La recente decisione della Commissione europea di condannare Apple alla restituzione di 13 miliardi di euro all'Irlanda, per violazione delle norme Ue sulla concorrenza, è stata in gran parte descritta come una scelta coraggiosa della commissaria Margrethe Vestager.
Tanta attenzione si è concentrata sulla sua personalità: figlia di pastori luterani, politica di lungo corso nella sua Danimarca e capace di unire gentilezza a decisione, ha offerto molto ai commenti più "psicologici" sulla scelta.
Ma se lo scalpore è comprensibile, così come la ricerca di una chiave di lettura nella personalità della commissaria, il quadro post-Brexit offre ben altre possibilità di analisi. Il fatto stesso che la Commissione abbia potuto emettere una decisione del genere, è infatti eloquente sul progresso e i limiti dell'integrazione europea, sulla strada fatta finora e su dove si può arrivare.
La base giuridica della decisione Intanto, in cosa consiste la decisione? Nella sanzione di una violazione delle norme europee in materia di aiuti di stato. L'Irlanda avrebbe distorto la concorrenza concedendo ad Apple vantaggi esclusivi in termini di tassazione, volti sia a diminuire il pagamento delle tasse verso il fisco irlandese, sia a sottrarre artificiosamente i ricavi delle operazioni europee dalla tassazione di altri Stati Membri.
Infatti con questo schema, in vigore fino al 2014, gran parte dei profitti generati in Europa sono stati assegnati ad un "ufficio centrale", non tassato in nessuno Stato (nemmeno negli Usa), evadendo 13,5 miliardi di euro.
Il principio sottostante è che gli Stati Membri non possono farsi concorrenza sleale tra di loro favorendo determinate imprese in modo selettivo. La Commissione, in base ai poteri esclusivi conferiti già dal Trattato sulla Comunità economica europea (Cee), è tenuta ad intervenire in caso di contravvenzione. Nello specifico l'Irlanda, negoziando un accordo fiscale bilaterale che ha favorito solo Apple, avrebbe creato un'alterazione artificiale del mercato unico europeo, distorcendone il carattere unitario.
Il potere di controllare e decidere contro aiuti di Stato illegali è stato dato alla Commissione, in via esclusiva, fin dall'inizio della Comunità Economica europea, nel 1957. Il Trattato attuale non ha cambiato la lettera degli articoli (gli attuali 107-109), ma la normativa collegata è diventata un corpus molto avanzato che copre praticamente ogni attività economica: dall'aviazione all'energia, dall'acciao alle banche, dallo sport al turismo.
Le aree d'intervento si allargano di continuo seguendo le novità dei mercati e spesso anche a causa di pronunce della Corte di giustizia europea, che hanno fatto balzare in avanti il concetto di aiuti di Stato, inglobando fattispecie escluse fino a pochi anni fa.
Tutto ciò ha creato anche dubbi e problemi, ma nel complesso dimostra che l'integrazione europea ha funzionato: infatti la competenza esclusiva conferita alla Commissione e alle Corti europee ha creato un sistema giuridico-amministrativo di cui gli Stati Membri, le imprese e anche gli attori internazionali devono assolutamente tenere conto per prevenire e, in caso, tentare di ribaltare le decisioni della Commissione.
Lo stesso ricorso dell'Irlanda contro la decisione sarà giudicato dalla Corte di Giustizia Ue: la preminenza del diritto e delle corti europee su quelle nazionali è quindi evidente.
Essendo un settore dove la Commissione decide in autonomia, è anche un esempio significativo di cosa può diventare l'Unione europea quando alla Commissione viene assegnata competenza esclusiva su una materia. Naturale quindi che gli sviluppi siano seguiti dall'esterno con grande attenzione e in particolare dagli Usa, interessati soprattutto alla politica commerciale e all'impatto sugli investimenti.
Concorrenza tra imprese e concorrenza tra Stati: le due idee al di qua e al di là dell'Atlantico Peraltro è interessante che proprio negli Usa, cugini e modello dell'idea stessa di "Stati Uniti d'Europa", non esista una normativa sugli aiuti di Stato. Se l'Iowa fa concorrenza al Connecticut, negli Usa non è un problema. Ma questo è il risultato delle premesse della Federazione Usa di conciliare fin dall'inizio interessi statali e unitari, limitando il controllo di concorrenza alle attività delle imprese e non agli Stati.
Una scelta simile in Europa, con i precedenti delle rispettive storie nazionali, avrebbe invece compromesso dall'inizio il faticoso processo di realizzazione del mercato unico. La Commissione, pertanto, oltre a controllare la concorrenza tra le imprese, controlla anche quella tra gli Stati Membri, vietando aiuti illegali.
L'altro paradosso è che la legislazione europea si è ispirata a modo suo alla tradizione britannica di forte attenzione alla concorrenza, che ha fatto scuola in tutta Europa a prescindere dallo (o forse anche grazie allo) euroscetticismo inglese. Malgrado la Brexit, pertanto, la legislazione Ue del settore conserva un certo ascendente inglese, oltre che un debito alla scuola del liberalismo austriaco.
Ma l'aspetto decisivo è che, trattando di concorrenza tra Stati Membri, il controllo della Commissione tocca per definizione i settori dove gli Stati continuano a seguire regole diverse in assenza di norme comuni, come sulla fiscalità. In questi casi le indagini e condanne della Commissione diventano un pungolo per l'attività legislativa, indicando la strada per lo sviluppo del mercato unico.
Di fatto sinora gli Stati Membri hanno scoraggiato nuove norme su settori ancora non armonizzati, come il fisco, ma decisioni come quella su Apple finiscono per stabilire lo stesso dei paletti agli Stati Membri. Ad un certo punto si dovrà trovare un nuovo punto di equilibrio interno.
Lo stesso vale sul lato esterno: più si andrà avanti con l'evoluzione delle norme Ue sulla concorrenza, più servirà un equilibrio con le esigenze del commercio e relazioni esterne. Anzi, proprio il caso Apple dimostra la necessità di un accordo sul commercio transatlantico col Ttip: altrimenti, in mancanza di un quadro complessivo, i conflitti rischieranno di crescere invece di diminuire.
"L'automatismo evolutivo" della normativa sugli aiuti di Stato La normativa su concorrenza e aiuti di Stato, in definitiva, contiene una sorta di "automatismo evolutivo" nel cuore del mercato unico e probabilmente porterà a nuovi "casi Apple" nel prossimo futuro. È anche un settore che mostra gli effetti di una centralizzazione sulla Commissione del potere di decisione su questioni comuni. È un sistema che richiede pesi e contrappesi e l'adozione di regole e prassi auspicabilmente trasparenti, condivise in tutti gli Stati Membri. Può essere razionalizzato, ma sembra l'unica strada per avere un'Unione veramente forte.
Nicola Minasi, Diplomatico, Coordinatore per le Infrazioni e gli Aiuti di Stato presso la Rappresentanza Permanente d'Italia presso l'Ue a Bruxelles. Le opinioni sono espresse a titolo personale.
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