Secondo fonti di stampa tedesche, il Ministro dell’Economia di Berlino Sigmar Gabriel, socialdemocratico, avrebbe bloccato la vendita all’Arabia Saudita di ben 800 carri armati Leopard 2, prodotti dalla Krauss-Maffei Wegman. Adducendo motivazioni di natura essenzialmente politica, l’SPD, che partecipa alla coalizione di governo insieme alla CDU di Angela Merkel, avrebbe infatti espresso da tempo una serie di riserve, incentrate sul timore di un ritorno d’immagine negativo laddove, ad esempio, carri armati tedeschi venissero utilizzati per operazioni di repressione interna, sulla falsariga di quanto successo in Bahrein nel 2013.
I sauditi sarebbero stati interessati, in particolare, alla versione A7+, mostrata all’Eurosatory 2010. Oltre ad una serie di interventi che hanno interessato essenzialmente gli apparati di guida e di propulsione, questa versione è ottimizzata per le operazioni in ambiente urbano, essendo dotata di nuove protezioni antimina, di una weapon station a controllo remoto e di una corazzatura reattiva (opzionale).
Gli upgrade suscettibili di fare la differenza, però, sono altri. Uno è il nuovo cannone Rheinmetall L55 da 120mm, capace di sparare proiettili a detonazione ritardata, ideali per l’eliminazione di bersagli posti all’interno di fabbricati. L’altro consiste nella possibilità di installare una vasta gamma di accessori per le operazioni del genio militare, sulla scorta delle buone pratiche israeliane, statunitensi e canadesi, sviluppate rispettivamente nei teatri operativi della Striscia di Gaza, dell’Iraq e dell’Afghanistan.
Nonostante la proverbiale cautela tedesca nell’esportazione di armamenti, le Forze Armate saudite si sarebbero fatte avanti con le autorità di Berlino sin dal 2011. La commessa saudita avrebbe generato un importante ritorno finanziario ed occupazionale, in virtù, secondo fonti di stampa, di un valore di ben 18 miliardi di Euro. La decisione tedesca potrebbe quindi aprire inaspettate finestre di opportunità per la concorrenza internazionale e, in particolare, per paesi come Francia, Turchia, Stati Uniti e Corea del Sud.
Fonte CESI Roma
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