Dopo lunghi anni di dibattito e alcune fibrillazioni dell’ultima ora, Unione europea (Ue) e Canada hanno stabilito i termini di un’audace intesa commerciale, siglata domenica durante un vertice bilaterale a Bruxelles.
Nelle parole dal presidente della Commissione Jean-Claude Juncker nello stato dell’Unione dello scorso settembre, il Ceta - Comprehensive Economic and Trade Agreement - è il miglior trattato mai stipulato dall’Europa. In un momento di ‘crisi esistenziale’ del più importante esperimento politico ed economico del Vecchio Continente, la capacità negoziale dell’Unione, foriera di crescita economica duratura, rimane essenziale.
Eppure, la ratifica a livello europeo del Ceta - necessaria per un’applicazione provvisoria del trattato - ha incontrato forti resistenze ufficiali. Il parlamento vallone, rappresentante circa 3,5 milioni di cittadini, ha posto il veto alla firma del trattato da parte del governo belga. Solo dopo un’ultima, logorante trattativa interna si è trovata l’unanimità in vista del summit euro-canadese riprogrammato al 30 ottobre.
Alle origini del Trattato Il trattato nasce dall’attuale situazione di paralisi in cui versa la strategia multilaterale del commercio internazionale perseguita fin dal secondo dopoguerra. Dopo lo stallo decennale del Doha round iniziato nel 2001, le grandi potenze commerciali planetarie hanno rinunciato a trovare accordi significativi tramite l’Organizzazione mondiale del commercio, optando per la stipula di accordi commerciali preferenziali.
A questa esigenza rispondono accordi transregionali quali il Partenariato Trans-Pacifico (Tpp), siglato tra stati nordamericani, sudamericani, asiatici e dell'Oceania; il Partenariato Transatlantico per commercio e investimenti (Ttip), in complessa negoziazione tra Stati Uniti e Ue; e il Ceta, per l’appunto. Il testo di quest’ultimo è stato pubblicato nel 2014, dopo sei anni di negoziato. La traduzione in tutte le lingue ufficiali dell’Ue e gli ultimi affinamenti legali hanno richiesto altri due anni.
Il Ceta prevede una profonda liberalizzazione nella circolazione di merci, servizi, persone e capitali. I dazi doganali sulle merci saranno aboliti dopo un periodo di transizione da tre a sette anni, mentre un dialogo legislativo rafforzato attenuerà le barriere non tariffarie.
Dalla liberalizzazione sono esclusi alcuni prodotti agroalimentari, sui quali Canada e Ue vogliono mantenere un riguardo ulteriore. In casi specifici sono previste quote d’importazione e meccanismi di compensazione per i produttori locali. L’accordo prevede inoltre l’incorporazione di 173 indicazioni geografiche già protette a livello europeo, tra cui 41 italiane.
Le aziende canadesi ed europee potranno accedere ai rispettivi appalti pubblici e offrire mutualmente i loro servizi finanziari. Brevetti e proprietà intellettuale riceveranno protezione comune; gli ordini professionali potranno stringere accordi per un riconoscimento automatico in entrambi gli ordinamenti, favorendo la circolazione di lavoratori qualificati.
Il capitolo sugli investimenti include clausole di eguale trattamento e l’istituzione di un apposito tribunale a risoluzione delle controversie tra investitori e stato.
Nell’ultimo riesame del testo si è riusciti ad affinare uno strumento commercialmente necessario ma passibile di utilizzi erronei. Il sistema designato è unico nel suo genere: un tribunale permanente, con possibilità di appello, composto da giudici designati da Ue e Canada tenuti a osservare un rigido codice di condotta, con procedure trasparenti e udienze pubbliche.
Infine, in linea con le recenti riflessioni di public policy sostenute dai due blocchi, nel trattato sono incluse clausole di sviluppo sostenibile, che proibiscono l’abbassamento delle soglie attuali di protezione ambientale per favorire nuovi investimenti o aumentare il commercio.
Fra Ceta e Ttip L’approvazione del trattato, malgrado l’accoglienza inizialmente tributata al mandato negoziale, ha incontrato difficoltà crescenti. La diffusa ostilità europea al Ttip si è riversata sul Ceta, nonostante le grandi differenze tra gli accordi: a oggi, Stati Uniti e Ue sono fermi infatti sulle trattative di un testo non accessibile al pubblico.
Preoccupazioni per le divergenze tra la normativa europea e quella statunitense, unite a un ricorrente anti americanismo europeo, hanno creato forti movimenti popolari attivi sia nelle piazze sia sui social medi e per i quali Ceta e Ttip sarebbero due facce della stessa medaglia. L’opposizione popolare al Ceta è culminata con le oltre 125mila firme che hanno richiesto l’intervento del Corte costituzionale tedesca. I giudici federali, nel settembre scorso, hanno respinto l’eccezione d’incostituzionalità sollevata rispetto al trattato, non chiudendo tuttavia la porta a possibili cambi di passo in futuro.
Dall’altro lato, gli stati membri dell’Unione hanno mostrato un atteggiamento ambivalente, ricercando una difficile sintesi tra esigenze di politica interna e adesione al progetto europeo. Il vice cancelliere e ministro dell‘Economia tedesco Sigmar Gabriel, esponente di spicco dei socialdemocratici nella Große Koalition di frau Merkel, ha aderito con entusiasmo al Ceta, dopo aver dichiarato in televisione il fallimento dei negoziati del Ttip.
Il governo francese ha mantenuto una posizione equivalente. La Gran Bretagna studia il trattato come una possibile base per le trattative post-Brexit. L’Italia - tramite il ministro dello sviluppo economico Carlo Calenda, che già aveva fatto della promozione commerciale il fulcro del suo breve mandato a Bruxelles come rappresentante permanente presso l’Ue - si è distinta per il suo appoggio ufficiale al Ceta e al Ttip.
Un accordo di natura mista Nonostante l’apparente comunanza d’intenti, gli stati membri - con la notevole defezione ufficiale dell’Italia - hanno diplomaticamente spinto affinché la Commissione europea considerasse il trattato di natura mista (e quindi di competenza condivisa), e non esclusiva, come pure prescritto dal Trattato di Lisbona.
Bruxelles ha acconsentito: il trattato, che nel frattempo sarà applicato provvisoriamente, avrà piena validità solo dopo la ratifica da parte di tutti i parlamenti nazionali (e regionali, ove competenti) che compongono l’Unione. Dopo l’affairevallone, si può immaginare facilmente la tortuosità del percorso di approvazione.
I problemi relativi Ceta non sono altro che irrisolti problemi strutturali nella costruzione europea lungo faglie politiche cruciali, fra politica estera e interna, centralizzazione e regionalismo, tecnocrazia e populismo. Un divario che si allargherebbe ulteriormente se dovesse venir meno la credibilità negoziale dell’Unione.
Eugenio Bortolusso è laureato in relazioni internazionali e si occupa di rapporti transatlantici, sicurezza e commercio internazionale.
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