Dal nostro corrispondente in Ucraina, Eliseo Bertolasi
Geopolitica 110. ISAG
Da giorni sto viaggiando nell’Ucraina Sud-orientale: Lugansk, Donetzk, Slavjansk, Kharkov.. L’intera regione si sta letteralmente sollevando contro il potere di Kiev. Questa reazione era ampiamente prevedibile: lo scetticismo e l’inquietudine che la popolazione filo-russa o russa dei territori sud-orientali dell’Ucraina aveva iniziato a manifestare durante gli eventi di Euromaidan, si stanno ora trasformando in sollevazione popolare in opposizione diretta a essi. Difficile immaginarsi altro, con l’arrivo al potere, a Kiev, di una forza politica palesamente antirussa, e che nemmeno si preoccupa di mascherare la sua russofobia: dalla discriminazione della lingua russa all’oscuramento dei canali russi, fino al blocco del transito dei maschi adulti russi alla frontiera (considerando che la maggioranza delle famiglie della regione ha parenti al di là del confine). La gente comune, meno interessata alle questioni geopolitiche, pur importanti, del cambio di potere a Kiev, è molto sensibile invece a questi provvedimenti che intaccano direttamente la sua vita.
L’attuale governo di Kiev, salito al potere con un atto di forza e non attraverso libere elezioni, ora non vuole concedere alla popolazione delle regioni orientali del Paese quel diritto a protestare che, invece, ha ampiamente rivendicato e preteso per sé stesso (anche con l’ampio sostegno da parte di politici europei e nordamericani), e gli ha permesso poi la presa del potere.
La popolazione del Donbass è famosa per la sua operosità e per la dedizione al lavoro: nella regione di Donetzk ci sono molte fabbriche e molte miniere di carbone. Le persone in piazza mi dicono che vengono a protestare nei loro momenti liberi, in base ai turni di lavoro. Si stanno rendendo conto che, qualora il paese dovesse far parte dell’UE, verrebbero schiacciati da una crisi economica di proporzioni epocali: chiusura delle fabbriche, privatizzazioni…
Nei loro slogan urlano: “No alla UE, no alla sottomissione agli Stati Uniti, no alla Nato”. Non passa inosservato quanto il nuovo governo di Kiev sia ormai ampiamente succube e legato ai “consigli” di Bruxelles e di Washington.
La popolazione locale non ci sta. Non è assolutamete d’accordo nel dover tranciare il suo rapporto con la Russia; un rapporto non solo storico-cultrale, ma soprattutto identitario. Non possono accettare il fatto che, qualora il Paese aderisca alla Nato (passaggio scontato e già promesso), l’Ucraina arrivi ad ospitare basi militari nordamericane con l’eventuale possibilità di schierare la propria potenza bellica contro la vicina e fraterna Russia, dove vivono tanti loro parenti.
La popolazione locale non ci sta. Non è assolutamete d’accordo nel dover tranciare il suo rapporto con la Russia; un rapporto non solo storico-cultrale, ma soprattutto identitario. Non possono accettare il fatto che, qualora il Paese aderisca alla Nato (passaggio scontato e già promesso), l’Ucraina arrivi ad ospitare basi militari nordamericane con l’eventuale possibilità di schierare la propria potenza bellica contro la vicina e fraterna Russia, dove vivono tanti loro parenti.
Sulle barricate innalzate intorno ai palazzi del governo di Lugansk, di Donetzk, di Slavjansk ecc., oltre alle bandiere della regione, alle bandiere rosse con la falce e martello, sventolano anche tante bandiere della Russia; allo stesso modo, gli slogan sono tutti a favore della Russia. Le richieste vanno dal desiderio di autonomia delle stesse regioni fino alla loro adesione alla Russia.
Nonostante sui media occidentali si continui con insistenza a criticare la Russia, che viene descritta come una minaccia e come un Paese aggressore, è sufficiente, invece, fare un viaggio nelle regioni Sud-orientali dell’Ucraina per constatare che la realtà sul posto è ben diversa. La Russia non viene affatto percepita come una minaccia, ma come una salvezza. Sempre sui media occidentali, si parla d’ingerenza della Russia negli affari interni dell’Ucraina. Tutti ricordiamo l’assidua presenza in Euromaidan di politici europei e nordamericani per surriscaldare la folla e per confermare il loro sostegno alla rivolta. Qui, tra questi manifestanti dell’Ucraina Sud-orientale, fino a prova contraria, non si è visto nessun politico russo.
I manifestanti portano sugli abiti il nastrino di San Giorgio dai colori nero e arancione: il simbolo del Giorno della Vittoria nella Grande Guerra Patriottica. Dicono che il fascismo non è passato e non passerà nemmeno ora. In altre parole: il “fascismo” delle varie formazioni politiche che hanno preso il potere a Kiev qui, nel Donbass, e in tutta l’Ucraina Sud-orientale non passerà.
Mi trovo ora nella cittadina di Slavjansk, l’epicentro di questa rivolta, dove, nei giorni scorsi, in periferia ci sono stati degli scontri con le forze governative che hanno determinato le prime vittime. A Slavjansk la popolazione filo-russa sta presidiando “militarmente” il municipio e un tratto della via centrale del paese; anche le strade che portano verso la città sono presidiate da posti di blocco, sui quali sventolano le bandiere russe. La città è pronta a difendere ad oltranza e con la forza le ragioni della sua protesta.
Il potere di Kiev chiama questi manifestanti “terroristi”; non a caso, per reprimerli parla, da settimane, di un’imminente massiccia operazione anti-terrorismo; loro, però, non si sentono terroristi, non si sentono nemmeno eroi, semplicemente si definiscono “difensori” della propria regione e della propria identità. Mi dicono: “Siamo pronti a tutto, continueremo fino alla fine, siamo pronti a morire per questa causa. Saremo degni dei nostri nonni che sconfiggendo i nazisti arrivarono fino a Berlino”.
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