Ucraina Kiev cancella il suo lato sovietico Cono Giardullo 31/05/2016 |
È trascorso un anno dalla promulgazione dei quattro provvedimenti legislativi, cosiddetto “pacchetto decomunistizzazione”, che mirano a smantellare l’eredità comunista in Ucraina. Il governo ucraino sembra non piegarsi dinanzi alle critiche della comunità internazionale e della società civile, ma anzi continua imperterrito nel suo programma di annichilimento della tradizione sovietica nel paese.
Le leggi hanno ricevuto un’accoglienza variegata. Infatti, la legge “Sullo statuto legale e il rispetto alla memoria dei combattenti per l’indipendenza dell’Ucraina nel XX secolo” e quella “Sulla perpetuazione della vittoria sul nazismo nella Seconda guerra mondiale del 1939-1945” mirano tutto sommato a chiarire alcune differenze interpretative riguardo a eventi storici che l’Ucraina indipendente necessariamente possiede rispetto alla vecchia Repubblica socialista sovietica ucraina (Rssu).
Si riconosce, ad esempio, il il diritto delle fazioni indipendentiste a vedersi riconosciuto il ruolo svolto durante la Seconda guerra mondiale a favore dell’indipedenza di Kiev. Il problema, semmai, è che si fanno salvi alcuni movimenti di liberazione come l’Organizzazione dei nazionalisti ucraini (Orhanizatsiia Ukrains'kykh Natsionalistiv, OUN) e l’Esercito ribelle ucraino (Ukrains'ka Povstans'ka Armiia, UPA), criminalizzando ogni critica nei loro confronti, quando insigni storici li accusano di episodi di pulizia etnica nei confronti dei civili polacchi.
Il Partito comunista al bando
In dicembre, la Corte Amministrativa distrettuale di Kiev ha deciso di metter al bando il Partito comunista d’Ucraina (Комуністична партія Україниè, Pcu), alleato del vecchio partito delle Regioni dell’ex presidente Viktor Ianukovich, per non conformità alla legge “Della condanna dei regimi comunista e nazionalsocialista (nazista) e proibizione della propaganda dei loro simboli”. La decisione è poi divenuta definitiva in gennaio quando anche la Corte Suprema amministrativa si è espressa in tal senso.
Numerose sono state le critiche della comunità internazionale. Amnesty International attraverso il suo direttore per l’Europa, John Dalhuisen, ha affermato come tale decisione fosse un tradimento dei valori perseguiti nelle proteste dell’EuroMaidan: la promozione della libertà di espressione, senza il timore che, esercitandola, si finisca vittime di persecuzioni.
A seguito della domanda di chiarimenti della parlamentare europea Ines Cristina Zuber (Gue/Ngl), Federica Mogherini, in qualità di vicepresidente della Commissione europea, ha risposto lo scorso marzo, sottolineando come l’Ue abbia più volte ricordato nel suo dialogo politico con Kiev che le garanzie dei diritti fondamentali dovrebbero aver la priorità sulle considerazioni di opportunità politica, e come l’Ue ammetterebbe la messa al bando di un partito politico solo dinanzi “all’incitamento o all’uso stesso della violenza come mezzo politico”, seguendo le linee guida della Commissione di Venezia.
L’ultima speranza, secondo i rappresentanti delle più influenti Ong ucraine, risiede nel giudizio della Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo, a cui il partito comunista si è appellato. Tale decisione, però, potrebbe richiedere mesi, se non anni.
Da Dnipropetrovsk a Dnipro
Ma la stessa legge, criticata sia dalla rappresentante Osce per la libertà dei media Dunja Mijatovic, sia dalla Commissione di Venezia e dall’Odihr nella loro opinione congiunta, ha anche imposto di ribattezzare tutti i luoghi geografici il cui nome sia legato alla storia del comunismo. Lo scorso febbraio, il Parlamento ucraino (Rada) ha approvato la modifica di 175 nomi di città, paesi e province, mentre l’Istituto nazionale della memoria storica si è incaricato di fornire una lista di denominazioni raccomandate. Il processo è tutt’ora in corso, infatti a inizio maggio sono stati ridenominate altre 37 città e paesi, comprese alcune località non attualmente controllate dal governo ucraino nel Donbass e in Crimea.
Gli ultimi calcoli offrono un totale di gran lunga superiore alle 300 entità amministrative che hanno modificato la propria denominazione, un anno dopo la promulgazione delle leggi di decomunistizzazione. Tra tutte spicca la terza città del paese, Dnipropetrovsk, che traeva il suo nome dal leader bolscevico Grigory Petrovskiy, a capo della Rssu negli anni ’20 e ’30 dello scorso secolo, e che il 19 maggio è stata ufficialmente rinominata Dnipro (il fiume che la attraversa) da una solida maggioranza di deputati della Rada.
Gli archivi Kgb presto online
Infine, la legge “Sull’accesso agli archivi delle agenzie repressive del regime totalitario comunista del 1917-1991” ha sancito l’apertura degli archivi relativi ai crimini e alle violazioni dei diritti umani commessi durante l’epoca sovietica. In queste settimane si sta ultimando il trasferimento degli ultimi documenti dai Servizi segreti e dai ministero dell’Interno e della Difesa all’Istituto nazionale della memoria storica dell’Ucraina.
Seguendo l’esempio di altri paesi dell’Europa orientale, anche l’Ucraina offrirà agli studiosi la miniera degli archivi Kgb. Sin dalla promulgazione della legge un anno fa, tutti i documenti dei servizi segreti sovietici sono accessibili gratuitamente al pubblico, ma presto si digitalizzeranno per emulare il progetto della Repubblica Ceca e aprire un archivio online unificato. Inoltre, è già attivo su internet un archivio gestito da volontari, contenente oltre ventimila copie elettroniche di documenti sui movimenti ucraini di liberazione nazionale del XX secolo, così come alcuni materiali del Kgb.
L’Ucraina ha tutto il diritto di dare un colpo di spugna a quella parte del suo passato che oggi vuole dimenticare a causa della guerra nel Donbass. Bisogna però ricordare che la messa al bando di partiti politici, l’imposizione di leggi e pene severe sono metodi del passato, resi celebri dai regimi più totalitari, compreso quello sovietico. Inoltre, tali provvedimenti rischiano di dividere ancora più profondamente la popolazione che, soprattutto nelle regioni meridionali e orientali, si sente storicamente e culturalmente molto più legata all’ex Unione Sovietica che al mondo occidentale.
Cono Giardullo lavora in Ucraina con l’Osce (Twitter: @conogiardullo).
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Si riconosce, ad esempio, il il diritto delle fazioni indipendentiste a vedersi riconosciuto il ruolo svolto durante la Seconda guerra mondiale a favore dell’indipedenza di Kiev. Il problema, semmai, è che si fanno salvi alcuni movimenti di liberazione come l’Organizzazione dei nazionalisti ucraini (Orhanizatsiia Ukrains'kykh Natsionalistiv, OUN) e l’Esercito ribelle ucraino (Ukrains'ka Povstans'ka Armiia, UPA), criminalizzando ogni critica nei loro confronti, quando insigni storici li accusano di episodi di pulizia etnica nei confronti dei civili polacchi.
Il Partito comunista al bando
In dicembre, la Corte Amministrativa distrettuale di Kiev ha deciso di metter al bando il Partito comunista d’Ucraina (Комуністична партія Україниè, Pcu), alleato del vecchio partito delle Regioni dell’ex presidente Viktor Ianukovich, per non conformità alla legge “Della condanna dei regimi comunista e nazionalsocialista (nazista) e proibizione della propaganda dei loro simboli”. La decisione è poi divenuta definitiva in gennaio quando anche la Corte Suprema amministrativa si è espressa in tal senso.
Numerose sono state le critiche della comunità internazionale. Amnesty International attraverso il suo direttore per l’Europa, John Dalhuisen, ha affermato come tale decisione fosse un tradimento dei valori perseguiti nelle proteste dell’EuroMaidan: la promozione della libertà di espressione, senza il timore che, esercitandola, si finisca vittime di persecuzioni.
A seguito della domanda di chiarimenti della parlamentare europea Ines Cristina Zuber (Gue/Ngl), Federica Mogherini, in qualità di vicepresidente della Commissione europea, ha risposto lo scorso marzo, sottolineando come l’Ue abbia più volte ricordato nel suo dialogo politico con Kiev che le garanzie dei diritti fondamentali dovrebbero aver la priorità sulle considerazioni di opportunità politica, e come l’Ue ammetterebbe la messa al bando di un partito politico solo dinanzi “all’incitamento o all’uso stesso della violenza come mezzo politico”, seguendo le linee guida della Commissione di Venezia.
L’ultima speranza, secondo i rappresentanti delle più influenti Ong ucraine, risiede nel giudizio della Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo, a cui il partito comunista si è appellato. Tale decisione, però, potrebbe richiedere mesi, se non anni.
Da Dnipropetrovsk a Dnipro
Ma la stessa legge, criticata sia dalla rappresentante Osce per la libertà dei media Dunja Mijatovic, sia dalla Commissione di Venezia e dall’Odihr nella loro opinione congiunta, ha anche imposto di ribattezzare tutti i luoghi geografici il cui nome sia legato alla storia del comunismo. Lo scorso febbraio, il Parlamento ucraino (Rada) ha approvato la modifica di 175 nomi di città, paesi e province, mentre l’Istituto nazionale della memoria storica si è incaricato di fornire una lista di denominazioni raccomandate. Il processo è tutt’ora in corso, infatti a inizio maggio sono stati ridenominate altre 37 città e paesi, comprese alcune località non attualmente controllate dal governo ucraino nel Donbass e in Crimea.
Gli ultimi calcoli offrono un totale di gran lunga superiore alle 300 entità amministrative che hanno modificato la propria denominazione, un anno dopo la promulgazione delle leggi di decomunistizzazione. Tra tutte spicca la terza città del paese, Dnipropetrovsk, che traeva il suo nome dal leader bolscevico Grigory Petrovskiy, a capo della Rssu negli anni ’20 e ’30 dello scorso secolo, e che il 19 maggio è stata ufficialmente rinominata Dnipro (il fiume che la attraversa) da una solida maggioranza di deputati della Rada.
Gli archivi Kgb presto online
Infine, la legge “Sull’accesso agli archivi delle agenzie repressive del regime totalitario comunista del 1917-1991” ha sancito l’apertura degli archivi relativi ai crimini e alle violazioni dei diritti umani commessi durante l’epoca sovietica. In queste settimane si sta ultimando il trasferimento degli ultimi documenti dai Servizi segreti e dai ministero dell’Interno e della Difesa all’Istituto nazionale della memoria storica dell’Ucraina.
Seguendo l’esempio di altri paesi dell’Europa orientale, anche l’Ucraina offrirà agli studiosi la miniera degli archivi Kgb. Sin dalla promulgazione della legge un anno fa, tutti i documenti dei servizi segreti sovietici sono accessibili gratuitamente al pubblico, ma presto si digitalizzeranno per emulare il progetto della Repubblica Ceca e aprire un archivio online unificato. Inoltre, è già attivo su internet un archivio gestito da volontari, contenente oltre ventimila copie elettroniche di documenti sui movimenti ucraini di liberazione nazionale del XX secolo, così come alcuni materiali del Kgb.
L’Ucraina ha tutto il diritto di dare un colpo di spugna a quella parte del suo passato che oggi vuole dimenticare a causa della guerra nel Donbass. Bisogna però ricordare che la messa al bando di partiti politici, l’imposizione di leggi e pene severe sono metodi del passato, resi celebri dai regimi più totalitari, compreso quello sovietico. Inoltre, tali provvedimenti rischiano di dividere ancora più profondamente la popolazione che, soprattutto nelle regioni meridionali e orientali, si sente storicamente e culturalmente molto più legata all’ex Unione Sovietica che al mondo occidentale.
Cono Giardullo lavora in Ucraina con l’Osce (Twitter: @conogiardullo).
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