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La sconfitta politica del premier britannico Theresa May che aveva puntato su una "hard Brexit" cambia il contesto dei negoziati sull'uscita della Gran Bretagna dall'Ue. Londra è infatti ora più debole nella trattativa con Bruxelles; e potrebbe riaffacciarsi l’opzione di una “soft Brexit”.
La May rimane capo del governo, così come sono confermati alcuni dei principali ministri del suo precedente esecutivo: Philip Hammond al tesoro, Boris Johnson agli esteri, Michael Fallon alla difesa, David Davis al ministero dedicato proprio alla Brexit. Se il nuovo governo conservatore è un segno di continuità, non lo è la sua maggioranza parlamentare. Infatti, la netta perdita di seggi da parte dei Tory fa sì che non abbiano più i 326 deputati necessari a controllare la Camera dei comuni, e debbano quindi formare un governo con l’appoggio del Democratic Unionist Party - il partito nord irlandese fedele alla corona britannica a favorevole alla Brexit. Così, l’esecutivo conterà su un’esile maggioranza di due soli seggi. Se la Brexit diventa soft La nuova situazione politica oltre Manica ha un impatto sui negoziati per la Brexit, anche se è difficile capirne l’entità. Di certo, il mandato elettorale chiesto dalla May per un braccio di ferro volto alla “hard Brexit” non è arrivato. Anzi, partiti che al referendum del 2016 si erano schierati per rimanere nell’Unione, quali i Liberal-Democratici ei Laburisti, hanno aumentato voti e seggi. Ciò rimette in discussione lo scenario di una “hard Brexit” e allontanal’ipotesi di un’uscita di Londra dall’Unione anche senza un accordo tra le parti, che la May esplicitamente contemplava quando in campagna elettorale affermava “no deal is better than a bad deal”. Sarebbe però sbagliato pensare che il risultato del referendum del giugno 2016 sia stato rimesso in discussione dal voto politico. I conservatori restano fermamente schierati per la Brexit, pur con diverse visioni su quanto essa debba essere “hard”. Una parte significativa dei deputati laburisti ha vinto in collegi che vedono una maggioranza di elettori a favore dell’uscita dall’Ue e il loro leader Jeremy Corbyn si era comunque impegnato a rispettare l’esito del referendum ed a raggiungere un accordo con l’Unione per una “soft Brexit”. Proprio la “soft Brexit” è una opzione resa possibile dall’attuale quadro politico britannico, ma non è detto che May la porterà al tavolo negoziale con Bruxelles. La premier potrebbe infatti insistere su una "hard Brexit", riguardo in primo luogo alla giurisdizione del diritto comunitario e alla libera circolazione delle persone, accompagnata però da un favorevole accordo di libero scambio con l'Ue. Bruxelles (con Berlino) ha già fatto capire che non si può avere la botte piena e la moglie ubriaca, ossia prendere solo gli elementi convenienti per Londra del mercato unico e lasciare gli altri; e sembra pronta a tenere il punto nei prossimi negoziati. In un braccio di ferro del genere, la Gran Bretagna si trova indebolita a causa della fragilità politica e parlamentare del suo governo. L’Unione invece nel frattempo si è rafforzata con la vittoria di Emmanuel Macron alle presidenziali francesi e si rafforzerà ulteriormente nel caso, probabile, di una vittoria del partito del presidente alle prossime elezioni parlamentari d’oltralpe. Brexit e cooperazione europea nella difesa Nel quadro generale della Brexit, il settore della difesa è tra i meno controversi, ma non per questo tra i meno importanti e complessi. Infatti, in meno di due anni si dovrà giungere a definire i futuri rapporti con l’Ue ed in particolare con l’Agenzia europea di Difesa (European Defence Agency - Eda), le modalità per un eventuale contributo di Londra alle missioni nell’ambito della Politica di Sicurezza e di Difesa comune (Psdc) e soprattutto l’accesso britannico al mercato europeo della difesa. Nel caso dell’Eda, una volta fuori dall’Ue, per Londra esistono potenzialmente due strade per cooperare oltre Manica. Una è la sottoscrizione di accordi simili a quelli in essere tra Eda eNorvegia, Serbia, Svizzera e Ucraina. L’altra, considerando la grande importanza militare e industriale di Londra, è la definizione di un accordo ad hoc, che però potrebbe richiedere tempi maggiormente dilatati. Per quanto riguarda la partecipazioni alle missioni Psdc, uno studio della Camera dei Lord faceva riferimento alla possibilità per Londra di avere un seggio formale nel Comitato Politico e di Sicurezza dell’Ue - ipotesi discussa anche in altre capitali europee. In tal modo la Gran Bretagna potrebbe partecipare alla definizione e pianificazione delle missioni cui partecipa, mantenendo pertanto un ruolo attivo a livello sia politico che militare. Visto però l’indebolimento del governo May, non è certo che Londra avrà la forza necessaria per giungere ad un accordo di questo tipo. Piuttosto, l’Ue potrebbe insistere per utilizzare l’esistente quadro normativo europeo, che prevede la possibilità per Stati terzi di partecipare militarmente alle missioni europee senza essere parte del processo politico che decide e pianifica l’intervento. Ciò che è certo al momento è che il Regno Unito, quale membro dell’Alleanza Atlantica, continuerà a partecipare alle operazioni e attività della Nato. Pertanto, anche nel caso del mancato raggiungimento di un accordo tra Londra e Bruxelles sulle missioni Psdc, la cooperazione militare tra Regno Unito e stati Ue membri Nato continuerà nel quadro transatlantico. In materia di industria e mercato della difesa, la situazione è estremamente complessa perché dipendente dai termini dell’accesso britannico al mercato Ue, ovvero il principale nodo dei negoziati tra Londra e Bruxelles. Qui si ritorna alla scelta, da parte di un indebolito governo May, di insistere o meno su una “hard Brexit” scelta come bandiera dopo nove mesi di incertezza - tanti ce ne sono voluti tra il referendum e l’attivazione dell’articolo 50 da parte di Londra - e in un certo senso sconfessata dalle ultime elezioni. A urne chiuse, la nebbia non si dirada sulla Manica. Alessandro Marrone, Responsabile di RicercaProgrammaSicurezza e Difesa (Twitter @Alessandro__Ma) Ester Sabatino, Junior Fellow ProgrammaSicurezza e Difesa (Twitter @Ester_Sab1). | ||||||||
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