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Metodo di Ricerca ed analisi adottato

Medoto di ricerca ed analisi adottato
Vds post in data 30 dicembre 2009 sul blog www.coltrinariatlanteamerica seguento il percorso:
Nota 1 - L'approccio concettuale alla ricerca. Il metodo adottato
Nota 2 - La parametrazione delle Capacità dello Stato
Nota 3 - Il Rapporto tra i fattori di squilibrio e le capacità delloStato
Nota 4 - Il Metodo di calcolo adottato

Per gli altri continenti si rifà riferimento al citato blog www.coltrinariatlanteamerica.blogspot.com per la spiegazione del metodo di ricerca.

domenica 18 giugno 2017

Prospettive di rilancio in Europa

Ue: proposte concrete per identità europea
Antonio Bultrini
06/06/2017
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L’auspicio generale è che l’elezione alla presidenza francese di Emmanuel Macron e l’esito delle elezioni tedesche in settembre permettano di rilanciare il processo di integrazione europea.

Il dibattito oscilla essenzialmente tra due orientamenti: da un lato l’idea di un nucleo di Stati membri dell’Unione europea che darebbe il via a un’integrazione stretta o proto-federale, anche in termini di maggiore democraticità della struttura istituzionale (l’Europa a più velocità o a cerchi concentrici); dall’altro un approccio minimalista, fondato sull’Europa dei piccoli passi dedicata alla risoluzione di problemi concreti.

La questione dell’identità europea è comunque ineludibile: il rafforzamento del sentimento di appartenenza a una comunità sovranazionale e di adesione al suo progetto resta cruciale e non può essere ottenuto con le sole riforme istituzionali. Del resto, la Storia ha mostrato in più casi (compreso quello italiano) che si tratta di questioni distinte: dopo che il processo di unificazione dell’Italia fu completato, occorse - per richiamare la nota affermazione di d’Azeglio - “fare gli italiani”, sfida non meno impegnativa.

Fornire la base di sostegno popolare
Le riforme e l’opera pedagogica sulla concreta utilità dell’Europa sono indispensabili ma poggiano sulla sabbia, poiché siamo alle prese con una profonda disaffezione nei confronti sia dell’idea di integrazione che delle istituzioni che la incarnano, aggravata dai dissensi tra i Paesi membri.

Vari fattori vi hanno contribuito (la lunga crisi economica, ma non solo). In ogni caso, le spinte anti-europee sono probabilmente facilitate da una debolezza di fondo, ovvero il fatto che non si è ancora formata un’autentica identità comune. E a sessant’anni di distanza dall’adozione dei Trattati di Roma è giocoforza constatare che, per quanto siano state e restino importantissime, né le riforme istituzionali, né la progressiva armonizzazione giuridica, né l’integrazione economico-finanziaria sono state di per sé in grado di forgiarla.

Peraltro, un serio processo di costruzione dell’identità europea è indispensabile anche per fornire la base di sostegno popolare senza la quale le pur imprescindibili riforme istituzionali non avrebbero successo nel lungo termine (o forse non sarebbero neppure possibili).

In effetti, gli europei che conoscono l’Europa e che si sentono “a casa” anche fuori dal loro Paese rappresentano tuttora una minoranza, per quanto certamente più consistente rispetto al passato. L’attaccamento della maggior parte degli europei va ancora soprattutto alle patrie nazionali.

La diversità come elemento identitario
Naturalmente non c’è nulla di più difficile che cercare di favorire la nascita di un’identità collettiva. Inoltre, un tentativo del genere deve tener conto delle caratteristiche specifiche del contesto cui si riferisce e non può seguire criteri univoci.

Nel caso europeo, in particolare, non si può mettere in discussione una caratteristica fondamentale, essa stessa forte elemento identitario, ovvero la diversità. Due vie percorse in passato sono quindi parimenti inadeguate: un’identità astratta, imposta dall’alto o costruita a tavolino, o peggio il tentativo di imporre l’egemonia di un particolare modello nazionale (e per carità di patria - europea - tralascio i vari possibili esempi).

Attualmente il tentativo di promuovere un’identità europea assomiglia molto alla prima via (si pensi ad esempio al generico richiamo alle “comuni radici culturali”), pur senza il carattere dell’imposizione. Occorre dunque individuare delle modalità capaci di coinvolgere le platee nazionali e di innescare autentici sentimenti di comunanza.

Tre proposte concrete
Provo a formulare tre proposte concrete (lasciando volutamente da parte la questione della lingua):

1) Com’è noto, la festa dell’Europa si celebra il 9 maggio, data che ricorda la Dichiarazione Schuman. Questa, così com’è, finisce con l’essere una delle tante ricorrenze secondarie sul calendario. Il 9 maggio può anche restare la festa dell’Europa, ma, primo e come minimo, deve diventare un giorno festivo; secondo, la ricorrenza può anche ispirarsi simbolicamente alla Dichiarazione Schuman, ma dovrebbe essere finalizzata soprattutto a promuovere una memoria collettiva imperniata su quei periodi storici cruciali che - nel bene e nel male - hanno forgiato la moderna coscienza europea, la quale contraddistingue (e identifica nel mondo) l’Europa e la sua visione.
Fra questi, l’illuminismo e i diritti umani, le rivoluzioni liberali, l’abolizione della schiavitù, la nascita dell’ambientalismo e ovviamente le due guerre mondiali e la loro catarsi, ovvero la pace. Si tratta di passaggi storici capaci di “parlare” a tutti gli europei: così all’illuminismo contribuirono filosofi di lingua francese ma anche Beccaria; a difesa degli ideali progressisti di metà ottocento migliaia di volontari europei andarono a battersi in Paesi diversi dal loro; alla nascita dell’ambientalismo contribuirono in modo significativo gli scandinavi ma anche il tedesco von Humboldt, che ne fu l’antesignano, oltreché grande umanista (durissimo contro la schiavitù e il razzismo).

2) Un altro ingrediente fondamentale è la conoscenza reciproca. Naturalmente i giovani sono il primo obiettivo, ma l’Erasmus ne coinvolge tuttora solo una porzione ridotta. Un Erasmus per le scuole (proposto da Macron) sarebbe una buona idea, ma avrebbe comunque una portata limitata. In realtà, sarebbe particolarmente utile se gli europei condividessero esperienze significative non solo sul piano personale. In passato alcuni Paesi avevano utilizzato la leva obbligatoria proprio a questo scopo. Per l’Europa di oggi questa via non è ovviamente percorribile. Resta dunque la possibilità di un servizio civile europeo, adeguatamente incentivato.

3) Gli stereotipi negativi, di cui si nutrono i discorsi di superiorità e di dileggio nei confronti di altre nazionalità europee, nuocciono considerevolmente allo sviluppo di sentimenti di comunanza. Conoscersi e condividere esperienze significative aiuterebbe naturalmente a superarli. Essi, tuttavia, non nascono solo dall’ignoranza, emergono anche nel linguaggio pubblico e dei media e vanno comunque contrastati.

È sorprendente che nei trattati non sia ancora inscritto un principio di rispetto per tutte le nazionalità che compongono il mosaico dell’Unione europea (principio di rispetto che figura invece - due volte - nella Costituzione svizzera). Questa lacuna potrebbe essere facilmente colmata. Inoltre sin da ora potrebbero essere avviati programmi specificamente dedicati alla lotta contro gli stereotipi negativi generalizzanti ai danni delle nazionalità europee, analogamente a quanto si fa già con riferimento al discorso d’odio e al razzismo in generale o ancora al linguaggio sessista.

Un’avanguardia unita da una Festa comune
Forse l’avanguardia di Paesi membri di cui tanto si parla potrebbe formarsi, indipendentemente dal cantiere istituzionale, proprio intorno a queste misure, a cominciare specialmente dalla prima.

Per tale “plotone di testa” il 9 maggio diventerebbe festivo e potrebbe peraltro assorbire, là dove esistono, le feste nazionali che attualmente celebrano la fine della prima o della seconda guerra mondiale (il 25 aprile in Italia, l’8 maggio in Francia e così via): questo non solo per evitare ricadute negative in termini di produttività, ma anche per cominciare a ricordare insieme (anziché separatamente) che la costruzione europea e i valori fondamentali che ne sono il collante sono il frutto, pagato a carissimo prezzo, dell’immane tragedia di due guerre che furono mondiali ma innanzitutto europee e fratricide. Senza quel patrimonio di memoria e di valori gli europei, semplicemente, non sarebbero quello che sono oggi.

Antonio Bultrini è professore di Diritto Internazionale e Diritti Umani, Università di Firenze.

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