Unione europea Europa delle banche o unione politica? Mario Sarcinelli 04/06/2013 |
Il tema dell'Unione bancaria europea (Ube) è stato oggetto di vari articoli, il primo dei quali apparve proprio su Affarinternazionali. La trattazione più ampia è quella apparsa sul n. 1 del 2013 di Moneta e Credito. In esso giungo alla conclusione che l'Eurozona ha bisogno per stabilizzarsi di prevedere trasferimenti di tipo automatico quale risultato di una capacità fiscale centralizzata.
D’altra parte nell’Eurozona, oltre a una moneta unica e una sola politica monetaria, è scomparsa la leva del cambio per l’aggiustamento della bilancia dei pagamenti e si è avuta una Banca centrale con: mandato prioritario per la lotta all’inflazione, divieto di finanziamento agli stati partecipanti, schema operativo basato su un mercato monetario efficiente, in grado cioè di ridistribuire a un costo minimo la liquidità all’interno dell’area.
All’interno di un’area valutaria come l’Eurozona, con caratteristiche non ottimali anche se passibili di sviluppo endogeno (soprattutto attraverso il commercio), il meccanismo di aggiustamento, in presenza delle ben note rigidità del fattore lavoro, fu individuato nel movimento dei capitali, ritenuto in grado di finanziare shock e scompensi per il tempo necessario a restaurare l’equilibrio.
Una forte crisi finanziaria e la diversità delle condizioni iniziali di indebitamento, in particolare di quello pubblico, hanno dimostrato i limiti di quell’assunto, facendo cadere gli stati periferici dell’Eurozona e in particolare il “club-med” in una lunga e forte recessione.
Centralizzazione
A questo punto, si è “scoperto” che i trattati europei non annoverano meccanismi di trasferimento tra stati, né automatici né discrezionali, al fine di promuovere l’aggiustamento. Tra gli studiosi, Peter Kenen alla fine degli anni ‘60 e anche successivamente aveva sottolineato la necessità di una funzione fiscale centralizzata, di un bilancio in grado di alleviare le difficoltà delle aree colpite da shock differenziali.
Questa possibilità è stata evocata un anno fa dal rapporto dei quattro presidenti delle istituzioni europee (Van Rompuy, Barroso, Junker e Draghi) e per un indefinito futuro anche in documento della Commissione.
Più di recente il presidente francese Hollande ha sollecitato una nuova tappa di integrazione, con una capacità di bilancio e, progressivamente, anche di indebitamento da attribuirsi all’Eurozona. In verità, le proposte di Parigi non sono state apprezzate a Berlino, dove le hanno interpretate, come è stato scritto su Le Monde, quale riproposizione della vecchia ricetta francese per un governo economico dell’Eurozona. Ben lontana, dunque, dalla visione della Germania sull’abbandono della sovranità nazionale.
Per il funzionamento dell'Ube, non è sufficiente il trasferimento della supervisione alla Banca centrale europea (Bce). Serve anche la costituzione di un Single Resolution Mechanism (Srm) e almeno l’armonizzazione delle esistenti assicurazioni sui depositi, poiché non sembrano maturi i tempi per un’Edira (European Deposit Insurance and Resolution Authority). Lo Srm implica la contribuzione di tutti i paesi dell'Eurozona per risolvere, di volta in volta, i problemi bancari di uno o più di essi. Ciò comporta trasferimenti che, secondo il ministro delle finanze tedesco Schaeuble, richiedono una limitata riforma dei trattati che non prevedono questa possibilità.
Mano ai trattati
Tali modifiche potrebbero non solo dare un fondamento giuridico sicuro allo Srm, che si chiamerebbe European Resolution Authority (Era), ma anche creare una migliore separazione tra le funzioni monetarie e quelle di supervisione nella Bce, al fine di permettere una maggiore partecipazione dei paesi non euro alla vigilanza centralizzata.
Per la fase iniziale di quest’ultima Schaeuble raccomanda la costituzione di una rete delle esistenti autorità nazionali; al di là delle difficoltà derivanti da regole e prassi difformi, è chiara la volontà di non permettere alcun trasferimento, sia pure potenziale, senza un’esplicita previsione dei Trattati.
Anche accettando questa impostazione, sarà facile far introdurre il principio solidaristico che è alla base di ogni tipo di trasferimento? A mio avviso no, e il ricorso a temporanee intese tra le esistenti autorità nazionali come sostitute dell’Era fornirebbe l’alibi perfetto per allungare notevolmente le trattative per il nuovo Trattato. Probabilmente servirebbe anche a costruire un arzigogolato meccanismo per lasciare in gran parte a carico del singolo stato l’onere del salvataggio o la liquidazione della sua banca in difficoltà.
Quand’anche si riuscisse a inserire nel Trattato per l’Era un principio di piena solidarietà, questa sarebbe un’eccezione nel contesto generale e sarebbe difficilmente invocabile per estensione o per analogia. Per ben funzionare, infatti, un'Oca (Optimal Currency Area) ha bisogno di accompagnare la politica monetaria unica con una dimensione fiscale centralizzata, che per costruzione incorpora una funzione di trasferimento nell’ambito dei settori che sono responsabilità di Bruxelles.
Unione politica
Ciò equivale a dire che v'è bisogno di una qualche forma di unione politica, che potrebbe svilupparsi lungo le linee indicate dal ministro degli esteri italiano, Bonino. Quest’ultima si è dichiarata a favore di una federazione leggera, con un bilancio di appena il 5 % del Pil europeo, che metta in comune quattro o cinque settori - tra i quali sicuramente gli esteri e le forze armate - e lasci tutto il resto alla sussidiarietà. Questo schema è ben lontano dal super-stato.
Eppure, 11 ministri degli esteri nel settembre del 2012, compreso il predecessore del ministro Bonino, firmarono un rapporto che proponeva l’elezione diretta del presidente della Commissione, un potenziamento della figura e del ruolo del capo degli affari esteri europei, nuove regole per rendere più facili le modifiche dei Trattati; molti altri suggerimenti, ad esempio quello di dare poteri di iniziativa legislativa al Parlamento europeo, non furono unanimi. Si tratta certamente di proposte degne di attenzione, ma seguono il modello incrementale, mentre la costruzione europea richiede oggi un cambio di metodo e obiettivi ambiziosi.
Gli interrogativi che non possono essere elusi sono dunque: dobbiamo cambiare strategia? Vale la pena di impegnarsi a fondo nella modifica dei trattati solo per inserirvi una funzione di trasferimento limitatamente all’Era? Non sarebbe più logico affrontare il toro per le corna e chiedere alla Germania di mettere sul tavolo negoziale la sua offerta "federalista"? L'appello promosso da Paolo Savona, da me firmato insieme con altri studiosi e apparso su Formiche va ovviamente in questa direzione.
Mario Sarcinelli è presidente di Dexia Crediop.
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D’altra parte nell’Eurozona, oltre a una moneta unica e una sola politica monetaria, è scomparsa la leva del cambio per l’aggiustamento della bilancia dei pagamenti e si è avuta una Banca centrale con: mandato prioritario per la lotta all’inflazione, divieto di finanziamento agli stati partecipanti, schema operativo basato su un mercato monetario efficiente, in grado cioè di ridistribuire a un costo minimo la liquidità all’interno dell’area.
All’interno di un’area valutaria come l’Eurozona, con caratteristiche non ottimali anche se passibili di sviluppo endogeno (soprattutto attraverso il commercio), il meccanismo di aggiustamento, in presenza delle ben note rigidità del fattore lavoro, fu individuato nel movimento dei capitali, ritenuto in grado di finanziare shock e scompensi per il tempo necessario a restaurare l’equilibrio.
Una forte crisi finanziaria e la diversità delle condizioni iniziali di indebitamento, in particolare di quello pubblico, hanno dimostrato i limiti di quell’assunto, facendo cadere gli stati periferici dell’Eurozona e in particolare il “club-med” in una lunga e forte recessione.
Centralizzazione
A questo punto, si è “scoperto” che i trattati europei non annoverano meccanismi di trasferimento tra stati, né automatici né discrezionali, al fine di promuovere l’aggiustamento. Tra gli studiosi, Peter Kenen alla fine degli anni ‘60 e anche successivamente aveva sottolineato la necessità di una funzione fiscale centralizzata, di un bilancio in grado di alleviare le difficoltà delle aree colpite da shock differenziali.
Questa possibilità è stata evocata un anno fa dal rapporto dei quattro presidenti delle istituzioni europee (Van Rompuy, Barroso, Junker e Draghi) e per un indefinito futuro anche in documento della Commissione.
Più di recente il presidente francese Hollande ha sollecitato una nuova tappa di integrazione, con una capacità di bilancio e, progressivamente, anche di indebitamento da attribuirsi all’Eurozona. In verità, le proposte di Parigi non sono state apprezzate a Berlino, dove le hanno interpretate, come è stato scritto su Le Monde, quale riproposizione della vecchia ricetta francese per un governo economico dell’Eurozona. Ben lontana, dunque, dalla visione della Germania sull’abbandono della sovranità nazionale.
Per il funzionamento dell'Ube, non è sufficiente il trasferimento della supervisione alla Banca centrale europea (Bce). Serve anche la costituzione di un Single Resolution Mechanism (Srm) e almeno l’armonizzazione delle esistenti assicurazioni sui depositi, poiché non sembrano maturi i tempi per un’Edira (European Deposit Insurance and Resolution Authority). Lo Srm implica la contribuzione di tutti i paesi dell'Eurozona per risolvere, di volta in volta, i problemi bancari di uno o più di essi. Ciò comporta trasferimenti che, secondo il ministro delle finanze tedesco Schaeuble, richiedono una limitata riforma dei trattati che non prevedono questa possibilità.
Mano ai trattati
Tali modifiche potrebbero non solo dare un fondamento giuridico sicuro allo Srm, che si chiamerebbe European Resolution Authority (Era), ma anche creare una migliore separazione tra le funzioni monetarie e quelle di supervisione nella Bce, al fine di permettere una maggiore partecipazione dei paesi non euro alla vigilanza centralizzata.
Per la fase iniziale di quest’ultima Schaeuble raccomanda la costituzione di una rete delle esistenti autorità nazionali; al di là delle difficoltà derivanti da regole e prassi difformi, è chiara la volontà di non permettere alcun trasferimento, sia pure potenziale, senza un’esplicita previsione dei Trattati.
Anche accettando questa impostazione, sarà facile far introdurre il principio solidaristico che è alla base di ogni tipo di trasferimento? A mio avviso no, e il ricorso a temporanee intese tra le esistenti autorità nazionali come sostitute dell’Era fornirebbe l’alibi perfetto per allungare notevolmente le trattative per il nuovo Trattato. Probabilmente servirebbe anche a costruire un arzigogolato meccanismo per lasciare in gran parte a carico del singolo stato l’onere del salvataggio o la liquidazione della sua banca in difficoltà.
Quand’anche si riuscisse a inserire nel Trattato per l’Era un principio di piena solidarietà, questa sarebbe un’eccezione nel contesto generale e sarebbe difficilmente invocabile per estensione o per analogia. Per ben funzionare, infatti, un'Oca (Optimal Currency Area) ha bisogno di accompagnare la politica monetaria unica con una dimensione fiscale centralizzata, che per costruzione incorpora una funzione di trasferimento nell’ambito dei settori che sono responsabilità di Bruxelles.
Unione politica
Ciò equivale a dire che v'è bisogno di una qualche forma di unione politica, che potrebbe svilupparsi lungo le linee indicate dal ministro degli esteri italiano, Bonino. Quest’ultima si è dichiarata a favore di una federazione leggera, con un bilancio di appena il 5 % del Pil europeo, che metta in comune quattro o cinque settori - tra i quali sicuramente gli esteri e le forze armate - e lasci tutto il resto alla sussidiarietà. Questo schema è ben lontano dal super-stato.
Eppure, 11 ministri degli esteri nel settembre del 2012, compreso il predecessore del ministro Bonino, firmarono un rapporto che proponeva l’elezione diretta del presidente della Commissione, un potenziamento della figura e del ruolo del capo degli affari esteri europei, nuove regole per rendere più facili le modifiche dei Trattati; molti altri suggerimenti, ad esempio quello di dare poteri di iniziativa legislativa al Parlamento europeo, non furono unanimi. Si tratta certamente di proposte degne di attenzione, ma seguono il modello incrementale, mentre la costruzione europea richiede oggi un cambio di metodo e obiettivi ambiziosi.
Gli interrogativi che non possono essere elusi sono dunque: dobbiamo cambiare strategia? Vale la pena di impegnarsi a fondo nella modifica dei trattati solo per inserirvi una funzione di trasferimento limitatamente all’Era? Non sarebbe più logico affrontare il toro per le corna e chiedere alla Germania di mettere sul tavolo negoziale la sua offerta "federalista"? L'appello promosso da Paolo Savona, da me firmato insieme con altri studiosi e apparso su Formiche va ovviamente in questa direzione.
Mario Sarcinelli è presidente di Dexia Crediop.
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