Per 70 anni gli europei hanno guardato con curiosità, interesse e qualche volte apprensione alle elezioni presidenziali Usa. Raramente hanno però avuto fondati motivi di pensare che l’esito del voto potesse risultare in una radicale trasformazione del rapporto con l’alleato d’oltreoceano. Quest’anno la situazione è ben diversa.
L’Europa agli occhi della Clinton: un pilastro dell’ordine liberale Hillary Clinton è persuasa che la sicurezza e la prosperità dell’America derivino dalla sua capacità di mantenere un’economia aperta e fondata sull’innovazione, garantire la libertà di navigazione, rassicurare gli alleati, contenere i rivali, facilitare risposte coordinate a sfide transnazionali, nonché promuovere i valori e gli ideali americani come democrazia e liberalismo.
Agli occhi di Clinton, la leadership della sua nazione è necessaria al perseguimento di questi obiettivi e le alleanze lo sono al mantenimento della leadership.
Quando guarda all’Europa, Clinton vede un blocco di Paesi stabili, affini agli Stati Uniti sul piano politico-culturale e legati a Washington da vincoli di amicizia e dipendenza. La Nato è un fondamentale strumento di controllo e pressione su una Russia sempre più imprevedibile, ostile e aggressiva, e le innumerevoli basi e stazioni militari statunitensi sparse per l’Europa sono essenziali alla proiezione in Africa e Medio Oriente.
L’Ue è anche il principale partner economico degli Usa ed è quindi probabile che Clinton, nonostante il suo recente e tutto opportunistico scetticismo nei confronti del libero commercio, sostenga il negoziato sul Partenariato transatlantico per il commercio e l’investimento, Ttip.
Più in generale, l’Europa rappresenta per Clinton l’altra metà dell’Occidente e un pilastro dell’ordine liberale fondato nella seconda metà del XX secolo. Senza Europa, gli Usa non solo si priverebbero di alleati ricchi e tecnologicamente avanzati, ma anche di partner essenziali nel gestire questioni di governance globale come il riscaldamento climatico, le migrazioni, l’economia, e nel sostenere il primato dei diritti umani e della democrazia come quadro di riferimento normativo globale.
Trump, accordi più che alleanze Trump dà voce a una percezione degli interessi statunitensi completamente diversa. Per come la vedono lui e i suoi sostenitori, la globalizzazione e il libero commercio hanno favorito i Paesi concorrenti dell’America, in primo luogo la Cina, e le alleanze Usa in Europa e Asia sono un inutile peso sulle finanze federali che non portano vantaggi.
Per Trump le relazioni internazionali ruotano attorno alla forza, militare ed economica, e pertanto ad avere reale efficacia non sono le alleanze, i regimi o le istituzioni multilaterali, bensì gli accordi – i deals, per dirla come lui - tra le potenze che contano. Dal momento che gli Stati Uniti sono la maggiore tra queste potenze, Trump ritiene che dovrebbero sempre essere in grado di ottenere il deal più vantaggioso.
Quando guarda all’Europa, quindi, Trump vede un insieme di Paesi che, in misura variabile, si approfittano della protezione offerta dagli Usa. Trump considera la Nato un’alleanza superata dai tempi e un potenziale fattore di complicazione nelle relazioni tra il suo Paese e la Russia, con cui è persuaso sia necessario raggiungere accordi sulla lotta al terrorismo islamico.
Trump non ritiene che gli Stati Uniti abbiano alcun interesse in Europa orientale e forse sarebbe disposto a dare a Mosca mano libera nello spazio ex sovietico in cambio di cooperazione sul fronte mediorientale. Anche se la possibilità che ritiri gli Stati Uniti dal trattato Nato è remota, è improbabile che investa grandi energie nel rinnovamento dell’alleanza.
Trump non ha alcun interesse a continuare a negoziare il Ttip, né ritiene sia importante per Washington avere un partner nell’Ue - al punto che si è detto favorevole alla Brexit, in netta contrapposizione a Obama, Clinton e buona parte dell’establishment politico, economico e militare statunitense.
Del resto, Trump non crede che si possa dare una governance globale di problemi come il riscaldamento climatico (al cui contrasto in ogni caso si oppone), i flussi migratori (ogni stato dovrebbe chiudere le frontiere), o l’economia globale (ognuno deve pensare a proteggere i suoi mercati). Come detto, per lui le relazioni internazionali si riducono a un’equazione di forza, e pertanto gli Stati Uniti avrebbero in un’Europa unita soltanto un rivale in più.
Relazione transatlantica o rete di rapporti clientelari In conclusione, con Clinton continueremmo ad avere la solita, noiosa e prevedibile relazione transatlantica. Tensioni occasionali e solite frustrazioni per unilateralismi statunitensi e inefficienze europee non ne muterebbero il carattere di partnership tra leader e alleati. Trump pensa invece a una rete di rapporti clientelari in cui l’America offre favori e protezione in cambio di ritorni diretti e non in nome di beni comuni come stabilità regionale e ordine internazionale.
L’ultima volta che gli elettori Usa scelsero tra visioni tanto diverse del ruolo degli Stati Uniti nel mondo fu nel 1940, quando Franklin Delano Roosevelt prevalse sulla posizione neutralista del suo oppositore e fornì enormi aiuti al Regno Unito in guerra con la Germania nazista. Anche se la situazione è tutt’altra, oggi come allora l’Europa sarà la prima subire le conseguenze del risultato di Usa2016.
Riccardo Alcaro è responsabile di ricerca presso lo IAI.
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