Crisi ucraina Kiev e Mosca verso un conflitto congelato Paolo Calzini 23/09/2014 |
Il cessate il fuoco tra le forze governative di Kiev e quelle separatiste della regione del Donbass sostenute militaramente dalla Russia è stato oggetto di un generale, anche se cauto, apprezzamento da parte dei dirigenti dalle grandi potenze implicate nel conflitto.
L’interesse a spegnere un focolaio di violenze che rischiava di aggravare ulteriormente il clima di tensione prevalente a livello internazionale ha avuto la meglio sulle considerazioni di parte.
La rinuncia dell’uso delle armi è stata giudicata positivamente da parte occidentale, pur essendo evidente che la tregua era dovuta allo sconfinamento di forze russe in territorio ucraino. Forze in grado di riequilibrare l’andamento del conflitto a favore dei separatisti, bloccando l’azione di Kiev tesa a ristabilire con la forza il controllo sulla regione secessionista.
La Russia conferma la sua superiorità rispetto all’Occidente in un’area di prossimità giudicata vitale per la sua sicurezza. Una posizione di vantaggio alla quale le potenze occidentali, in primo luogo la Nato, non sono state in grado di opporsi, considerati i rapporti di forza prevalenti sul territorio, mobilitando le risorse necessarie per una linea di resistenza adeguata.
Repubbliche popolari del Donbass
Posto, anche se non scontato, che la tregua regga, si dovrebbe aprire la difficile fase delle trattative per arrivare a un patto fra le parti. Un accordo caldeggiato sia dalla Russia che dalle potenze occidentali che riguarda in primo luogo lo status delle neo costituite “repubbliche popolari” del Donbass rimaste sul piano del diritto internazionale sotto la giurisdizione di Kiev, ma di fatto sfuggite al suo controllo.
Un punto di rilievo cruciale perché pone in discussione la configurazione istituzionale dello stato ucraino sotto il profilo dell’integrità territoriale e della composizione multi etnica sanzionata all’atto della sua indipendenza nel 1991.
Tenuto conto del clima di ostilità alimentato da una campagna di propaganda politico ideologica esasperata da ambedue le parti - sia all’interno dell’Ucraina che fra Russia e potenze occidentali - si possono ipotizzare tre diversi esiti del processo negoziale. Le elenchiamo in ordine crescente di ipotetica probabilità.
Dopo la Crimea: ancora secessione
Una prima opzione è che le repubbliche del Donbass conseguono piena indipendenza, nella prospettiva di un eventuale, ma non scontata annessione alla Russia. Per scelta obbligata il governo di Kiev subisce un’ulteriore amputazione.
Il ridimensionamento della consistenza territoriale ucraina - dopo quella già avvenuto in Crimea - potrebbe avere contraccolpi fortemente negativi in grado di influenzare le relazioni fra la Russia e le potenze occidentali.
Si tratta di una soluzione radicale, ma allo stesso tempo chiarificatrice, che sancisce la divisione dell’Ucraina in due entità distinte destinate a essere integrate, ciascuna in forme e tempi particolari, l’una nel contesto russo e l’altra in quello europeo occidentale.
Ucraina unita
Il secondo scenario è quello secondo il quale l’unità del paese - Crimea a parte - viene confermata grazie a un accordo fra il governo di Kiev e i separatisti del Donbass sulla base di forti concessioni alle rivendicazioni di autonomia di questi ultimi.
Dal punto di vista politico si tratta di una scelta molto avanzata sotto il profilo democratico nella definizione dei rapporti fra le comunità etniche, nazionale ucraina e russa, fondata sull’adozione di una struttura federale che attribuisce ampie competenze all’entità regionali in materia culturale, linguistica, economica, riducendo i poteri delle autorità centrali.
Un riequilibrio dei poteri ispirato ai valori occidentali che costituisce il risultato più significativo dell’accordo e si accompagna a una politica di non allineamento sul piano internazionale condivisa e garantita dalle grandi potenze sostenitrici.
Conflitto congelato
Vi è poi un terzo scenario. Preso atto della contrapposizione fra gli schieramenti ucraini rivali, prevale la consapevolezza dello stallo politico militare venutasi a creare nel confronto fra le parti. Una condizione che costringe il governo di Kiev - in assenza di ogni ipotesi di accordo - ad accettare un compromesso di fatto lesivo delle propri ambizioni, rinunciando al recupero della regione del Donbass, a favore delle istanze di indipendenza dei separatisti.
Una soluzione che si può definire al ribasso, rivelatrice dell’incapacità delle parti a mediare sui temi cruciali della convivenza inter-etnica e di una collocazione equidistante fra Russia e Occidente.
Promossa allo scopo di evitare una cronicizzazione della lotta armata, questa scelta si iscrive in una prassi ricorrente dello spazio post-sovietico secondo la formula del “conflitti congelati”. Una formula transitoria e quindi precaria sul modello di quanto registrato in altri casi determinati dalle rivendicazioni secessioniste che hanno dato vita a delle entità proto-statuali pseudo indipendenti legate a Mosca non riconosciute sul piano internazionale quali Transnistria, Abchasia e Ossezia del sud.
Questo ultimo scenario appare il più probabile. La Russia non arretra nel sostenere le sue pretese di influenza sulla situazione ucraina, e più in genere nello spazio post-sovietico,evitando i costi di un’annessione e della presenza di una Ucraina unita a regime democratico.
Mentre d’altra parte Washington e Bruxelles sono in grado di confermare il proprio pieno sostegno politico economico anche se finora non strategico, garantendo a un’Ucraina ridimensionata la prospettiva di un'eventuale adesione all’Unione europea, lasciando aperta l’opzione Nato.
Paolo Calzini è Adjunct Professor di Studi europei alla Johns Hopkins University Bologna Center e Senior Adviser dell'Ispi.
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L’interesse a spegnere un focolaio di violenze che rischiava di aggravare ulteriormente il clima di tensione prevalente a livello internazionale ha avuto la meglio sulle considerazioni di parte.
La rinuncia dell’uso delle armi è stata giudicata positivamente da parte occidentale, pur essendo evidente che la tregua era dovuta allo sconfinamento di forze russe in territorio ucraino. Forze in grado di riequilibrare l’andamento del conflitto a favore dei separatisti, bloccando l’azione di Kiev tesa a ristabilire con la forza il controllo sulla regione secessionista.
La Russia conferma la sua superiorità rispetto all’Occidente in un’area di prossimità giudicata vitale per la sua sicurezza. Una posizione di vantaggio alla quale le potenze occidentali, in primo luogo la Nato, non sono state in grado di opporsi, considerati i rapporti di forza prevalenti sul territorio, mobilitando le risorse necessarie per una linea di resistenza adeguata.
Repubbliche popolari del Donbass
Posto, anche se non scontato, che la tregua regga, si dovrebbe aprire la difficile fase delle trattative per arrivare a un patto fra le parti. Un accordo caldeggiato sia dalla Russia che dalle potenze occidentali che riguarda in primo luogo lo status delle neo costituite “repubbliche popolari” del Donbass rimaste sul piano del diritto internazionale sotto la giurisdizione di Kiev, ma di fatto sfuggite al suo controllo.
Un punto di rilievo cruciale perché pone in discussione la configurazione istituzionale dello stato ucraino sotto il profilo dell’integrità territoriale e della composizione multi etnica sanzionata all’atto della sua indipendenza nel 1991.
Tenuto conto del clima di ostilità alimentato da una campagna di propaganda politico ideologica esasperata da ambedue le parti - sia all’interno dell’Ucraina che fra Russia e potenze occidentali - si possono ipotizzare tre diversi esiti del processo negoziale. Le elenchiamo in ordine crescente di ipotetica probabilità.
Dopo la Crimea: ancora secessione
Una prima opzione è che le repubbliche del Donbass conseguono piena indipendenza, nella prospettiva di un eventuale, ma non scontata annessione alla Russia. Per scelta obbligata il governo di Kiev subisce un’ulteriore amputazione.
Il ridimensionamento della consistenza territoriale ucraina - dopo quella già avvenuto in Crimea - potrebbe avere contraccolpi fortemente negativi in grado di influenzare le relazioni fra la Russia e le potenze occidentali.
Si tratta di una soluzione radicale, ma allo stesso tempo chiarificatrice, che sancisce la divisione dell’Ucraina in due entità distinte destinate a essere integrate, ciascuna in forme e tempi particolari, l’una nel contesto russo e l’altra in quello europeo occidentale.
Ucraina unita
Il secondo scenario è quello secondo il quale l’unità del paese - Crimea a parte - viene confermata grazie a un accordo fra il governo di Kiev e i separatisti del Donbass sulla base di forti concessioni alle rivendicazioni di autonomia di questi ultimi.
Dal punto di vista politico si tratta di una scelta molto avanzata sotto il profilo democratico nella definizione dei rapporti fra le comunità etniche, nazionale ucraina e russa, fondata sull’adozione di una struttura federale che attribuisce ampie competenze all’entità regionali in materia culturale, linguistica, economica, riducendo i poteri delle autorità centrali.
Un riequilibrio dei poteri ispirato ai valori occidentali che costituisce il risultato più significativo dell’accordo e si accompagna a una politica di non allineamento sul piano internazionale condivisa e garantita dalle grandi potenze sostenitrici.
Conflitto congelato
Vi è poi un terzo scenario. Preso atto della contrapposizione fra gli schieramenti ucraini rivali, prevale la consapevolezza dello stallo politico militare venutasi a creare nel confronto fra le parti. Una condizione che costringe il governo di Kiev - in assenza di ogni ipotesi di accordo - ad accettare un compromesso di fatto lesivo delle propri ambizioni, rinunciando al recupero della regione del Donbass, a favore delle istanze di indipendenza dei separatisti.
Una soluzione che si può definire al ribasso, rivelatrice dell’incapacità delle parti a mediare sui temi cruciali della convivenza inter-etnica e di una collocazione equidistante fra Russia e Occidente.
Promossa allo scopo di evitare una cronicizzazione della lotta armata, questa scelta si iscrive in una prassi ricorrente dello spazio post-sovietico secondo la formula del “conflitti congelati”. Una formula transitoria e quindi precaria sul modello di quanto registrato in altri casi determinati dalle rivendicazioni secessioniste che hanno dato vita a delle entità proto-statuali pseudo indipendenti legate a Mosca non riconosciute sul piano internazionale quali Transnistria, Abchasia e Ossezia del sud.
Questo ultimo scenario appare il più probabile. La Russia non arretra nel sostenere le sue pretese di influenza sulla situazione ucraina, e più in genere nello spazio post-sovietico,evitando i costi di un’annessione e della presenza di una Ucraina unita a regime democratico.
Mentre d’altra parte Washington e Bruxelles sono in grado di confermare il proprio pieno sostegno politico economico anche se finora non strategico, garantendo a un’Ucraina ridimensionata la prospettiva di un'eventuale adesione all’Unione europea, lasciando aperta l’opzione Nato.
Paolo Calzini è Adjunct Professor di Studi europei alla Johns Hopkins University Bologna Center e Senior Adviser dell'Ispi.
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