Crisi ucraina Nel Baltico col fiato sul collo Giovanna De Maio 29/01/2015 |
Numerose e frequenti sono state quest’anno le violazioni dello spazio aereo e marittimo dei paesi che affacciano sul mar Baltico a opera dell’aviazione e della marina russe.
Questi episodi, per quanto lontani dall’essere preludio di una crisi simile a quella ucraina, riaccendono le paure di questi paesi per i quali dieci anni di esperienza europea non sono bastati a cancellare l’incubo del pericolo russo.
Allo stato attuale, le loro scelte di sicurezza si dirigono inevitabilmente verso la ricerca di protezione da parte delle strutture europee e atlantiche e verso un aumento considerevole della spesa militare.
Lettonia teme il bis di una crisi ucraina
Delle tre repubbliche baltiche, la Lettonia è forse quella che maggiormente avverte il pericolo di un ripetersi del copione ucraino. La convivenza con la minoranza russa (che ammonta al 26% della popolazione) non è mai stata semplice e ha spesso dato adito a sviluppi piuttosto amari.
Sono circa 319 mila i russi che vivono in Lettonia dal 1940 ai quali dalla caduta dell’Urss è stato negato il diritto di cittadinanza. Non hanno così potuto partecipare al referendum del febbraio 2012 sull’uso del russo come seconda lingua di stato, il cui esito negativo è simbolo di una volontà difficile da contestare: staccare la spina con il passato sovietico.
Attualmente sul suolo lettone ci sono 150 uomini della Nato, ma Riga ha chiesto di incrementare questa presenza e ha annunciato che presto le spese per la difesa raggiungeranno il 2% del Pil.
Stando alle dichiarazioni del ministro della difesa Raimonds Vejonis, per cinquanta volte in quest’anno, navi da guerra russe sarebbero transitate a circa nove miglia marine di distanza dalle acque territoriali lettoni, mentre sarebbero duecento i casi di jet militari russi giunti in prossimità dello spazio aereo.
Corsa al riarmo di Estonia e Lituania
Scelte analoghe per la Lituania, che ha disposto la creazione di una forza di intervento rapido di 1600 soldati, mentre l’Estonia, la cui spesa militare ha già raggiunto il 2% del Pil, si è data a una vera e propria corsa al riarmo.
Oltre a chiedere all’alleanza atlantica di insediare in modo permanente sul territorio estone soldati e dispositivi militari, Tallin ha registrato un raddoppio nelle reclute della Kaitseliit, la lega di difesa paramilitare formata su base volontaria.
Se Svezia e Finlandia pensano ad allinearsi
È da ottobre che l’intelligence svedese è alle prese con attività sottomarine straniere e teme che dietro a questo ci siano proprio i russi. All’inizio del nuovo secolo la Svezia aveva ridotto l’apparato militare utilizzato durante la guerra fredda per concentrarsi sullo sviluppo tecnologico.
Nel 2009 aveva posto fine alla leva obbligatoria, tagliando il numero dei militari. Tuttavia la consapevolezza della propria importanza geostrategica, unita alle inquietudini sollevate dalle incursioni, ha spinto Stoccolma ad optare per una più profonda collaborazione con la Nato.
La concessione dell’uso del proprio territorio e delle infrastrutture in caso di azione militare non implicano, almeno per il momento, che il paese rinunci al proprio status di non-allineato.
In Finlandia, invece, inquietano le previsioni dell’analista dell’Istituto affari esteri finlandese Charlie Salonius-Pasternak.
L’esperto aveva paventato possibili mire di Mosca sulle isole Aland, una regione autonoma smilitarizzata da mezzo secolo, appartenuta alla Russia zarista, che si trova a 50 km dalla costa svedese e a 70 km da quella finlandese: possedere queste isole significherebbe in sostanza controllare tutto lo spazio aereo baltico.
Al ministro degli esteri Erkki Sakari Tuomioja - che ha definito queste parole come provocatorie e inopportune - ha fatto però eco la dichiarazione del primo ministro Alexander Stubb che non ha escluso la possibilità di un referendum per l’adesione all’alleanza atlantica.
Espansionismo russo
Il summit Nato in Galles ha cercato fornire risposte a queste preoccupazioni. La messa a punto di piani alternativi, la creazione di una forza reazione rapida e il coinvolgimento degli stati baltici nella preparazione delle esercitazioni (la base aerea di Amari in Estonia diventerà un centro di addestramento Nato) si muovono in questa direzione.
Resta tuttavia da capire fino a che punto questi cambiamenti potranno considerarsi efficaci in caso di minaccia concreta. Probabilmente l’obiettivo di Mosca è comprendere proprio questo. Per quanto impensabile un’invasione possa essere, la minaccia stessa costituisce un motivo di allarme.
Per i paesi baltici l’espansionismo russo ha rappresentato per secoli il principale problema geopolitico e l’immobilismo euro-atlantico nelle crisi di Georgia e Ucraina non ha fatto altro che confermare queste preoccupazioni invero mai sopite.
Al di là di ogni dubbio pretesto per un attacco armato, è pur vero che una Russia che si sente accerchiata tende generalmente a scalciare. Siamo però sicuri che la risposta alleata sarebbe, in queste circostanze, rapida e armata?
Giovanna De Maio è dottoranda di ricerca presso l'Università degli Studi di Napoli L'Orientale; è stata stagista per la comunicazione presso lo IAI.
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Allo stato attuale, le loro scelte di sicurezza si dirigono inevitabilmente verso la ricerca di protezione da parte delle strutture europee e atlantiche e verso un aumento considerevole della spesa militare.
Lettonia teme il bis di una crisi ucraina
Delle tre repubbliche baltiche, la Lettonia è forse quella che maggiormente avverte il pericolo di un ripetersi del copione ucraino. La convivenza con la minoranza russa (che ammonta al 26% della popolazione) non è mai stata semplice e ha spesso dato adito a sviluppi piuttosto amari.
Sono circa 319 mila i russi che vivono in Lettonia dal 1940 ai quali dalla caduta dell’Urss è stato negato il diritto di cittadinanza. Non hanno così potuto partecipare al referendum del febbraio 2012 sull’uso del russo come seconda lingua di stato, il cui esito negativo è simbolo di una volontà difficile da contestare: staccare la spina con il passato sovietico.
Attualmente sul suolo lettone ci sono 150 uomini della Nato, ma Riga ha chiesto di incrementare questa presenza e ha annunciato che presto le spese per la difesa raggiungeranno il 2% del Pil.
Stando alle dichiarazioni del ministro della difesa Raimonds Vejonis, per cinquanta volte in quest’anno, navi da guerra russe sarebbero transitate a circa nove miglia marine di distanza dalle acque territoriali lettoni, mentre sarebbero duecento i casi di jet militari russi giunti in prossimità dello spazio aereo.
Corsa al riarmo di Estonia e Lituania
Scelte analoghe per la Lituania, che ha disposto la creazione di una forza di intervento rapido di 1600 soldati, mentre l’Estonia, la cui spesa militare ha già raggiunto il 2% del Pil, si è data a una vera e propria corsa al riarmo.
Oltre a chiedere all’alleanza atlantica di insediare in modo permanente sul territorio estone soldati e dispositivi militari, Tallin ha registrato un raddoppio nelle reclute della Kaitseliit, la lega di difesa paramilitare formata su base volontaria.
Se Svezia e Finlandia pensano ad allinearsi
È da ottobre che l’intelligence svedese è alle prese con attività sottomarine straniere e teme che dietro a questo ci siano proprio i russi. All’inizio del nuovo secolo la Svezia aveva ridotto l’apparato militare utilizzato durante la guerra fredda per concentrarsi sullo sviluppo tecnologico.
Nel 2009 aveva posto fine alla leva obbligatoria, tagliando il numero dei militari. Tuttavia la consapevolezza della propria importanza geostrategica, unita alle inquietudini sollevate dalle incursioni, ha spinto Stoccolma ad optare per una più profonda collaborazione con la Nato.
La concessione dell’uso del proprio territorio e delle infrastrutture in caso di azione militare non implicano, almeno per il momento, che il paese rinunci al proprio status di non-allineato.
In Finlandia, invece, inquietano le previsioni dell’analista dell’Istituto affari esteri finlandese Charlie Salonius-Pasternak.
L’esperto aveva paventato possibili mire di Mosca sulle isole Aland, una regione autonoma smilitarizzata da mezzo secolo, appartenuta alla Russia zarista, che si trova a 50 km dalla costa svedese e a 70 km da quella finlandese: possedere queste isole significherebbe in sostanza controllare tutto lo spazio aereo baltico.
Al ministro degli esteri Erkki Sakari Tuomioja - che ha definito queste parole come provocatorie e inopportune - ha fatto però eco la dichiarazione del primo ministro Alexander Stubb che non ha escluso la possibilità di un referendum per l’adesione all’alleanza atlantica.
Espansionismo russo
Il summit Nato in Galles ha cercato fornire risposte a queste preoccupazioni. La messa a punto di piani alternativi, la creazione di una forza reazione rapida e il coinvolgimento degli stati baltici nella preparazione delle esercitazioni (la base aerea di Amari in Estonia diventerà un centro di addestramento Nato) si muovono in questa direzione.
Resta tuttavia da capire fino a che punto questi cambiamenti potranno considerarsi efficaci in caso di minaccia concreta. Probabilmente l’obiettivo di Mosca è comprendere proprio questo. Per quanto impensabile un’invasione possa essere, la minaccia stessa costituisce un motivo di allarme.
Per i paesi baltici l’espansionismo russo ha rappresentato per secoli il principale problema geopolitico e l’immobilismo euro-atlantico nelle crisi di Georgia e Ucraina non ha fatto altro che confermare queste preoccupazioni invero mai sopite.
Al di là di ogni dubbio pretesto per un attacco armato, è pur vero che una Russia che si sente accerchiata tende generalmente a scalciare. Siamo però sicuri che la risposta alleata sarebbe, in queste circostanze, rapida e armata?
Giovanna De Maio è dottoranda di ricerca presso l'Università degli Studi di Napoli L'Orientale; è stata stagista per la comunicazione presso lo IAI.
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