di FEDERICO SALVATI
(federicoslvt@gmail.com)
Prima
di dire qualunque cosa è doveroso fare una premessa. Dall'inizio della crisi in
Crimea e nel Dombass molti dei mie conoscenti sapendo il mio coinvolgimento e
il mio interesse per i conflitti dell'area post sovietica mi hanno chiesto:
“cosa ne pensi dell'Ucraina, come finirà?”. La mia riposta standard a questa
domanda, con tono provocatorio, è sempre stata: “l'Ucraina finirà come
L'Ucraina ne più ne meno”. Il
significato di questa sciocca tautologia è presto detto: nonostante i conflitti
post sovietici abbiano tutti una sottile sottotrama comune, ognuno di loro
rappresenta un caso unico.
Nell'analisi di ogni conflitto c'è sempre bisogno di
adattare le categorie teoriche al caso specifico. Si deve cercare ad ogni costo
di non essere prevenuti riguardo agli avvenimenti ed evitare ogni inferenza che
non sia fondata su basi argomentative stabili. In caso contrario alto è il
rischio di una visione puramente teorica e non aderente alla realtà. Se questo
da una parte rappresenta un must nell'analisi dei conflitti (non solo
post-sovietici) dall'altra, l'accumulazione empirica di dati ci permette di
creare delle categorie cognitive che tendono a rendere la realtà più
intellegibile e ci permettono rendere le nostre previsioni più realistiche.
Cosa ci suggerisce l'esperienza analitica passata riguardo al conflitto
ucraino?
Quale sarà il destino di questo scenario?
Cominciamo
ad affrontare la questione dal punto di vista russo.
LA PROSPETTIVA RUSSA
A
patire dai primi anni 90 dello scorso secolo Mosca è sempre stata coinvolta nei
conflitti dell'area post sovietica. Guardando allo scenario nel suo insieme le
somiglianze con i singoli casi sono numerose ma uno tra tutti risalta più degli
altri: quello del sud Ossezia Agosto 2008. I commentatori che hanno fin qui
dato la loro opinione sull'argomento ucraino hanno esposto come maggiori
motivazioni dell'attacco russo:
1
Il soffocamento di Mosca da parte della NATO
2
L'assenza di un regime politico amico in Ucraina che garantisse sicurezza
3
L'importanza strategica dei territori occupati (e in particolare della Crimea)
Tali
questioni erano già state sollevate a loro tempo nel caso della Georgia e da
questo punto di vista stiamo rivivendo una realtà che abbiamo già visto. Anche
le pratiche di “passaportizzazione” all'interno dei territori occupati sono un
altro aspetto in comune, così come lo è l'appello alla prevenzione di genocidio
e alla Responsabilità a Proteggere da parte di Mosca per giustificare
l'intervento. Ci fa notare Jeffry Mankoff, però, che questo conflitto ha un
elemento di grande innovazione che non era mai comparso prima: l'annessione
territoriale. Se l'obbiettivo in questa situazione per Mosca fosse stato solo
la destabilizzazione del paese, la presa di possesso di un cuneo strategico nel
territorio avversario e il ristabilimento della propria area d'influenza
all'interno dell'area post sovietica, l'annessione risulta una scelta alquanto
discutibile. Che cosa ha fatto scattare questa opzione che, è doveroso
ricordare, è invocata dal Sud Ossezia ormai da un ventennio? Il primo assunto
da accettare per capire la situazione è che Putin agisce in maniera razionale
cercando di conseguire i propri obbiettivi strategici con tutti i mezzi a sua
disposizione. La Crimea è uno spazio territoriale 36 volte più grande del Sud
Ossetia che permette un buon un buon accesso al Mar Nero e di mantenere una posizione
nel Mar di Azov. In Crimea è presente la base di Sevastopol che ha un valore
non solo strategico ma anche simbolico per Mosca. La penisola inoltre rende
possibile una migliore difesa dei confini trovandosi a 1.300 KM dalla capitale
e praticamente al confine con il Caucaso russo. Secondo Sergei Markov (un
commentatore russo legato al Cremlino) inoltre l'annessione non era l'opzione
primaria. Infatti questa sarebbe stata
una reazione al rifiuto da parte dell'America delle condizioni di Mosca durante
le prime negoziazioni. L'altra possibile spiegazione per l'annessione della
Crimea è di carattere ideologico e politico. L'azione in un modo o nell'altro
identificherà per sempre Putin per le generazioni a venire. Questa sarà
l'evento per cui verrà maggiormente ricordato. L'intervento da questo punto di
vista è in linea con i concetti politici su cui si basa l'amministrazione del
presidente. È centrale comprendere che il grande progetto di Mosca è quello di
lanciare sulla scena internazionale un polo russo che sia un alternativa
ideologica e politica all'occidente post guerra fredda. Nel conseguire ciò egli
rivendica il proprio diritto, a livello interno, di governare il paese secondo
i principi della “democrazia sovrana” e a livello estero di seguire i propri interessi
attraverso il conseguimento degli obiettivi strategici nella propria area
d'influenza (quello che l'ex ministro degli esteri Sergjiev Lavrov aveva
chiamato “Nazionalismo Pragmatico”). L'annessione sarebbe quindi la
realizzazione pratica di una dottrina politica Putiniana risultato di una
miscellanea di alcuni concetti provenienti dal neo-eurasiatismo di Durin e dal
mondo multipolare di Prinakov.
LA PROSPETTIVA UCRAINA
Dal
punto di vista Ucraino la situazione è altrettanto grave e complessa. Mentre
per alcuni commentatori la Crimea era una tragedia annunciata per altri è stato
uno shock. La situazione sociale in Ucraina era infatti nettamente diversa da
quella dell'Ossetia, del Karabakh e anche della Transnistria. La minoranza
Armena in Azerbaijan soffriva di un livello di emarginazione altissimo rispetto
alla minoranza russa in Crimea. In Georgia le politiche di Gamsakhurdia avevano
un chiaro intento di identificare le popolazioni non georgiane come “ospiti”
sul territorio nazionale. In Ucraina la sensazione che c'era tra gli abitanti
della Crimea e del Dombass era piuttosto di carattere localistico. La coscienza
di essere una minoranza linguistica era piuttosto attenuata. Uno studio
recentemente condotto a riguardo ha dimostrato come in questo paese il rapporto
tra identità e provenienza linguistica non fosse così marcato come la
tradizione geopolitica tende a far trasparire. Secondo Kiev un ruolo
fondamentale nello scoppio degli scontri l'ha giocato la situazione economica.
L'Ucraina tra i paesi dell'ex blocco sovietico è quello con il maggior numero
di giovani con un diploma universitario. La buona educazione però non
corrisponde allo stesso modo a opportunità concrete lavorative a causa della
situazione sociale di corruzione e crisi economica. Questo ha generato un senso
di frustrazione collettiva che si è propagata in maniera particolare nell'est
del paese, sede dell'industria pensante ucraina e colonna portante
dell'economia nazionale.
La
priorità per Kiev in questo momento è di rinforzare la propria forza di difesa.
Fino a qualche settimana fa infatti la penetrazione delle forze russe verso
Odessa sembrava una realtà molto concreta. Questa operazione (denominata
progetto “Novorassia”) avrebbe permesso a Mosca d'impadronirsi dell'altro
obiettivo strategico di rilievo sulle coste del Mar Nero: il poro di Odessa. Il
possesso di questa città gli avrebbe permesso non solo di controllare meglio
l'accesso alla costa ma di congiungersi anche con i territori della
Transnistria e controllare completamente
l'area russofona del paese. Al di la di ciò non è ancora chiaro quale sia la
strategia d'ingaggio adottata dal governo nei confronti del problema.
Fino
alla fine dell'anno scorso Kiev era ben decisa a seguire l'esempio di Tbilisi
per quanto riguarda l'Ossetia e l'Abkhatia. Attraverso riforme e incentivi di
carattere sociale ed economico, il governo sperava di convincere i separatisti
a deporre le armi per ricongiungersi in una società più equa e prospera. Negli
ultimi mesi la situazione si è fatta, però, più torbida. Kiev rifiuta ancora un
approccio di tipo nazionalista e retorico, tipo quello che Baku ha adottato per
il Karabakh. Tale impostazione in 20 anni di conflitto “congelato” non ha portato nessun risultato concreto
all'Azerbaijan se non l'inasprirsi delle tensioni e l'irrigidirsi delle
posizioni negoziali. Una soluzione militare pura e semplice, sembrerebbe quindi
da escludere in questo caso(visto anche l'esempio Georgiano del 2008). Alcuni esponenti del mondo estremista hanno
proposto un altra strategia. Kiev dovrebbe creare una linea di contatto,
isolare le regioni occupate, fortificare la pressione politica sulla Russia e
sospendere la somministrazione della spesa sociale per i territori occupati.
Questo scenario è sicuramente più realistico rispetto al precedente ma di certo
non più incoraggiante. La privazione sistematica delle risorse statali per i
residenti delle regioni secessioniste è già partita. In questo caso l'Ucraina
congelerebbe il conflitto. Si verrebbe a creare uno scenario simile quello del Karabakh in cui le pressioni dalla
Madre Patria avvicinano sempre di più le regioni secessioniste alla nuovo stato
di accesso. La pressione politica ed economica su Mosca nel tempo potrebbe poi
rivelarsi di dubbia efficacia. Chi conosce anche un minimo la cultura popolare
russa sa che questa nazione ha insito il concetto di sacrificio e sofferenza
della comunità. Una rinnovata pressione potrebbe avere un effetto contrario a
quello desiderato fornendo a Putin il capitale sociale per realizzare i propri
progetti.
Una
scelta più saggia sarebbe quella di
riconoscere, come ha fatto la Georgia, i territori come temporaneamente
occupati e provvedere ai bisogni dei residenti attraverso programmi economici e
sociali nel tentativo di riportarli verso la madrepatria.
Fondamentale
sarà il ruolo degli IDP nel futuro politico dello scenario. È vitale che il
Governo di Kiev provveda ai bisogni sociali degli IDP che sono sul territorio
nazionale e quelli ancora presenti nei territori occupati. Questi in futuro saranno
la base sociale dell'autorità governativa per ristabilire la sovranità sul
territorio e impostare la riconciliazione.
Conclusioni
In
questo breve spazio non abbiamo potuto affrontare tutti i fattori della
questione che sicuramente merita una trattazione più estesa. L'intervento Russo
in Ucraina da un punto di vista storico può essere annoverato nella politica
revisionista di questo paese, susseguente la conferenza di Monaco del 2007. Una
risposta univoca e secca a quale sarà il destino dello scenario non esiste ma
di certo dagli elementi esposti si possono trarre delle conclusioni. È chiaro
che l'Ucraina si prepara ad una situazione prolungata di tensione. Il governo
di Kiev spera di giocare con successo la carta delle riforme strutturali.
Un'azione ben riuscita in questo senso gli permetterebbe da una parte
d'ingaggiare le popolazioni delle regioni secessioniste e dall'altra di
accaparrarsi definitivamente il sostegno della comunità occidentale. Le
speranze di Kiev potrebbero però scontrarsi con un'amara verità. Per Mosca
infatti congelare il conflitto per ora non sembra un'opzione valida. Per adesso
non esiste una situazione di stallo militare, la Russia ha raggiunto tutti i
suoi obiettivi strategici nel teatro e il favore della popolazione gli permette
di conservare i territori annessi con facilità. Per queste ragioni oggi
l'azione russa si concentra su attività di normalizzazione e di state-building,
secondo il modello transdiniestro. Mosca a differenza di quanto ha fatto con il
sud Ossetia non sembra voler gettare i territori occupati in un limbo giuridico
tanto scomodo quanto incerto.
Concluderei
citando un episodio che molto probabilmente è caduto nel dimenticatoio ma
potrebbe essere esemplificativo per il caso ucraino. Nel 2008 Putin
rivolgendosi a Bush durante consiglio Russia-Nato disse: “George, vedi,
l'Ucraina non è uno stato sovrano”. Dopo
questa affermazione avrebbe poi aggiunto come la nazione rappresentava una
costruzione artificiale e che la parte ovest sarebbe appartenuta al mondo
europeo mentre la parte orientale invece sarebbe stata invece “Nostra”.
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