di assistere a uno scollamento fra i due soli governi che in un’Europa in serio pericolo di disfacimento mantengono una certa forza e quindi dovrebbero cedere meno di altri alla tentazione di rincorrere i populisti per acquistare consenso interno.
Demonizzare la Germania, deve pensare il presidente della Commissione, rischia di condurre Angela Merkel all’isolamento, ad arrendersi di fronte alle difficoltà, soccombere alle pressioni interne e gettare la spugna. È dunque sul rapporto con la Germania che dobbiamo concentrare l’attenzione.
Italia senza una politica tedesca
L’Italia non ha più una “politica tedesca” da molti anni. Abbiamo sempre preferito focalizzarci sul rapporto con Francia e Gran Bretagna, più di recente con la Spagna, anche se siamo stati raramente ricambiati. Certo, ci sono stati Ciampi, Monti e Napolitano; ma sono state iniziative personali, non seguite e forse nemmeno condivise dall’insieme della classe dirigente.
Se a un italiano o a un tedesco si chiede quale paese europeo sente più vicino, nessuno indicherebbe rispettivamente la Germania e l’Italia. Eppure abbiamo più cose in comune di quanto si pensi. Due unità nazionali tardive, esperienze democratiche a dir poco travagliate, le ferite di un nazionalismo distruttivo.
Nel dopoguerra, l’Europa è stata vista in primo luogo come un modo per ritrovare dignità nel consesso delle nazioni. Inoltre due costituzioni che limitano il potere dell’esecutivo a profitto della centralità del Parlamento, una preferenza per un’organizzazione statale (nel caso italiano ancora in divenire) di tipo federale. Negli affari internazionali una radicata riluttanza ad assumere responsabilità militari. Due economie ancora in gran parte basate sulla manifattura.
L’influenza di alcuni di questi fattori ha fatto sì che Italia e Germania siano sempre state i due grandi paesi più propensi a sposare una prospettiva federale dell’evoluzione della Ue.
Il nostro rapporto con la Germania è invece stato caratterizzato da un misto di ammirazione e antipatia da parte italiana e di diffidenza e irritante condiscendenza da parte tedesca. Nonostante i legami economici, l’immigrazione e il turismo, i due paesi non si conoscono.
Le responsabilità di questo stato di cose sono largamente condivise ed è inutile fare la lista dei meriti e dei demeriti, ma le assurdità che si leggono sulla stampa tedesca a proposito dell’Italia sono pari solo a quelle che si leggono sulla stampa italiana a proposito della Germania.
Italia-Germania, convergenze e divergenze risolvibili
Eppure, contrariamente alla vulgata diffusa, mai come ora i due paesi hanno avuto interessi convergenti sulle cose essenziali e divergenze che non è impossibile comporre. Sulla Libia e il Medio Oriente pensiamo fondamentalmente le stesse cose. Sul problema dei rifugiati, quello su cui probabilmente si gioca il futuro dell’Unione, abbiamo interessi e visione simili. Persino sull’economia le due visoni, per molti versi obiettivamente distanti, si sono molto avvicinate dall’inizio della crisi.
Ciò che più conta, la Germania, egemone riluttante, ha bisogno di sponde e alleati per trasformare l’egemonia in leadership. L’indebolimento della Francia, la marginalizzazione della Gran Bretagna, l’involuzione dell’est, accresce il bisogno di Italia agli occhi di Berlino.
Nel 2012 e per un breve periodo, Mario Monti alla testa di un paese che sembrava aver voltato pagina e intrapreso la strada delle riforme, è riuscito a influire in modo incisivo sulla politica tedesca e quindi su quella dell’Europa. Oggi le relazioni sono tornate a un minimo storico.
Incontro Renzi-Merkel
Nella politica europea attuale contano molto i rapporti personali. Tuttavia nulla predisponeva Giscard e Schmidt, o Kohl e Mitterrand al rapporto stretto e fruttuoso che si stabilì fra loro. Sfugge a troppi che quei felici periodi del rapporto franco-tedesco non sarebbero stati possibili senza un’estesa rete di contatti e una lunga pratica di dialogo a tutti i livelli.
Nulla o poco di tutto ciò esiste oggi fra Italia e Germania. Sembra a volte che il peso del dialogo costruttivo con la Germania sia fatto ricadere sulle spalle di Mario Draghi; ciò è irrituale e controproducente per noi e per l’istituzione che presiede.
Il 29 Matteo Renzi incontrerà la Cancelliera ed è prevedibile che entrambi avranno interesse a proclamare il ritorno del bel tempo. Possiamo tuttavia essere certi che alla prima intervista maldestra di un politico o di un banchiere il cielo tornerà ad essere tempestoso. Alcune divergenze sono oggettive e non facili da negoziare.
Gli stereotipi, le rigidità tedesche e le incertezze italiane sono fenomeni radicati. Lo sforzo di dialogo dovrà quindi essere lungo, paziente e diffuso, alla stregua di ciò che avviene da decenni fra Francia e Germania. Da solo non basterà a rimettere in moto l’Europa, ma è un dovere di entrambi i paesi.
Riccardo Perissich, già direttore generale alla Commissione europea, è autore del volume “L'Unione europea: una storia non ufficiale”, Longanesi editore.
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