Ucraina Kiev nelle mani dell'uomo del presidente Giovanna De Maio 17/05/2016 |
A circa due anni da euromaidan l’Ucraina stenta a trovare una stabilità politica. Dopo mesi di stallo in seguito alla crisi di governo del febbraio di quest’anno, l’insediamento del nuovo governo presieduto da Volodymyr Groysman assomiglia molto a una manovra tutto fumo e niente arrosto.
Da un colpo di scena a un altro
Lo scorso febbraio il parlamento ucraino, la Verhovna Rada, è stato il teatro di un episodio piuttosto particolare. Una prima mozione - approvata la mattina del 16 febbraio - con una maggioranza di 247 voti (compresi i 120 del Blocco Poroshenko) - aveva giudicato insufficiente il lavoro del governo dell’allora primo ministro Arseniy Yatsenyuk.
Tuttavia, solo qualche ora più tardi, sulla mozione di sfiducia al governo si sono espressi favorevolmente soltanto 194 deputati, numero non sufficiente per raggiungere il quorum necessario a far cadere l’esecutivo.
L’episodio rientra in una prassi piuttosto consolidata in Ucraina dove generalmente, in assenza di sostegno popolare, il presidente tende a far ricadere le colpe sul primo ministro, incoraggiandone le dimissioni.
La caduta del governo di Yatsenyuk e le eventuali elezioni anticipate non avrebbero di certo giovato alla credibilità internazionale dell’Ucraina - di per sé già compromessa - e nemmeno allo stesso presidente ucraino Petro Poroshenko.
La caduta di Yatseniuk
Dopo mesi di stallo e sommerso dalle critiche, Yatsenyuk ha rassegnato le dimissioni il 10 aprile, giustificando la sua decisione dichiarando che "La crisi di governo è stata innescata artificialmente, il desiderio di sostituire una persona ha accecato i politici e paralizzato la loro volontà di apportare cambiamenti reali nel paese".
Quando ha assunto la carica di primo ministro dopo euromaidan, Yatsenyuk si era definito un kamikaze in riferimento alle difficoltà di intraprendere riforme strutturali che avrebbero comportato ingenti costi politici. Così è stato ed è innegabile che Yatsenyuk abbia fatto quanto di meglio fosse in suo potere per traghettare l’Ucraina fuori dalla crisi.
Effettivamente, bisogna darne atto, Kiev è riuscita a contenere la guerriglia nel Donbass e a varare una serie di riforme, anche impopolari, come quelle del settore energetico (che hanno comportato un aumento del prezzo del gas) che erano necessarie per instradare il paese verso un’economia di mercato.
Tuttavia le frizioni con Poroshenko e le difficoltà di gestire un parlamento troppo frammentato e poco collaborativo non hanno giovato a Yatsenyuk e così l’Ucraina si trova dov’è oggi.
Groysman, il nuovo primo ministro vicino a Poroshenko
Tra le dimissioni di Yatsenyuk e l’insediamento di Groysman sono passati quattro giorni durante i quali si è fatto fatica ad accordarsi con Poroshenko circa l’assegnazione dei ministeri. A prima vista sembra che il nuovo esecutivo sia più politico rispetto al precedente, che era composto principalmente da tecnocrati.
Groysman è il più giovane primo ministro nella storia dell’Ucraina, è membro del Blocco Poroshenko ed è noto per la sue efficienza e il suo apporto riformatore per la città di Vinnytsya della quale è stato sindaco prima di diventare speaker della Rada.
In tale veste tuttavia non sempre è stato al riparo da ambiguità, come quando ha votato contro le riforme promosse dal ministero delle finanze sebbene fossero necessarie per adempiere agli obblighi imposti dal Fondo Monetario Internazionale (Fmi).
In molti a Kiev hanno espresso preoccupazione circa la vicinanza di Groysman a Poroshenko, tuttavia quest’aspetto non è da considerarsi del tutto negativo. Precedentemente, nella storia ucraina, il vicendevole scarico di colpe tra primo ministro e presidente si è spesso tradotto in una stasi.
Stavolta, la vicinanza tra i due potrebbe rivelarsi positiva perché legando il destino dell’uno ai successi dell’altro i favorirebbe la collaborazione tra i due sul processo delle riforme. Ciononostante secondo l’ex ambasciatore Usa in Ucraina, Steven Pifer, non bisogna nutrire grandi speranze per questo nuovo governo che molto probabilmente non sarà in grado di raggiungere i risultati (seppur contenuti) di quello precedente.
L’Ucraina non è too big to fail
Il cammino è ancora lungo e la pazienza dell’Occidente non è infinita. Il Fmi terrà gli occhi ben aperti sull’esecutivo prima di procedere con il versamento della tranche di fondi prevista per ottobre e sospesa per la lentezza delle riforme.
Accanto alle misure anti-corruzione, ciò su cui la comunità internazionale insiste è la l'implementazione degli accordi di Minsk. In particolare, il governo ucraino deve lavorare a una legge che consenta lo svolgimento delle elezioni nel Donbass e al varo di riforme costituzionali volte a concedere una maggiore autonomia alla regione, indispensabili per la stabilizzazione del Paese.
Giovanna De Maio è dottoranda di ricerca presso l'Università degli Studi di Napoli L'Orientale; è stata stagista per la comunicazione presso lo IAI.
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Lo scorso febbraio il parlamento ucraino, la Verhovna Rada, è stato il teatro di un episodio piuttosto particolare. Una prima mozione - approvata la mattina del 16 febbraio - con una maggioranza di 247 voti (compresi i 120 del Blocco Poroshenko) - aveva giudicato insufficiente il lavoro del governo dell’allora primo ministro Arseniy Yatsenyuk.
Tuttavia, solo qualche ora più tardi, sulla mozione di sfiducia al governo si sono espressi favorevolmente soltanto 194 deputati, numero non sufficiente per raggiungere il quorum necessario a far cadere l’esecutivo.
L’episodio rientra in una prassi piuttosto consolidata in Ucraina dove generalmente, in assenza di sostegno popolare, il presidente tende a far ricadere le colpe sul primo ministro, incoraggiandone le dimissioni.
La caduta del governo di Yatsenyuk e le eventuali elezioni anticipate non avrebbero di certo giovato alla credibilità internazionale dell’Ucraina - di per sé già compromessa - e nemmeno allo stesso presidente ucraino Petro Poroshenko.
La caduta di Yatseniuk
Dopo mesi di stallo e sommerso dalle critiche, Yatsenyuk ha rassegnato le dimissioni il 10 aprile, giustificando la sua decisione dichiarando che "La crisi di governo è stata innescata artificialmente, il desiderio di sostituire una persona ha accecato i politici e paralizzato la loro volontà di apportare cambiamenti reali nel paese".
Quando ha assunto la carica di primo ministro dopo euromaidan, Yatsenyuk si era definito un kamikaze in riferimento alle difficoltà di intraprendere riforme strutturali che avrebbero comportato ingenti costi politici. Così è stato ed è innegabile che Yatsenyuk abbia fatto quanto di meglio fosse in suo potere per traghettare l’Ucraina fuori dalla crisi.
Effettivamente, bisogna darne atto, Kiev è riuscita a contenere la guerriglia nel Donbass e a varare una serie di riforme, anche impopolari, come quelle del settore energetico (che hanno comportato un aumento del prezzo del gas) che erano necessarie per instradare il paese verso un’economia di mercato.
Tuttavia le frizioni con Poroshenko e le difficoltà di gestire un parlamento troppo frammentato e poco collaborativo non hanno giovato a Yatsenyuk e così l’Ucraina si trova dov’è oggi.
Groysman, il nuovo primo ministro vicino a Poroshenko
Tra le dimissioni di Yatsenyuk e l’insediamento di Groysman sono passati quattro giorni durante i quali si è fatto fatica ad accordarsi con Poroshenko circa l’assegnazione dei ministeri. A prima vista sembra che il nuovo esecutivo sia più politico rispetto al precedente, che era composto principalmente da tecnocrati.
Groysman è il più giovane primo ministro nella storia dell’Ucraina, è membro del Blocco Poroshenko ed è noto per la sue efficienza e il suo apporto riformatore per la città di Vinnytsya della quale è stato sindaco prima di diventare speaker della Rada.
In tale veste tuttavia non sempre è stato al riparo da ambiguità, come quando ha votato contro le riforme promosse dal ministero delle finanze sebbene fossero necessarie per adempiere agli obblighi imposti dal Fondo Monetario Internazionale (Fmi).
In molti a Kiev hanno espresso preoccupazione circa la vicinanza di Groysman a Poroshenko, tuttavia quest’aspetto non è da considerarsi del tutto negativo. Precedentemente, nella storia ucraina, il vicendevole scarico di colpe tra primo ministro e presidente si è spesso tradotto in una stasi.
Stavolta, la vicinanza tra i due potrebbe rivelarsi positiva perché legando il destino dell’uno ai successi dell’altro i favorirebbe la collaborazione tra i due sul processo delle riforme. Ciononostante secondo l’ex ambasciatore Usa in Ucraina, Steven Pifer, non bisogna nutrire grandi speranze per questo nuovo governo che molto probabilmente non sarà in grado di raggiungere i risultati (seppur contenuti) di quello precedente.
L’Ucraina non è too big to fail
Il cammino è ancora lungo e la pazienza dell’Occidente non è infinita. Il Fmi terrà gli occhi ben aperti sull’esecutivo prima di procedere con il versamento della tranche di fondi prevista per ottobre e sospesa per la lentezza delle riforme.
Accanto alle misure anti-corruzione, ciò su cui la comunità internazionale insiste è la l'implementazione degli accordi di Minsk. In particolare, il governo ucraino deve lavorare a una legge che consenta lo svolgimento delle elezioni nel Donbass e al varo di riforme costituzionali volte a concedere una maggiore autonomia alla regione, indispensabili per la stabilizzazione del Paese.
Giovanna De Maio è dottoranda di ricerca presso l'Università degli Studi di Napoli L'Orientale; è stata stagista per la comunicazione presso lo IAI.
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