Immigrazione Riformare Dublino per risvegliare l’Ue Vincenzo Guizzi 16/05/2016 |
Non si può negare che l’immigrazione abbia assunto un carattere strutturale nell’ambito del processo di integrazione europea. Essa tuttavia costituisce anche una "cartina di tornasole" per verificare il rispetto delle norme comunitarie (a partire dagli stessi Trattati), anzi della stessa identità dell’Unione, da parte di non pochi Paesi membri.
Non si tratta tanto del non rispetto dell’Accordo di Schengen - peraltro ormai “comunitarizzato” -, ma piuttosto di alcune norme che si possono, a giusto titolo, definire di natura costituzionale. Tra le più importanti quelle contenute negli articoli 2 e 3 del Trattato sull’Unione europea (Tue), 20 e 21, 77-80 del Trattato sul funzionamento dell’Unione (Tfue), nonché gli articoli 1-6, 20-25, 35 e 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione.
Valori dell’Ue traditi
Le misure assunte da alcuni Paesi membri e il trattamento riservato ai migranti tradiscono i valori fondanti dell’Unione (solidarietà, dignità umana, libertà, uguaglianza), ma vanificano anche alcuni risultati importanti del processo di unificazione: la cittadinanza europea e la conseguente libertà di circolazione della persone (non più soltanto quella dei lavoratori, già sancita nei Trattati originari).
Il vero nodo resta sempre quello di un’efficace controllo delle frontiere esterne dell’Unione, che si sarebbe dovuto affrontare sin dall’avvio dello “Spazio Schengen” e che ora diventa urgente, improrogabile, sciogliere.
Al di là delle considerazioni strettamente giuridiche o ispirate a criteri umanitari, non si considera che la chiusura delle frontiere interne mette in percolo il funzionamento di tutto il mercato interno con conseguenti ingenti costi all’economia dell’Unione. Questa affermazione è confortata dalla recente dichiarazione del Ministro Pier Carlo Padoan: la crisi di Schengen è più pericolosa di quella dell’Euro.
Migration Compact
Il governo italiano e la stessa Commissione europea hanno di recente presentato interessanti proposte per far fronte, su nuove basi, alle crescenti immigrazioni dall’Est e dall’altra sponda del Mediterraneo, anche attraverso le modifiche ad alcuni strumenti normativi esistenti.
Il Migration Compact del nostro Governo punta su: un più efficace controllo delle frontiere esterne, con una Guardia costiera europea; una stretta collaborazione con i Paesi terzi per l’identificazione e per il rilascio dei documenti di viaggio; un supporto, anche finanziario, a questi Paesi nella gestione dei flussi finanziari; un nuovo sistema di asilo; la lotta ai traffici di esseri umani.
Per i profili finanziari si prevedono: un nuovo Strumento finanziario per l’azione esterna nel campo dell’emigrazione; migration bonds europei; un nuovo fondo per investimenti nei Paesi terzi. Quest’ultimo è particolarmente significativo, perché tende a risolvere all’origine il problema dell’emigrazione, avviando un processo di sviluppo economico nei paesi di origine.
Viene in mente il dibattito già negli anni ’60 sul contenimento dell’emigrazione all’interno della Comunità attraverso una politica di sviluppo regionale, anche al fine di rendere effettivamente “libera” (e non condizionata dal sottosviluppo di alcune regioni) la circolazione dei lavoratori comunitari.
Revisione del regolamento di Dublino 3
Accogliendo in parte la posizione italiana, le proposte della Commissione puntano ad una revisione del regolamento 604/13 sulla determinazione dello Stato membro competente per le domande di asilo (cd. “Dublino 3”), al fine di stabilire una più equa ripartizione dei pesi e delle responsabilità tra i vari Paesi membri; ad una maggiore armonizzazione delle procedure di asilo; alla modifica del mandato dell’Agenzia per l’asilo; al rafforzamento del sistema Eurodac; ad un sistema “strutturato” di reinsediamento.
In merito alla modifica del regolamento n. 604/13 va segnalato il lavoro svolto da alcuni studiosi di diritto europeo, coordinati dall’avv. Paolo Gonnelli, che hanno preparato una proposta di nuova disciplina della “protezione internazionale”, interamente sostitutiva del reg. n.604/2013.
Per esigenza di brevità se ne ricordano schematicamente i punti salienti.Si pone, innanzitutto l’accento sul rispetto della libertà di circolazione e stabilimento, all'interno dell'Unione europea, delle persone cui sia stata accordata la “protezione internazionale” (in modo da attenuare il timore che il riconoscimento di tale protezione da parte di uno Stato coincida con la permanenza definitiva dei beneficiari nel medesimo Stato).
Si richiede un’equa ripartizione fra tutti gli Stati dell’Unione dei costi inerenti alle procedure di esame delle domande di protezione internazionale (in modo che lo svolgimento di tali compiti non si accompagni a maggiori oneri per gli Stati che vi provvedono) e un conseguente meccanismo di “incentivi” a favore degli Stati che provvedono alla accoglienza temporanea dei richiedenti protezione e all'esame delle relative domande.
Si attribuisce la competenza ad esaminare le domande di protezione agli Stati richiedenti (eliminando del tutto il riferimento al paese di primo ingresso). Si prevede la possibilità di richiedere la protezione internazionale anche fuori del territorio dell’Unione europea (presso appositi centri da istituire in collaborazione con altri Enti internazionale in prossimità dei campi profughi o in aree relativamente sicure ad essi adiacenti; presso alcuni siti internazionali, quali Missioni Ue o rappresentanze diplomatiche previamente identificate; presso i valichi di frontiera terrestri, marittimi ed aeroportuali).
La proposta prevede l’identificazione dei richiedenti protezione nei luoghi in cui essa viene richiesta, l’esame della domanda di protezione e il trasporto degli stessi dal luogo di presentazione della richiesta al Paese accogliente mediante “canali umanitari” (con mezzi di trasporto terrestri, aerei o navali).
Questa proposta può apparire provocatoria - e in larga misura vuole esserlo - nei confronti di alcuni Paesi comunitari, che si oppongono con ogni mezzo ai flussi migratori, ma è venuto il momento di lanciare pietre nello stagno dell’attuale politica europea. C’è da chiedersi dove è finita l’Unione che i suoi padri costituenti avevano disegnato e, soprattutto dove è finita la nostra umanità.
Vincenzo Guizzi è uno studioso di diritto e politica dell’Unione europea e Organo di vigilanza dello IAI.
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Valori dell’Ue traditi
Le misure assunte da alcuni Paesi membri e il trattamento riservato ai migranti tradiscono i valori fondanti dell’Unione (solidarietà, dignità umana, libertà, uguaglianza), ma vanificano anche alcuni risultati importanti del processo di unificazione: la cittadinanza europea e la conseguente libertà di circolazione della persone (non più soltanto quella dei lavoratori, già sancita nei Trattati originari).
Il vero nodo resta sempre quello di un’efficace controllo delle frontiere esterne dell’Unione, che si sarebbe dovuto affrontare sin dall’avvio dello “Spazio Schengen” e che ora diventa urgente, improrogabile, sciogliere.
Al di là delle considerazioni strettamente giuridiche o ispirate a criteri umanitari, non si considera che la chiusura delle frontiere interne mette in percolo il funzionamento di tutto il mercato interno con conseguenti ingenti costi all’economia dell’Unione. Questa affermazione è confortata dalla recente dichiarazione del Ministro Pier Carlo Padoan: la crisi di Schengen è più pericolosa di quella dell’Euro.
Migration Compact
Il governo italiano e la stessa Commissione europea hanno di recente presentato interessanti proposte per far fronte, su nuove basi, alle crescenti immigrazioni dall’Est e dall’altra sponda del Mediterraneo, anche attraverso le modifiche ad alcuni strumenti normativi esistenti.
Il Migration Compact del nostro Governo punta su: un più efficace controllo delle frontiere esterne, con una Guardia costiera europea; una stretta collaborazione con i Paesi terzi per l’identificazione e per il rilascio dei documenti di viaggio; un supporto, anche finanziario, a questi Paesi nella gestione dei flussi finanziari; un nuovo sistema di asilo; la lotta ai traffici di esseri umani.
Per i profili finanziari si prevedono: un nuovo Strumento finanziario per l’azione esterna nel campo dell’emigrazione; migration bonds europei; un nuovo fondo per investimenti nei Paesi terzi. Quest’ultimo è particolarmente significativo, perché tende a risolvere all’origine il problema dell’emigrazione, avviando un processo di sviluppo economico nei paesi di origine.
Viene in mente il dibattito già negli anni ’60 sul contenimento dell’emigrazione all’interno della Comunità attraverso una politica di sviluppo regionale, anche al fine di rendere effettivamente “libera” (e non condizionata dal sottosviluppo di alcune regioni) la circolazione dei lavoratori comunitari.
Revisione del regolamento di Dublino 3
Accogliendo in parte la posizione italiana, le proposte della Commissione puntano ad una revisione del regolamento 604/13 sulla determinazione dello Stato membro competente per le domande di asilo (cd. “Dublino 3”), al fine di stabilire una più equa ripartizione dei pesi e delle responsabilità tra i vari Paesi membri; ad una maggiore armonizzazione delle procedure di asilo; alla modifica del mandato dell’Agenzia per l’asilo; al rafforzamento del sistema Eurodac; ad un sistema “strutturato” di reinsediamento.
In merito alla modifica del regolamento n. 604/13 va segnalato il lavoro svolto da alcuni studiosi di diritto europeo, coordinati dall’avv. Paolo Gonnelli, che hanno preparato una proposta di nuova disciplina della “protezione internazionale”, interamente sostitutiva del reg. n.604/2013.
Per esigenza di brevità se ne ricordano schematicamente i punti salienti.Si pone, innanzitutto l’accento sul rispetto della libertà di circolazione e stabilimento, all'interno dell'Unione europea, delle persone cui sia stata accordata la “protezione internazionale” (in modo da attenuare il timore che il riconoscimento di tale protezione da parte di uno Stato coincida con la permanenza definitiva dei beneficiari nel medesimo Stato).
Si richiede un’equa ripartizione fra tutti gli Stati dell’Unione dei costi inerenti alle procedure di esame delle domande di protezione internazionale (in modo che lo svolgimento di tali compiti non si accompagni a maggiori oneri per gli Stati che vi provvedono) e un conseguente meccanismo di “incentivi” a favore degli Stati che provvedono alla accoglienza temporanea dei richiedenti protezione e all'esame delle relative domande.
Si attribuisce la competenza ad esaminare le domande di protezione agli Stati richiedenti (eliminando del tutto il riferimento al paese di primo ingresso). Si prevede la possibilità di richiedere la protezione internazionale anche fuori del territorio dell’Unione europea (presso appositi centri da istituire in collaborazione con altri Enti internazionale in prossimità dei campi profughi o in aree relativamente sicure ad essi adiacenti; presso alcuni siti internazionali, quali Missioni Ue o rappresentanze diplomatiche previamente identificate; presso i valichi di frontiera terrestri, marittimi ed aeroportuali).
La proposta prevede l’identificazione dei richiedenti protezione nei luoghi in cui essa viene richiesta, l’esame della domanda di protezione e il trasporto degli stessi dal luogo di presentazione della richiesta al Paese accogliente mediante “canali umanitari” (con mezzi di trasporto terrestri, aerei o navali).
Questa proposta può apparire provocatoria - e in larga misura vuole esserlo - nei confronti di alcuni Paesi comunitari, che si oppongono con ogni mezzo ai flussi migratori, ma è venuto il momento di lanciare pietre nello stagno dell’attuale politica europea. C’è da chiedersi dove è finita l’Unione che i suoi padri costituenti avevano disegnato e, soprattutto dove è finita la nostra umanità.
Vincenzo Guizzi è uno studioso di diritto e politica dell’Unione europea e Organo di vigilanza dello IAI.
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