Referendum scozzese Devolution inglese, nessuna promessa da marinaio David Ellwood 13/10/2014 |
La corsa affannosa e ritardataria dei politici di Londra verso la Scozia ha contribuito al trionfo del fronte unionista. Il Regno Unito non ha divorziato anche grazie alle promesse di concessioni fiscali e di deleghe che Londra non aveva mai pensato di fare all’inizio della campagna referendaria, quasi due anni fa.
Il fronte separatista ha alla fine raggiunto quasi tutti gli obiettivi che aveva individuato nella sua battaglia. Non ultimo, quello di aver convinto l’intera nazione a partecipare al voto. Con un’affluenza senza precedenti del 85%, nessuno ha potuto mettere in dubbio la legittimità del risultato, l’utilità della consultazione e l’urgenza delle questioni sollevate.
Ecco perché continuano le petizioni organizzate dai giornali popolari scozzesi e le manifestazioni di strada. Tutte hanno l’obiettivo di mantenere la pressione politica sui partiti locali e londinesi per onorare gli impegni di devolution espressi nella campagna referendaria.
Commissione pubblica per mantenere i patti
All’indomani del voto il premier David Cameron ha annunciato la formazione di una commissione pubblica per promuovere le azioni necessarie, mettendoci a capo il noto Lord scozzese Smith di Kelvin, tipico esponente dell’establishment britannico, uomo di affari di successo che è stato a capo di numerose istituzioni e progetti pubblici.
La commissione, che si riunirà il 14 ottobre, sarà composta dai rappresentanti di tutti i principali partiti scozzesi ai quali si sommerà qualche esperto. Smith ha ingranato bene, invitando l’elettorato a partecipare ai lavori della sua commissione, e fornendo un indirizzo di posta elettronica per facilitare le comunicazioni.
A fare da garante alla realizzazione delle promesse di devolution saranno il leader del partito liberale al governo, Nick Clegg, e il potente Ministro del tesoro, George Osborne, numero due nel governo di Westminster. Quest’ultimo ha promesso di pubblicare entro fine ottobre un documento ufficiale con le indicazioni specifiche del governo. Una bozza di proposta legislativa dovrebbe essere pronta per la fine del gennaio 2015.
Welfare inglese sotto esame
Anche se il governo di Westminster ha evitato fino all’ultimo di specificare con precisione quali poteri sarebbe disposto a cedere a Edimburgo, è chiaro che gli scozzesi vogliono ottenere qualcosa soprattutto nel campo delle politiche fiscali e di welfare.
Il Partito nazionale scozzese (Snp), grande protagonista della battagli per il ‘sì’, chiede ‘una Scozia più giusta, meno disuguale, più severa con le fonti della disuguaglianza’. In una nazione con ben noti, radicati, problemi di malessere sociale, disoccupazione e salute precaria, non c’è da stupirsi se il sistema di welfare è una priorità.
Non a caso le due zone dove questi problemi sono particolarmente sentiti - Glasgow e Dundee - sono le uniche dove il voto per il ‘sì’ è stato maggioritario. Viene osteggiata ogni forma di privatizzazione o commercializzazione dei servizi sanitari, una tendenza sempre più marcata in Inghilterra, dove il controllo del governo in questo settore è diretto.
Riforma costituzionale
Non mancano comunque quelli che si oppongono a tutta questa attenzione dedicata agli scozzesi. Diversi deputati ed opinionisti inglesi e gallesi obiettano l’idea di trattamento di favore, chiedendo di far partire un simile progetto di devolution anche nelle loro contee.
Si chiedono quale sarà il ruolo dei 59 deputati scozzesi - di cui uno solo Tory attualmente - che continueranno a sedersi nel Parlamento di Westminster. Potranno continuare a votare sui provvedimenti legislativi che riguardano solo l’Inghilterra, mentre gli altri non possono votare sulle leggi della Scozia? Come colmare le lacune nella costituzione del Regno - un mescolanza spesso contradditoria di elementi scritti e non scritti ereditata dalla storia - per formalizzare e regolare questa nuova situazione?
Il leader laburista Ed Miliband ha proposto la convocazione di un’assemblea costituente qualora il suo partito vincesse le prossime elezioni generali previste per la primavera 2015. Quello che sembra ceto è che sembra esclusa qualsiasi forma di federalismo, se non altro perché un membro dell’eventuale federazione rappresenterebbe l’84% della popolazione totale.
Lo scenario politico inglese è insolitamente movimentato, costretto suo malgrado a muoversi su terreni non familiari, quelli della modernizzazione della più vecchia democrazia parlamentare del mondo. Fino al momento del referendum scozzese però, ogni proposta di riforma costituzionale è stata bocciata anche a causa di un forte astensionismo.
Il referendum scozzese ha però costretto la classe politica a muoversi con determinazione in un nuovo quadro. Basteranno le sue ben noti doti di pragmatismo e spregiudicatezza a neutralizzare lo spettro della dissoluzione del Regno Unito sorto dai territori a nord del vallum di Adriano ?
David Ellwood è Senior Adjunct Professor, Johns Hopkins University, SAIS Europe, Bologna.
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Il fronte separatista ha alla fine raggiunto quasi tutti gli obiettivi che aveva individuato nella sua battaglia. Non ultimo, quello di aver convinto l’intera nazione a partecipare al voto. Con un’affluenza senza precedenti del 85%, nessuno ha potuto mettere in dubbio la legittimità del risultato, l’utilità della consultazione e l’urgenza delle questioni sollevate.
Ecco perché continuano le petizioni organizzate dai giornali popolari scozzesi e le manifestazioni di strada. Tutte hanno l’obiettivo di mantenere la pressione politica sui partiti locali e londinesi per onorare gli impegni di devolution espressi nella campagna referendaria.
Commissione pubblica per mantenere i patti
All’indomani del voto il premier David Cameron ha annunciato la formazione di una commissione pubblica per promuovere le azioni necessarie, mettendoci a capo il noto Lord scozzese Smith di Kelvin, tipico esponente dell’establishment britannico, uomo di affari di successo che è stato a capo di numerose istituzioni e progetti pubblici.
La commissione, che si riunirà il 14 ottobre, sarà composta dai rappresentanti di tutti i principali partiti scozzesi ai quali si sommerà qualche esperto. Smith ha ingranato bene, invitando l’elettorato a partecipare ai lavori della sua commissione, e fornendo un indirizzo di posta elettronica per facilitare le comunicazioni.
A fare da garante alla realizzazione delle promesse di devolution saranno il leader del partito liberale al governo, Nick Clegg, e il potente Ministro del tesoro, George Osborne, numero due nel governo di Westminster. Quest’ultimo ha promesso di pubblicare entro fine ottobre un documento ufficiale con le indicazioni specifiche del governo. Una bozza di proposta legislativa dovrebbe essere pronta per la fine del gennaio 2015.
Welfare inglese sotto esame
Anche se il governo di Westminster ha evitato fino all’ultimo di specificare con precisione quali poteri sarebbe disposto a cedere a Edimburgo, è chiaro che gli scozzesi vogliono ottenere qualcosa soprattutto nel campo delle politiche fiscali e di welfare.
Il Partito nazionale scozzese (Snp), grande protagonista della battagli per il ‘sì’, chiede ‘una Scozia più giusta, meno disuguale, più severa con le fonti della disuguaglianza’. In una nazione con ben noti, radicati, problemi di malessere sociale, disoccupazione e salute precaria, non c’è da stupirsi se il sistema di welfare è una priorità.
Non a caso le due zone dove questi problemi sono particolarmente sentiti - Glasgow e Dundee - sono le uniche dove il voto per il ‘sì’ è stato maggioritario. Viene osteggiata ogni forma di privatizzazione o commercializzazione dei servizi sanitari, una tendenza sempre più marcata in Inghilterra, dove il controllo del governo in questo settore è diretto.
Riforma costituzionale
Non mancano comunque quelli che si oppongono a tutta questa attenzione dedicata agli scozzesi. Diversi deputati ed opinionisti inglesi e gallesi obiettano l’idea di trattamento di favore, chiedendo di far partire un simile progetto di devolution anche nelle loro contee.
Si chiedono quale sarà il ruolo dei 59 deputati scozzesi - di cui uno solo Tory attualmente - che continueranno a sedersi nel Parlamento di Westminster. Potranno continuare a votare sui provvedimenti legislativi che riguardano solo l’Inghilterra, mentre gli altri non possono votare sulle leggi della Scozia? Come colmare le lacune nella costituzione del Regno - un mescolanza spesso contradditoria di elementi scritti e non scritti ereditata dalla storia - per formalizzare e regolare questa nuova situazione?
Il leader laburista Ed Miliband ha proposto la convocazione di un’assemblea costituente qualora il suo partito vincesse le prossime elezioni generali previste per la primavera 2015. Quello che sembra ceto è che sembra esclusa qualsiasi forma di federalismo, se non altro perché un membro dell’eventuale federazione rappresenterebbe l’84% della popolazione totale.
Lo scenario politico inglese è insolitamente movimentato, costretto suo malgrado a muoversi su terreni non familiari, quelli della modernizzazione della più vecchia democrazia parlamentare del mondo. Fino al momento del referendum scozzese però, ogni proposta di riforma costituzionale è stata bocciata anche a causa di un forte astensionismo.
Il referendum scozzese ha però costretto la classe politica a muoversi con determinazione in un nuovo quadro. Basteranno le sue ben noti doti di pragmatismo e spregiudicatezza a neutralizzare lo spettro della dissoluzione del Regno Unito sorto dai territori a nord del vallum di Adriano ?
David Ellwood è Senior Adjunct Professor, Johns Hopkins University, SAIS Europe, Bologna.
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