Conferimento Emblema Araldico a Mario Ceccaroni. Recanati 16 gennaio 2025.
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5 settimane fa
Blog di sviluppo per l'approfondimento della Geografia Politica ed Economica attraverso immagini, cartine, grafici e note. Atlante Geografico Statistico Capacità dello Stato. Parametrazione a 100 riferito agli Stati Europei. Spazio esterno del CESVAM - Istituto del Nastro Azzurro. (info:centrostudicesvam@istitutonastroazzurro.org
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![]() Le elezioni per il rinnovo dell’Eduskunta, il Parlamento unicamerale finlandese composto da 200 membri, si svolgono ogni 4 anni, con il sistema proporzionale. Secondo un rilevamento di Taloustutkimus per conto della Yle, la radio televisione finlandese, le scelte in extremis degli indecisi potrebbero essere determinanti per l’esito elettorale. Allo stato, il partito di centro, Kesk, ora all’opposizione, registra un 24,9% dei consensi, seguito dai socialdemocratici, Sdp, e dai conservatori, Kok, col 16 % circa ciascuno. Il partito populista dei Finlandesi segue a ruota col 14,6%, davanti ai Verdi, 8,9%. Quindi la Sinistra di VL con l’8,5%, il partito svedese, Rkp, con il 4,5% ed i democristiani del KD col 3,9%. Un altro sondaggio mostra la tendenza degli elettori a favorire un governo-duetto, ovvero formato da centristi e socialdemocratici. Il governo uscente, che guida il Paese dal 2011, è costituito da una coalizione di 4 partiti, conservatori, socialdemocratici, svedesi e democristiani; fino al 2014 ne facevano parte anche i Verdi e l’Alleanza di Sinistra, poi uscitine per dissensi politici. Un elettorato indeciso I circa 4 milioni e mezzo di finlandesi che eleggeranno il nuovo Parlamento designeranno probabilmente come vincitore il partito centrista, rimasto all’opposizione nella attuale legislatura, guidato da Juha Sipilä, che potrebbe quindi formare una coalizione a due con i socialdemocratici, i quali, nel sondaggio, sono in un testa a testa coi conservatori per il secondo posto. I temi economici e i rapporti col vicino russo sono i punti nodali su cui verte l’imminente tornata elettorale. I risultati che presenta la coalizione uscente non sono valutati in modo omogeneo. L’economia è in recessione per il terzo anno consecutivo. Le sanzioni Ue imposte alla Russia per la crisi ucraina stanno avendo un impatto negativo anche sui rapporti economici bilaterali tra la Finlandia ed il suo grande vicino: il commercio con la Russia rappresenta infatti un decimo delle esportazioni totali finlandesi e un 4% del suo prodotto interno lordo. Ulteriori frizioni con la Russia sono state sviluppate dalle recenti dichiarazioni dei paesi nordici di voler rafforzare la cooperazione militare che la Russia ritiene, e non a torto, in funzione antirussa. Il tasso di disoccupazione in Finlandia è salito al 10% come è salito anche il debito pubblico e gli elettori avrebbero quindi la tendenza a punire il governo uscente del premier Alexander Stubb, Kok, per non aver saputo affrontare al meglio questa contingenza. Negli ultimi anni, il Paese ha sofferto una serie di circostanze non positive: la de-finlandizzazione del colosso Nokia, che aveva fatto da volano allo sviluppo tecnologico finlandese e che era stato leader di mercato nel mondo fino al 2011; il forte declino di domanda dei prodotti dell’industria della carta, di cui la Finlandia è leader in Europa, causato dal calo di pubblicazioni per lo sviluppo del settore web, il citato incremento del debito pubblico, salito dal 48,5% del PIL del 2011 al 59% attuale, al limite della soglia del 60% fissata dal patto Ue di crescita e stabilità. A ciò, si deve aggiungere l’incremento medio delle tasse del 3-4% circa nell’ultimo quadriennio, che si è tentato di fronteggiare con crescenti tagli di bilancio. A fronte di questi sviluppi negativi, il governo Stubb ha risposto riducendo la tasse societaria dal 24,5 al 20% per incoraggiare gl investimenti diretti esteri; o con l’innalzamento della soglia pensionistica da 63 a 65 anni visto che, dopo il Giappone, la Finlandia è il Paese ove l’età media sta innalzandosi sempre più rapidamente. Secondo il leader del Sdp, attuale ministro delle Finanze, Antti Rinne, l’economia non potrà crescere se non aumentano i consumi interni. Il calo dei consensi quindi verso i centristi sarebbe dovuto più allo scontento verso la situazione attuale che non ad un’alternativa meditata. Il programma del leader del Kesk privilegia tagli di bilancio più che aumenti di tasse, riduzione del debito pubblico entro il 2017, creazione di almeno 20.000 posti di lavoro entro i prossimi dieci anni (la Finlandia ha 5 milioni e mezzo di abitanti), riduzione di spesa pubblica e dei benefici di disoccupazione, riduzione del numero dei ministeri, attualmente 13. Il calo dei veri finlandesi Il partito nazionalpopulista dei Finlandesi, che negli ultimi anni era sorto come vera sorpresa del panorama politico finnico, sorta di partito ‘grillino’, ottenendo nel 20\11 il 19,1% dei voti, vede ridursi la propria attrattività sull’elettorato, per l’edulcorarsi delle proprie posizioni nazionaliste ed anti-Ue ed anti Euro. Iil suo leader, Timo Soini, dichiara di esser pronto ad entrare in una colazione coi centristi. I finlandesi all’estero hanno già votato in un turno elettorale anticipato dall’8 all’11 aprile in 233 seggi dislocati in 89 Pesi. In Italia, a cura dell’ambasciata di Finlandia, a Roma, Milano, Firenze, Catania e Torino. Gianfranco Nitti è giornalista, corrispondente di mass media finlandesi dall’Italia. |
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![]() Le similitudini con gli omicidi di Umar Israilov, Movladi Baisarov, Ruslan e Sulim Jamadaev, tutti rivali del Presidente della Cecenia e tutti, come Nemtsov, crivellati di colpi mentre si trovavano in strada, hanno spinto gli inquirenti russi ad imboccare la strada che porta a Grozny, come del resto gli investigatori del Skrf, il Comitato Investigativo di Russia (una sorta di Fbi), ma il forte sospetto è che questi ultimi siano stati spinti in tale direzione dai loro colleghi, eredi del vecchio Kgb. L’inedito scenario troverebbe conferma nel fatto stesso che gli inquirenti russi hanno imboccato con decisione la pista cecena, dando subito l’impressione di cercare qualcosa che sapevano di trovare: politicamente, ciò potrebbe essere interpretato come un segnale verso Kadyrov, come a dirgli che sono finiti i tempi dell’impunità assoluta di cui lui e le sue milizie, i famigerati kadyrovtsy, hanno beneficiato per anni. Lubjanka insofferente Nel Risiko dei conflitti caucasici, i kadyrovtsy e gli uomini delle forze di sicurezza e dei servizi russi combattono sullo stesso fronte, contro le milizie jihadiste e qaediste. Ma non è più un mistero che quel fronte comune antiterrorismo sia percorso, già da tempo, da molti dissensi. Già nel 2013, infatti, alcuni ufficiali del Fsb iniziarono uno sciopero della fame contro la mancata incriminazione di tre poliziotti ceceni, accusati di aver rapito e torturato un cittadino russo: in nome della stabilizzazione della Cecenia e del conseguente rafforzamento dell’assolutismo di Kadyrov voluto dal Cremlino, alla Lubjanka (la storica sede dei servizi russi) hanno dovuto ingoiare parecchi rospi. Per un lungo periodo, i kadyrovtsy hanno potuto fare quel che volevano, nella più sicura impunità: ecco perchè il Fsb adesso ha interesse a ridimensionare Kadyrov, cominciando a colpire la base della sua “Piramide di Potere”, ovvero i suoi uomini. La vicenda di Boris Nemtsov, l’esponente liberale russo ucciso al centro di Mosca la sera del 27 febbraio scorso, sembra così essere sfruttata come una pedina nel corso di una guerra che parte da lontano. Pochi giorni prima dell’omicidio dell’esponente liberale, si era già verificato un episodio anomalo: in Dagestan, altro tassello pericolante del complesso mosaico caucasico, un tribunale aveva condannato rispettivamente a 9 e 12 anni di reclusione due ceceni accusati di aver progettato l’assassinio di Saigidpasha Umakhanov, sindaco di Khasavyurt, terza città della repubblica autonoma. Non poco, in una regione dove gli omicidi politici di matrice cecena fino a ieri restavano di solito impuniti. Cambio della guardia in vista? Se i servizi segreti stanno riconquistando peso nella vicenda cecena e se Kadyrov è diventato improvvisamente ingombrante per il Cremlino, possiamo dunque ricollegare ciò ad una precisa strategia volta ad una sua prossima defenestrazione? È presto per dirlo e comunque, al momento, non si intravede all’orizzonte alcun cambio della guardia a Grozny. La ragione è semplice: Kadyrov è ancora l’uomo che può garantire l’ordine in Cecenia. Mosca questo lo sa bene, e sa pure che un cambio “controllato” di regime sarebbe una manovra ad alto rischio: quello ceceno è storicamente un contesto formato da clan, che cercherebbero in tutti i modi di colmare il vuoto di potere lasciato dal leader caucasico. In breve, la Cecenia tornerebbe indietro di vent’anni, stravolta da violenze, vendette e ritorsioni tra le varie bande, ognuna con a capo il suo signore della guerra. A meno che non sia lo stesso Kadyrov a diventare così incontrollabile da far prevalere a Mosca la linea della deposizione, sostenuta forse dalla Lubjanka ma apparentemente non ancora dal Cremlino. Ciò che inquieta il Fsb è proprio la tanto sbandierata fedeltà di Kadyrov alla Russia, in realtà costata a Mosca fior di quattrini per avergli “appaltato il lavoro sporco” dellanormalizzazione di un territorio conteso tra bande di jihadisti, mafiosi e trafficanti vari: uno che si è venduto per soldi e potere - è il timore degli agenti russi - può farlo di nuovo e al miglior offerente, specie se vede che il terreno sotto i suoi piedi comincia a franare. E l’entrata in gioco di un “miglior offerente”, consapevole del ruolo strategico della Cecenia sugli equilibri energetici del Caucaso, potrebbe non essere solo un’ipotesi. Pochi giorni dopo la strage alla redazione di Charlie Hebdo, Kadyrov ha organizzato un’oceanica manifestazione pro-Islam e contro le vignette pubblicate dalla rivista satirica francese: tale improvvisa vocazione religiosa del leader ceceno autorizza a pensare che qualcuno possa aver già bussato alle porte di Grozny. Alessandro Ronga è giornalista e collaboratore del settimanale "Il Punto". | ||||||||
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![]() La Gagauzia, regione autonoma della Repubblica Moldova, è abitata in prevalenza dall'etnia gagauza (popolazione cristiano-ortodossa che parla una lingua imparentata con il turco): ha da sempre espresso simpatie filorusse e spinge per un'intensificazione dei legami con Mosca. Irina Vlah, che comprende bene tali sentimenti e disponeva di un budget per la campagna elettorale più che doppio rispetto al principale competitore, ha saputo attirare su di sé la maggioranza assoluta delle preferenze, accaparrandosi al primo turno il 51,11% dei voti ed evitando così il ballottaggio. Il neo-başcan è una fuoriuscita del Partito Comunista, per il quale l'Uta è sempre stata una vera e propria roccaforte. Inoltre, il risultato è stato facilitato da una bassa affluenza alle urne (58,1% dei circa 106.000 elettori) che ha penalizzato soprattutto la debole e divisa opposizione filo-europeista. I risultati I risultati sono stati ufficialmente confermati dalla commissione elettorale di controllo gagauza. La Corte di Appello, nel termine di legge di dieci giorni, non ha trovato nulla da ridire sulla correttezza dell'esito delle urne, nonostante le presunte 25 infrazioni denunciate (tra cui la distribuzione di denaro e patate agli elettori) e la formale richiesta di ricalcolo dei voti da parte di due candidati, tra cui il “filo-europeista” Dudoglo. I risultati ufficiali pertanto risultano essere: 1 - Irina Vlah: 51,11% delle preferenze; 2 - Nicolai Dudoglo: 19,06%; 3 - Valeri Ianioglo: 7,98%; 4 - Dmitri Croitor: 6,21%; 5 - Oleg Garizan: 5,01% I restanti cinque candidati hanno ottenuto complessivamente il 10,63% dei voti. La campagna elettorale Il nuovo governatore ha condotto la campagna elettorale prospettando un vettore euroasiatico per il futuro sviluppo della regione - in difformità dalle linee politiche del governo centrale di Chisinau, impegnato non senza difficoltà nell'attuazione del processo di integrazione europea -, ma ha pure ricercato ed ottenuto l'esplicito supporto di importanti ed influenti artisti e politici russi, lasciando pertanto inascoltate le forti parole del presidente Nicolae Timofti che paventano un'ingerenza russa negli affari interni della Repubblica Moldova. Significativi a tale proposito sono stati gli incontri della Vlah con entrambi i presidenti delle camere del Parlamento russo avvenuti nella fase più calda della campagna elettorale e la presenza di tre parlamentari della Duma alla conferenza "internazionale" organizzata dal Psrm nel capoluogo Comrat a soli dodici giorni dalle elezioni, denominata" Prospettive per lo sviluppo socio-economico dell'Uta-Gagauzia". Va menzionato inoltre che si è assistito a un allentamento delle sanzioni economiche da parte di Mosca nei confronti di personalità gagauze, quasi a sottolineare la benevolenza russa e la differenziazione dei trattamenti nei confronti del resto della Moldova. Approccio “conciliante” Va sottolineato comunque che, superato lo scotto iniziale, i vari oppositori paiono cogliere le parole dell'ex governatore Mihail Formuzal che ha invitato i candidati perdenti ad "avere l'intelligenza di accettare l'esito elettorale". A pochi giorni dalle elezioni, la stessa vincente Irina Vlah ha sorprendentemente mostrato un’apertura nei confronti del governo di Chisinau: non solo ha proposto un gruppo di lavoro congiunto tra il Parlamento della Repubblica Moldova e l'Adunata popolare di Gagauzia in grado d’armonizzare le normative dello statuto speciale dell'Uta con l'ordinamento nazionale nel rispetto dei principi costituzionali, ma ha pure espresso ad Adrian Candu (presidente del Parlamento moldavo) il desiderio che vengano effettuati corsi di lingua rumena finalizzati ad avvicinare i giovani gagauzi al dibattito politico nazionale e alla loro partecipazione attiva presso le istituzioni dello Stato. Non è da escludere che una mossa così saggia e conciliante, sommata alla netta vittoria al primo turno, possa fare da traino all'opposizione filo-russa alle elezioni amministrative locali del 14 giugno, in vista delle quali i leader filo-russi si stanno riorganizzando, preparando la rivincita sui partiti europeisti (reduci da una "vittoria mutilata" alle elezioni parlamentari del 30 novembre). In caso di successo delle opposizioni, il processo di europeizzazione in atto nella Repubblica Moldova (paese associato all'Ue) subirebbe un brusco rallentamento. Inopportune simmetrie L'appuntamento elettorale più importante del 2015 per la Moldova resta tuttavia quello delle elezioni del Soviet Supremo di Transnistria il 29 novembre (alle porte dell'inverno), in un contesto socio-economico desolante e in quadro etnico-demografico poco chiaro. Queste elezioni potrebbero influenzare il futuro della presidenza” Shevchuk, che già non gode più di un apprezzamento totale da parte del Cremlino, e porre in discussione i “principi costituzionali” del regime vigente. L'attuale presidente potrebbe faticare non poco per rimanere in carica fino alle elezioni presidenziali previste per il 2016. Inopportune forme di influenza attuate in modo simmetrico ed egualmente "soft" da parte non-russa (magari con denaro o patate) comporterebbe con ogni probabilità un pericoloso ed inutile collasso del sistema politico di Tiraspol che già è alle prese con insormontabili difficoltà di natura anche securitaria. Onde evitare una pericolosa instabilità della regione, già aggravata dagli accadimenti ucraini, la parola d'ordine del governo di Chisinau e dei partner europei dovrebbe essere "conciliazione" su ogni livello: locale, nazionale ed internazionale. Mirko Mussetti è un giovane analista di stampo neorealista. Aree di interesse primario: Est Europa ed Asia Centrale (@mirkomussetti). | ||||||||
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![]() L’effettiva portata dell’ondata euroscettica era già chiara dai risultati delle elezioni al Parlamento europeo, quando i partiti contrari o critici sul progetto di integrazione hanno raccolto 140 seggi su 751. Ma se nell’Assemblea di Strasburgo gli euroscettici hanno ancora un ruolo marginale, la loro ondata ha invece preso il sopravvento in Grecia, dove, il 25 gennaio, Syriza, il partito di sinistra radicale di Alexis Tsipras, ha vinto le elezioni con il 36,34% dei voti. Francia: Sarkozy torna e fa meglio della Le Pen In Francia, le elezioni amministrative del 22 e 29 marzo hanno vistol'Unione per un Movimento popolare (Ump), il partito di centro-destra guidato dall’ex presidente Nicolas Sarkozy, superare il Front National (Fn) anche grazie a un ulteriore spostamento ‘a destra’ del programma elettorale, in particolare su alcune questioni rilevanti come l’immigrazione. Malgrado i risultati incoraggianti ottenuti nel primo turno (25,19% dei voti), alla fine il Front National guidato da Marine le Pen non è stato in grado di conquistare la vittoria in nessun Dipartimento, ottenendo solo 62 consiglieri provinciali. Un numero certamente modesto, anche se rappresenta un risultato senza precedenti per il partito anti-immigrazione e anti-Unione. Il Fn consolida il proprio ruolo politico e rafforza la propria legittimità in vista delle elezioni regionali di fine anno e delle presidenziali 2017. Esce sconfitto il Partito socialista guidato dal presidente François Hollande, che mantiene la maggioranza solo nel sud-ovest del Paese. Spagna: i socialisti tengono, Podemos non sfonda Se la svolta elettorale a destra viene attribuita in Francia alla pesante crisi economica, analoga tendenza non si manifesta in Spagna. Le elezioni del Parlamento andaluso hanno visto la vittoria del Partito Socialista Spagnolo (Psoe), che guida la regione da 33 anni e dal 2012 gestisce un governo di coalizione. Diversamente dalla Francia, il partito di centro destra, Partido Popular (PP), che nel 2012 aveva ottenuto la maggioranza come singolo partito (40,6%), è uscito battuto, con soloil 26,7% dei voti. E anche in Andalusia la rivolta euroscettica non s’è materializzata. Nonostante in un sondaggio pubblicato il 9 marzo El Pais indicasse il partito euro critico Podemos come possibile vincitore, i 6,5 milioni di votanti della regione hanno deciso il contrario. Podemos ha comunque ottenuto il 15% dei voti (15 seggi) imponendosi come terza forza e innescando la fine del bipolarismo spagnolo. Così, se il risultato andaluso non sconvolge la scena politica nazionale, certamente provoca un duro scossone al sistema partitico tradizionale, in vista sia delle politiche di novembre che delle amministrative di maggio, quando si voterà in altre 13 comunità autonome. Europa: svanito il consenso generalizzato Se l’ondata euroscettica non s’è ancora abbattuta sui Parlamenti nazionali di Francia e Spagna (e forse non si abbatterà mai), non bisogna però sottovalutare i segnali di insofferenza da parte dei cittadini. I risultati elettorali francese e andaluso evidenziano una parziale perdita di consenso dei partiti tradizionali, legata soprattutto ad un diffuso malessere sociale, e la fine del consenso generalizzato verso il progetto d’integrazione europea. Certamente il superamento della crisi aumenterà il favore verso l’Ue. Ma, con una crescita del Pil pari a 0 nel 2013 e a 1,4 nel 2014, la recessione dell’eurozona non è di sicuro ancora un ricordo. In questo contesto, il sostegno ricevuto dai partiti euroscettici, seppur contenuto e spesso legato ad una logica populista, non deve essere sottovalutato. I risultati conseguiti non possono infatti essere liquidati come un mero flop, perché segnano comunque un rafforzamento istituzionale delle forze anti-europee nelle arene nazionali. Eleonora Poli è ricercatrice dello IAI. | ||||||||