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Metodo di Ricerca ed analisi adottato

Medoto di ricerca ed analisi adottato
Vds post in data 30 dicembre 2009 sul blog www.coltrinariatlanteamerica seguento il percorso:
Nota 1 - L'approccio concettuale alla ricerca. Il metodo adottato
Nota 2 - La parametrazione delle Capacità dello Stato
Nota 3 - Il Rapporto tra i fattori di squilibrio e le capacità delloStato
Nota 4 - Il Metodo di calcolo adottato

Per gli altri continenti si rifà riferimento al citato blog www.coltrinariatlanteamerica.blogspot.com per la spiegazione del metodo di ricerca.

domenica 18 giugno 2017

Dalla padella alla brace

Elezioni politiche
GB: la hybris della May, l’avanzata di Corbyn
Lorenzo Colantoni
09/06/2017
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Jeremy Corbyn ha quasi fatto un miracolo; il leader del partito laburista britannico è riuscito a cambiare il risultato di un’elezione anticipata indetta a sorpresa dal primo ministro conservatore Theresa May lo scorso 18 aprile.

Nei primi sondaggi, c’era un distacco di oltre venti punti tra il suo partito e quello conservatore. I risultati finali, danno ai laburisti solo una cinquantina di seggi in meno rispetto ai tories e i numeri per potere fare addirittura un governo con l’eventuale supporto del partito nazionale scozzese, l’Snp, in netto calo, e dei liberal-democratici. La May sperava di riuscire quasi a spazzare via i laburisti da Westminster e, invece, Corbyn e i suoi ne escono rafforzati.

Se il quadro è positivo per Corbyn, la situazione rimane complessa per il Regno Unito in generale. Il risultato che emerge è un hung parliament, cioè una composizione del Parlamento in cui nessun partito ha la maggioranza e bisogna quindi ricorrere ad una coalizione di governo, oppure ad alleanze ad hoc su questioni centrali come il budget. E sussiste la possibilità di ulteriori elezioni, nel caso in cui né la May né Corbyn fossero in grado di formare un governo con la fiducia dalla Camera dei Comuni.

L’incertezza più grande riguarda i negoziati per la Brexit, che dovrebbero iniziare il 19 giugno. Il risultato paradossale di queste elezioni è così quello di lasciare il Regno Unito senza una chiara guida nelle trattative per l’uscita dall’Unione, nonostante il voto fosse stato indetto alla ricerca appunto d’una strong and stable leadership perché la May voleva avere una mano forte nella Brexit.

I risultati sorprendenti
Per una volta, il risultato finale ha rispettato gli exit poll, con i conservatori in maggioranza, ma in calo rispetto ai risultati delle elezioni nel 2015. Il partito di Corbyn ha guadagnato una trentina di seggi, i tories ne hanno persi una dozzina. Un risultato che conferma anche l’andamento dei sondaggi nei giorni immediatamente precedenti il voto.

L’arretramento dei conservatori era iniziato a metà maggio, quando i laburisti avevano iniziato a eroderne il vantaggio di oltre venti punti; guadagnando posizioni anche in Scozia sull’Snp, i laburisti erano riusciti ad arrivare a un distacco del 5/7%: a conti fatti, è stato appena del 2%.

I sondaggi sono stati confermati anche dagli altri partiti; l’Snp perde un numero abbastanza significativo di seggi (18, arrivando a 34), i liberal-democratici ne guadagnano invece una manciata, per a 12. Il primo, quindi, non replica il successo del 2015, ottenuto sull’onda del referendum per l’indipendenza, mentre i secondi non riescono a fare risorgere il partito, come sperato da molti (Economist incluso).

Interessante è vedere la mappa del voto, che da un lato ricalca quella della Brexit, dall’altra presenta alcune novità. Se infatti la campagna per una hard Brexit conferma le riserve delle grandi città britanniche, Londra principalmente, rispetto alla linea dei conservatori (sono le aree urbane che avevano largamente votato per il Remain), alcune zone dove Leave aveva ottenuto un netto favore tornano, invece, sotto il controllo dei laburisti: tra queste, il Galles, il Nord Inghilterra e le ex aree industriali intorno a Liverpool e Leeds.

L’elezione, infine, lascia alcuni caduti sul campo; perdono infatti il proprio seggio personaggi storici della politica britannica come Nick Clegg, l’ex leader dei liberal-democratici, Angus Robertson, una delle figure più rilevanti dell’Snp a Westminster, e Alex Salmond, l’ex primo ministro scozzese, che aveva guidato il partito nel referendum per l’indipendenza del 2014.

La campagna elettorale
Difficile dire quali siano stati gli elementi decisivi per giungere a questo risultato perché i fattori in campo sono molteplici. C’è stata però una grande evoluzione dei discorsi elettorali nel corso delle ultime settimane, e non solo sul tema della sicurezza.

Al momento della decisione della May di tenere le elezioni anticipate, il tema centrale era infatti la Brexit: questo era il campo di battaglia scelto del primo ministro, che contava di riuscire ad ottenere una forte leadership politica anche sul fronte interno, proponendosi come il leader adeguato a condurre il Paese nel processo di uscita dall’Ue.

L’idea era quella di portare ai Tories i voti del Leave del referendum del giugno 2016, e in generale quei quattro milioni di voti dati allo Ukip nelle elezioni del 2015 che, con l’uscita di scena del leader Nigel Farage, erano disponibili - infatti, lo Ukip è praticamente sparito.

Nel corso delle settimane, però, il tema dell’Ue si è fatto man mano da parte, per lasciare posto ad un discorso più ampio su argomenti chiave come tassazione, sistema sanitario nazionale, sicurezza. Non a caso, lo slogan strong and stable usato dai conservatori all’inizio della campagna è scomparso nelle ultime battute e non è mai stato usato durante il dibattito televisivo tra la May e Corbyn del 29 maggio.

Corbyn è così riuscito a capitalizzare voti su una maggiore solidità nelle argomentazioni e su una debolezza sui temi chiave da parte della May: sono costati cari alla May, che proponeva una stretta contro il terrorismo, i tagli alle forze di polizia di cui lei è stata responsabile da ministro dell’Interno.

Un fragile futuro
Le opzioni per il Regno Unito sono diverse, quelle funzionali sono poche. Il primo ministro britannico potrebbe rassegnare le dimissioni: convocare queste elezioni è stato un azzardo che molti non hanno gradito, anche all’interno dei Tories, soprattutto per la ricerca di legittimazione politica personale che molti hanno percepito come una delle ragioni chiave (considerando che i conservatori avevano già una maggioranza netta in Parlamento).

La corsa al nuovo leader del partito sarebbe aperta, con il ministro degli Esteri e noto Brexiter Boris Johnson in cima alla lista, insieme all’Home Secretary Amber Rudd e al ministro per la Brexit David Davis.

Chiunque sia il leader conservatore, il futuro del Regno Unito è probabilmente quello di un governo di coalizione, in cui iTories non avranno vita facile: i Liberal-democratici hanno già escluso una collaborazione con i conservatori, impossibile anche quella con altri partiti, l’Snp in primis.

È quindi da ipotizzare una difficile coabitazione con i laburisti. Esiste però la possibilità che venga presentato un governo di coalizione di minoranza proprio da Corbyn, visto che i numeri lo consentono e considerando il supporto che ha già ricevuto da Snp e Lib-dem. Quella che la May ha chiamato la “Coalition of Chaos” diventerebbe così realtà.

Esiste infine la possibilità di nuove elezioni, nel caso in cui non si riesca a formare un governo; un’opzione forse interessante nell’ottica di avere un governo stabile per affrontare i negoziati sulla Brexit (quello che cercava la May e che queste elezioni invece le hanno negato), ma che ridurrebbe ulteriormente il già poco tempo a disposizione (ormai meno di due anni) per concordare l’uscita con l’Ue.

Lorenzo Colantoni è Junior Fellow presso lo IAI (Twitter@colanlo).

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