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“Prima i nostri”: questo lo slogan del referendum tanto chiacchierato in Italia, promosso nella Repubblica Cantone Ticino dall’Unione democratica di centro, Udc, partito maggioritario nella Confederazione e sostenuto dalla Lega dei Ticinesi.
Vittoria del fronte anti-frontalieri Il referendum - in realtà solo uno dei tanti al voto il 25 settembre - è passato con il 58% dei voti su meno del 50% dell’elettorato. La punta di diamante del “si” si è registrato a Lugano con oltre il 60%. La vittoria del fronte anti-frontalieri, come sbrigativamente viene definito dagli organi di stampa, è stata netta, ma meno squillante di quanto si attendessero i promotori. Nel 2014, all’ormai famoso referendum confederale sul no all’immigrazione di massa, il Ticino votò a favore del quesito con una maggioranza ben più vasta e determinò l’esito su scala nazionale. Il voto di domenica fa segnare un regresso nella preferenza verso l’indigeno, o meglio il residente. Probabilmente, i tormentati seguiti del voto del 2014 hanno influenzato le scelte degli elettori. Un ruolo è stato giocato dal Consiglio di Stato, l’organo di governo del Cantone, che con un controprogetto ha cercato di edulcorare gli aspetti più contundenti del progetto Udc. La mossa ha introdotto un punto di discussione sulle conseguenze che il voto ticinese avrebbe prodotto nei confronti del governo confederale e dell’Unione europea, Ue. La rotta di collisione con Berna, e di conseguenza con Bruxelles, è tale da portare alcuni a commentare che il voto del 25 settembre è destinato a restare lettera morta. Altri, paradossalmente, invitano l’Udc al passo successivo: promuovere una consultazione popolare sull’uscita della Svizzera dal sistema delle regole europee. Il delicato percorso diplomatico tra Berna e Bruxelles Il voto ticinese alimenta la discussione già delicata fra la Confederazione e la Commissione europea per sciogliere il nodo dell’emendamento costituzionale del 2014 quando il popolo svizzero si espresse a favore dell’imposizione di un limite all’immigrazione. Entro l’anno Berna è chiamata ad adottare la legislazione interna di applicazione dellamodifica costituzionale e auspica di decidere d’intesa con Bruxelles in modo da rispettare sia il mandato popolare (limitare l’afflusso degli stranieri) e sia gli accordi bilaterali con l’Ue (il rispetto delle quattro libertà fra cui la circolazione delle persone). La trattativa s’inserisce nel filone arroventato di Brexit. I dubbi europei sono seri. Qualsiasi apertura sul caso svizzero costituisce precedente rispetto al caso britannico? Contemplare “regimi speciali” in materia di libera circolazione incoraggia altri Stati membri a richieste riconvenzionali? Insomma, chi tocca i fili delle libertà rischia grosso: come nei pali dell’alta tensione. Bellinzona, tappa che acquista peso Londra si arricchisce ora della tappa a Bellinzona, la capitale del Cantone. Bellinzona si sente periferica rispetto alla politica confederale, che è decisa in quella parte del paese che i ticinesi chiamano comunemente “al di là delle Alpi”. Potrà spendere il voto referendario come ulteriore avvertimento circa la particolare condizione del Ticino. Poco conta che il tasso di disoccupazione nel Cantone è allineato al resto del Paese: attorno al 3%. Importa che i lavoratori frontalieri, in massima parte provenienti dalla Lombardia, sono disposti ad accettare retribuzioni inferiori alla media perché guadagnano in Svizzera e spendono in Italia, dove il costo della vita è decisamente più basso. Una sorta di dumping salariale: ben accetto agli imprenditori locali che ingaggiano lavoratori qualificati a costi abbordabili, ma tale da scoraggiare i residenti dal presentarsi al mercato del lavoro. La questione riguarda anche i posti nel terziario. Lo stato del settore finanziario deve aver pesato sul voto di Lugano. Secondo l’Agenzia delle Entrate, a novembre 2015, laVoluntary disclosure procedure (Vdp) regolarizzò attività per circa 60 miliardi di euro con un introito per l’erario di circa 4 miliardi. Le attività riguardarono in prevalenza la Svizzera con 41,5 miliardi: il 69,6% del totale. I rapporti fra i nostri Paesi sono assai articolati. Il voto di settembre, ad onta del risultato che denoterebbe una presa di distanza, aiuta a chiarire il quadro. Cosimo Risi è docente di Relazioni internazionali | ||||||||
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