Da tempo ormai l’Unione europea, Ue, è in cerca del mix appropriato di incentivi positivi e negativi al fine di incoraggiare i Paesi terzi a collaborare nella prevenzione e gestione degli ingenti flussi migratori (misti) che stanno attraversando l’Europa.
Se commercio e aiuto pubblico allo sviluppo rappresentano le classiche leve politiche impiegate a tal fine, più di recente anche la politica europea dei visti sta assumendo, in maniera sempre più marcata, i caratteri della “condizionalità”.
Visti Ue, clausola di salvaguardia Tale tendenza è evidente soprattutto in relazione ai processi di liberalizzazione dei visti per i Paesi terzi. A seguito degli sviluppi politici legati alla recente crisi migratoria, infatti, tra gli Stati membri si è diffusa la convinzione che tali processi debbano essere accompagnati da una sorta di clausola di salvaguardia che consenta ai membri dell’Ue: a) di far fronte ad aumenti sostanziali dei flussi migratori (sicurezza interna); b) di “premiare” i Paesi terzi che collaborano con l’Ue nelle politiche di riammissione (azione esterna).
Un primo tentativo di introdurre tale clausola risale al 2013, quando, a seguito della decisione di liberalizzare i visti per i Paesi dei Balcani occidentali, Consiglio e Parlamento decidono di modificare il regolamento 539/2001 che contiene l’elenco dei Paesi terzi i cui cittadini devono essere in possesso del visto per entrare in territorio europeo e di quei Paesi i cui cittadini sono esenti da tale obbligo, per soggiorni di breve durata (ovvero non superiori a 90 giorni su un periodo di 180 giorni).
La modifica introduce un meccanismo di sospensione temporanea dell’esenzione dall’obbligo del visto per i cittadini di un Paese terzo in specifiche situazioni di emergenza, quali quelle determinate da un aumento improvviso e sostanziale della migrazione irregolare, delle domande di asilo infondate o degli esiti negativi dati alle domande di riammissione presentate da uno Stato membro al Paese terzo in questione per i propri cittadini (regolamento 1289/2013).
Ad oggi, tuttavia, tale meccanismo non è mai stato utilizzato, a causa dell’eccessiva (a detta di alcuni Stati) rigidità e durata delle procedure di attuazione. A fronte di tali difficoltà, molti Stati hanno manifestato l’intenzione di considerare il rafforzamento del meccanismo di sospensione come prerequisito essenziale per approvare qualsiasi futuro processo di liberalizzazione.
Nuovo meccanismo di sospensione Pertanto, nel maggio 2016, a seguito della conclusione positiva dei vari dialoghi sulla liberalizzazione dei visti con Georgia, Ucraina, Kosovo e Turchia, la Commissione ha deciso di presentare un’ulteriore proposta di modifica del regolamento 539/2001, al fine di riesaminare il meccanismo di sospensione e preservare, in questo modo, l’integrità dei processi di liberalizzazione in corso.
Rispetto alla situazione attuale, le novità riguardano, in particolare, tre ambiti. Innanzitutto, sono stati abbreviati termini e periodi di riferimento, consentendo così una procedura di attuazione più rapida e flessibile.
In secondo luogo, alla Commissione è data la possibilità di attivare il meccanismo di sospensione di propria iniziativa (e non più solo su notifica di uno Stato membro), soprattutto se è in possesso di informazioni concrete e affidabili sulla mancata cooperazione in materia di riammissione da parte di un Paese terzo che abbia sottoscritto un accordo di riammissione con l’Ue.
Infine, sono stati estesi i possibili motivi di sospensione: da un lato, infatti, il meccanismo può essere usato non più soltanto in “situazioni di emergenza”, ma, più in generale, quando la liberalizzazione dei visti comporta un serio aumento della migrazione irregolare, delle domande di asilo infondate o degli esiti negativi dati alle domande di riammissione; dall’altro, è stato incluso, tra i motivi di sospensione, l’aumento del numero di esiti negativi dati alle domande di riammissione relative non più solo ai propri cittadini, ma anche ai cittadini di altri Paesi terzi che sono transitati nel Paese terzo in questione, qualora esista uno specifico accordo di riammissione concluso con l’Ue o un suo Stato membro (è fin troppo evidente qui il riferimento all’accordo Ue-Turchia del novembre 2015).
Liberalizzazione dei visti e diritti umani Il principale aspetto di criticità della riforma risiede nel fatto che la Commissione, nell’ampliare i motivi di sospensione, non si è spinta al punto tale da includere anche una valutazione della situazione dei diritti umani e delle libertà fondamentali nei Paesi terzi (tema maggiormente dibattuto proprio in relazione all’accordo Ue-Turchia).
Eppure, si tratta di un criterio che è già normalmente utilizzato, nell’ambito dei dialoghi sulla liberalizzazione dei visti, per valutare l'adeguatezza di un’esenzione dal visto, al pari di questioni legate a sicurezza interna degli Stati membri, ordine pubblico e cooperazione in materia di riammissione. Non è chiaro, dunque, il motivo per cui tali requisiti non concorrano tutti a determinare, in egual misura, le circostanze di un’eventuale sospensione dell’esenzione dall’obbligo del visto.
Dallo scorso mese di maggio, la proposta di riforma è al vaglio dei due co-legislatori europei. Mentre il Consiglio ha sostanzialmente accolto il testo della Commissione europea, la Commissione per le libertà civili, la giustizia e gli affari interni del Parlamento, che ha esaminato il testo agli inizi di luglio, ha adottato numerosi emendamenti e proposte di modifica, al fine di introdurre dei meccanismi per assicurare che i diritti umani continuino a essere rispettati nei Paesi che beneficiano di un’esenzione dal visto.
Sarà l’esito dei negoziati inter-istituzionali a determinare se il nuovo meccanismo di sospensione, oltre ad essere più rapido e flessibile, sarà accompagnato anche da un insieme di garanzie e misure volte a tutelare i diritti umani, al fine di garantire una maggiore coerenza tra i principi dell’azione esterna e la governance europea dei visti.
Andrea Cofelice è ricercatore presso il Centro Studi sul Federalismo di Torino e co-editore dell'Annuario italiano dei diritti umani.
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