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Sarebbe stato difficile tre mesi fa pensare che le manifestazioni di Euromaidan potessero durare fino ai tragici scontri che hanno portato alla caduta del Presidente Yanukovich.
Per noi occidentali, la comprensione degli avvenimenti in Ucraina è resa difficile dalle avverse propagande, ma sopratutto dalla disinformazione esercitata da fonti filo-russe (secondo una tradizione che risale ai tempi dell’Urss). Per facilitare un giudizio sugli avvenimenti, conviene cercare di fare chiarezza su alcuni aspetti. Davanti a un bivio L’Ucraina si trova di fronte alla scelta fra avvicinarsi all‘Europa occidentale o rientrare nell’orbita russa. Di solito ci si limita a descrivere semplicisticamente un Paese diviso in due: una parte occidentale che guarda all’Europa e una sud-orientale che guarda alla Russia. Per meglio comprendere la realtà, occorre distinguere almeno cinque zone (Ucraina occidentale, centrale, sud orientale, sud-occidentale e Crimea), in ciascuna delle quali si mescolano varie tendenze, in proporzione diversa. Ci sono patrioti fieri della loro lingua e altri meno sensibili alla questione linguistica, ma aperti all’Occidente. C’è poi chi si sente ucraino, ma restano nostalgico dell’ultimo periodo sovietico ed altri legati alla Russia per motivi culturali ed economici. Vi è infine una minoranza (circa 12%) di etnia russa (concentrati nel sud-est ed in Crimea). Tirando le somme, si può ritenere che una buona maggioranza della popolazione guarda all’Europa, e la percentuale sale molto fra i giovani. Restano però contrapposizioni molto pronunciate, per il peso della tragica storia del secolo scorso. Protesta filo-europea La protesta filo-europea nasce dall’aspirazione di trasformare l’Ucraina da un Paese post-sovietico, in mano ad oligarchi avidi e corrotti, in una moderna democrazia. I primi a rispondere all’appello sono stati giovani e studenti, presto raggiunti da gente di ogni settore della società, piccoli imprenditori, intellettuali. La richiesta di Europa è stata presto associata alla rivendicazione dell’indipendenza ucraina: per un Paese che si sente minacciato da un potente vicino, la difesa dell’indipendenza non è di per sé espressione di nazionalismo, ma rientra nelle aspirazioni che hanno spinto i paesi europei a ricercare nell’integrazione il superamento dei nazionalismi. È stata l’immediata, dura reazione governativa a radicalizzare la protesta. Nella convinzione che solo manifestazioni massicce e prolungate potessero indurre un governo autoritario al compromesso, i manifestanti hanno cominciato ad organizzarsi, erigendo barricate ed occupando palazzi attorno alla Piazza di Kiev e poi anche in varie città del paese. Il governo che avrebbe potuto rasserenare la situazione con qualche gesto di conciliazione, ha aumentato la repressione. A fine dicembre la repressione ha assunto aspetti ripugnanti: violenze mirate contro giornalisti e attivisti, rapimenti e omicidi, arresti negli ospedali, impiego di malviventi a pagamento (titushki). Poi il 16 gennaio è stato fatto approvare dal Parlamento un pacchetto di leggi contro la libertà di espressione e di manifestazione, ricalcate su norme in vigore in Russia e in Bielorussia, mentre si moltiplicavano segnali di un possibile ricorso alla legge marziale. Da quel momento la protesta si è fatta più dura, vi sono stati scontri con la polizia, con alcune vittime. Eredità sovietica Milioni di persone sono morte in Ucraina orientale nella carestia provocata dalla repressione stalinista negli anni ’20 (e sono stati poi sostituiti da immigrati russi). In Ucraina occidentale, una organizzazione clandestina (l’Oun-Upa di Stepan Bandera) ha lottato per l’indipendenza a partire dagli anni ’30, prima contro i dominatori polacchi e poi, dopo il patto Ribbentrop-Molotov, contro i sovietici. E infine anche contro i tedeschi: milizie locali ucraine hanno collaborato alle atrocità naziste, ma l’Oun-Upa è stata presto sciolta dai nazisti, per aver proclamato l’indipendenza dell’Ucraina, e Bandera è stato internato a Sachsenhausen, dove sono morti due suoi fratelli. I nazisti lo hanno poi rimesso in libertà alla fine del 1944, perché potesse guidare le forze ucraine contro l’offensiva finale dell’Armata Rossa. L’Upa ha continuato a combattere anche dopo il ritiro delle truppe tedesche. Nessuno in Occidente ha prestato attenzione alla repressione sovietica in Ucraina occidentale, ma i combattimenti sono durati fino al 1956, e, secondo studiosi ucraini, l’Armata Rossa ha avuto perdite comparabili a quelle sofferte in Afghanistan. La propaganda sovietica ha avuto 40 anni di tempo per inculcare nella popolazione ucraina ed in Occidente tremende accuse contro la resistenza. In Ucraina occidentale la memoria delle violenze subite è però rimasta viva, e purtroppo, come in Yugoslavia, è ancora pronta ad emergere in situazioni di confronto esasperato. Gruppi estremisti Progressivamente sono comparse nelle manifestazioni varie associazioni organizzate con disciplina militare, capaci di tenere testa alle forze di polizia per notti intere a temperature sottozero. Alcune, fortemente patriottiche, nate per reazione alle violenze della polizia (Settore Destra, Audifesa Maidan), altre dichiaratamente nazionaliste (Una-Unso, Spilna Sprava). È stato difficile per i leader dell’opposizione democratica tenerle a freno, ma senza di loro le manifestazioni non avrebbero potuto durare così a lungo. Sono state lanciate indiscriminatamente contro queste forze accuse di fascismo e antisemitismo. Occorre fare chiarezza e mettere le cose in prospettiva. La propaganda sovietica ha per decenni equiparato i sostenitori dell’indipendenza ucraina a fascisti ed antisemiti. Anche dopo la fine dell’Urss è stato facile per certi politici al potere proseguire su questa linea, montando operazioni di “disinformazione e provocazione” contro i loro avversari politici, tramite formazioni in tenuta e con gesticolazioni naziste, appositamente organizzate (come contro il democratico Yuschenko, alle elezioni del 2004). Quanto alle accuse di antisemitismo rivolte ai manifestanti, la propaganda delle fonti filogovernative e russe è oggi sostanzialmente smentita dai principali esponenti della comunità ebraica ucraina. L’accusa più stravagante è quella di razzismo antirusso: caso mai si potrebbe dire che russi ed ucraini sono accomunati da tentazioni razziste contro altri popoli ex Urss (georgiani e soprattutto ceceni e tagiki). L’Ucraina non è suddivisa in identità nazionali contrapposte, basate su razza e religione, come l’ex Yugoslavia. La virulenza di certe reazioni antirusse, e le incomprensioni fra ucraini, derivano dalle ferite del secolo scorso. Per l’opposizione filo-europea resta comunque una fonte di imbarazzo il fatto che il partito Svoboda (Libertà), di base in Ucraina occidentale, aveva assunto negli anni ‘90 posizioni estremiste, ed era stato inquinato da elementi antisemiti. Polemiche fra Russia e Occidente Quanto al contesto internazionale, possiamo limitarci a ricordare che la Russia è impegnata nello sforzo di recuperare il suo status di grande potenza. Ottenere successi in questo campo è importante per il presidente Valdimir Putin anche per assicurare il suo potere all’interno. Dall’inizio della crisi, Putin ed il suo ministro degli Esteri hanno moltiplicato i duri avvertimenti all’Occidente a non interferire in Ucraina. In realtà l’Ue si è sempre mossa con prudenza e non senza dissensi interni. Dagli organi dell’Unione sono venuti solo inviti alla moderazione ed alla conciliazione: il messaggio è sempre stato che il popolo ucraino deve poter decidere autonomamente la sua strada. Gli Stati Uniti hanno mantenuto sostanzialmente una posizione analoga, con qualche incoraggiamento verbale più pronunciato. Solo di fronte alle ultime tragiche violenze, Stati Uniti e Ue hanno accolto le richieste dell’opposizione ucraina di adottare sanzioni economiche contro gli oligarchi ucraini ed i responsabili delle violenze. L’efficacia di queste sanzioni era chiara da tempo: gli oligarchi ucraini per timore di essere colpiti si sono affrettati a pubblicizzare posizioni concilianti, ed hanno esercitato pressioni in tal senso sull’ormai ex presidente Viktor Yanukovich. Fortunatamente, durante tutto lo sviluppo della crisi sono mancate le condizioni per un intervento diretto russo. Da ultimo, la gravità della situazione ha indotto la Germania a prendere l’iniziativa, supplendo all’inerzia della “politica estera” dell’Ue. La missione dei ministri degli Esteri tedesco, francese e polacco ha avuto un ruolo importante per facilitare la transizione, al momento decisivo. Assente e silenzioso il governo italiano. Resta da vedere se Stati Uniti e Ue sapranno ora far fronte alla responsabilità di sostenere l’Ucraina con aiuti economici, e instaurare un clima di cooperazione con la Russia, fatto salvo il diritto dell’Ucraina di scegliere la sua strada. Gian Luca Bertinetto è Ambasciatore d’Italia. | ||||||||
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