Nel suo discorso in Parlamento in occasione del voto d’investitura che, dopo 10 mesi di paralisi, ha confermato Mariano Rajoy alla guida dell’esecutivo spagnolo, Pablo Iglesias si è autoproclamato leader della vera opposizione, definendo Podemos unica futura alternativa di governo al Partito popolare, Pp.
Un ruolo che il Partito socialista, Psoe, nonostante i 14 seggi (ma appena 400mila voti) in più, sarebbe secondo Iglesias inabilitato a svolgere, alla luce dell’“abstencionazo” del 29 ottobre. Ma è veramente riuscito Podemos a sostituirsi al Psoe e ad occuparne, in poco più di due anni, lo spazio elettorale e la funzione politica?
Gli “indignados” e le “élites” Per quanto sia da ritenersi una conseguenza, più che la causa, della crisi dei partiti tradizionali, è indubbio che Podemos abbia rotto il sistema bipartitico spagnolo (aprendo la strada anche a Ciudadanos).
All’inizio Podemos è stato soprattutto uno “stato d’animo”. Un gruppo di politologi che hanno saputo parlare alla pancia della gente, capitalizzando il malessere causato dalla crisi economica e dalla sfiducia verso una classe politica ormai considerata vecchia e corrotta (“no nos representan”).
In questo sta l’elemento populista di Podemos, nell’aver diviso la società in “noi” (gli “indignados”) e “loro” (le “élites”), costruendo un progetto politico attorno alla contrapposizione “gente-casta” e presentandosi come unici portavoce della prima.
Ne consegue che Podemos si è sviluppato con una logica “anti” - anti-sistema, anti-oligarchie, anti-austerità, anti-sfratti - ed ha avuto continuamente bisogno dell’individuazione di un nemico - Mariano Rajoy, Bruxelles, la Cancelliera Merkel, l’Ibex 35.
Ciò potrebbe nel medio termine rappresentare anche il suo principale limite, qualora Podemos non riuscisse a sviluppare anche un discorso positivo convincente: perché entrando nelle istituzioni si rischia che, improvvisamente, si possa essere visti come “loro” e non più come “noi”.
Il movimento erede del 15M è dunque destinato a rimanere un fenomeno legato ad un determinato momento storico-politico-sociale o riuscirà a consolidarsi quale nuovo referente della sinistra spagnola?
La risposta dipenderà dall’effetto combinato di due fattori: 1) che cosa Podemos vuole fare da grande, ora che ha “portato la gente nelle Istituzioni”; 2) come reagirà il Psoe, se sarà capace di ricompattarsi attorno ad un nuovo progetto che lo metta al riparo dal rischio di “pasokizzazione”.
Il dilemma tra “calle” e “instituciones” Sul primo punto, occorre ricordare che Podemos è, sin dall’inizio, un fenomeno con più anime e tensioni interne: tra partecipazione orizzontale e struttura di controllo verticale, tra radicalismo e moderazione, tra ideologia e trasversalità. “Il cielo non si prende per consenso, ma per assalto”, aveva dichiarato Iglesias in occasione dell’assemblea costitutiva di Vistalegre, citando Karl Marx e giustificando in questo modo la creazione di una “macchina elettorale” votata all’obiettivo di breve termine: l’appuntamento con le urne.
Ora che la prima tappa si è conclusa però, l’anima radicale e quella moderata hanno ripreso a fronteggiarsi per determinare il futuro del progetto politico. A fronte di un settore interno, guidato dal n. 2 del partito Iñigo Errejón, secondo cui per completare l’occupazione dello spazio socialista sono necessari un discorso più trasversale e misurato e un ruolo più istituzionale, Iglesias ritiene che il Parlamento sia uno scenario che non favorisce Podemos e, pertanto, non deve diventare il centro della sua azione politica.
Nella sua visione, Podemos deve continuare ad essere un agente “anti-sistema” che “costruisce contro poteri attraverso i movimenti sociali”, recuperando al contempo un più forte ancoraggio ideologico a sinistra.
Nella ricerca di questo equilibrio tra “calle” e “instituciones” - che echeggia il noto dilemma tra “partito di lotta e di governo” - sta la chiave del futuro di Podemos: se prevarrà unicamente la prima componente, il rischio è che torni ad essere un progetto fortemente connotato ideologicamente, ma di minoranza; se prevarrà unicamente la seconda, Podemos potrebbe perdere quel vantaggio che gli viene dall’incarnare un nuovo modo di fare politica e di gestire il consenso.
Podemos competizione con il Psoe all’opposizione La crisi del Psoe sembrerebbe facilitare i compiti a Podemos. Dal 2008 il Partito socialista ha perso sei milioni di elettori, conservando un voto prevalentemente rurale, concentrato nelle fasce d’età più alta e nel Sud del Paese (dall’Andalusia provengono il 25% dei voti e il 40% della militanza).
Spaccatosi sull’astensione a Rajoy e ancora senza guida dopo la defenestrazione del leader Pedro Sanchez, il Psoe dovrà avviare un profondo dibattito interno dal quale possano emergere un nuovo progetto, capace di sedurre giovani e classi urbane, e una nuova leadership.
Al contempo, i socialisti cercheranno di rivendicare in Parlamento il proprio ruolo di primo partito dell’opposizione, tentando di sfruttare il vantaggio che gli viene dalla maggiore conoscenza dei meccanismi parlamentari, ma con il rischio di vedersi costretti a “sovrattuare” per non lasciare protagonismo a Podemos.
In ultima analisi, tuttavia, il fatto che il Psoe sia al governo - da solo o come socio minore - in 10 delle 17 Comunità Autonome rende opportuno per i socialisti ricercare la collaborazione con il Governo centrale su diversi temi.
Inoltre il Psoe non ha interesse a una legislatura corta (Rajoy ha già “minacciato” di sciogliere le Camere, qualora impossibilitato a governare), poiché ha bisogno di tempo per riorganizzarsi prima di affrontare nuove elezioni. Ciò pone i socialisti in una posizione delicata, perché in un Paese in cui manca ancora una cultura politica del patto e del compromesso (parola per cui non esiste, in spagnolo, traduzione) qualunque collaborazione con il Pp potrebbe comportare un costo elettorale.
In attesa dei rispettivi Congressi che, nel 2017, ne ridefiniranno strategia e progetto, l’esercizio quotidiano dell’opposizione plasmerà la relazione tra i due partiti che ambiscono all’egemonia della sinistra spagnola, ma che forse semplicemente dovranno imparare a convivere.
Le avvisaglie non sono delle migliori: nei primissimi giorni dall’avvio della legislatura Podemos è parso ossessionato dall’esigenza di differenziarsi - anche nei gesti - dagli altri partiti, mentre il Psoe è sembrato erratico, in assenza di una chiara linea di comando. La partita a sinistra è dunque ancora aperta. Nel frattempo Rajoy governa.
Elisabetta Holsztejn Tarczewski, diplomatica. Le opinioni sono espresse a titolo personale e non sono riconducibili al Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale.
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