Le ultime dinamiche geo-politiche e diplomatiche europee segnano una nuova dialettica tra gli ex-blocchi, suggerendo il ritorno a una contrapposizione da guerra fredda. La crisi ucraina, l’intensificarsi delle relazioni economiche russe con Paesi ex-sovietici e le decisioni dell’ultimo vertice Nato sulla sicurezza alla frontiera orientale portano alla ribalta un concetto di dissuasione che sembrava ormai superato.
Sanzioni occidentali e antidoto Eurasia L’interventismo russo in Ucraina per tutelare minoranze russe e russofone ha sollecitato pesanti sanzioni contro un’economia già compromessa dai coinvolgimenti bellici in Donbas e Siria. Le misure occidentali colpiscono industrie energetiche, bancarie e tecnologiche russe e la capacità di attrarre nuovi capitali.
Nonostante il pacchetto anticrisi del 2014 - a sostegno di ritenuta di valuta straniera, liquidità del rublo e solidità delle imprese statali - stentano a decollare progetti per infrastrutture energetiche e mancano incentivi a investimenti da fonti esterne alle istituzioni finanziarie europee.
Le banche di Cina e India, partner emergenti per gas e petrolio, sembrano tenere in considerazione il regime sanzionatorio occidentale. L’intera economia russa ne esce così indebolita, riflettendo l’immagine di un mercato viziato da turbolenze politiche.
In chiave anti-sanzione, il presidente russo Vladimir Putin gioca la carta del rilancio economico. Al Forum Internazionale di San Pietroburgo, lo scorso giugno Putin si appellava alla “Grande Eurasia” come piattaforma d’integrazione e sviluppo tra Unione europea, Unione economica euroasiatica (Russia ed ex-satelliti) e Organizzazione per la cooperazione di Shangai.
Ma la Grande Eurasia rimane al momento un miraggio che altera la percezione della Russia quale fulcro di un nuovo ordine economico, sottovalutando parimenti la capacità Ue di sviluppare relazioni commerciali in Asia senza intermediazioni.
Nella visione putiniana, le sanzioni rappresentano una cinica tattica statunitense che danneggia soprattutto l’Europa e devono essere pertanto revocate. Segnali di distensione vengono dal francese Nicolas Sarkozy che, ipotizzando l’abolizione delle sanzioni russe anti-Ue, prefigura l’inattuabilità del rinnovo di quelle europee.
Monaco-Varsavia: dalla dissuasione dialettica alla dissuasione operativa Il braccio di ferro sul campo ha alimentato, lo scorso febbraio, la dialettica alla Conferenza sulla Sicurezza di Monaco. Il premier russo Dmitry Medvedev ha evocato una “nuova guerra fredda” da anno 1962, accusando la Nato di politiche “ostili e opache”.
Il ministro degli Esteri Sergei Lavrov ha constatato che la partnership con l’Ue non supera lo stress test ucraino - pena il congelamento di diversi accordi commerciali - criticando per scarsa trasparenza il progetto statunitense dello scudo anti-missile in Europa orientale.
Il Segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, ha parlato di una Russia “più assertiva” e destabilizzante per la sicurezza europea, mentre il presidente della Conferenza, Wolfgang Ischinger, ha ritenuto il quadro strategico globale il peggiore dal crollo del Muro. A fargli eco è stato il ministro degli Esteri tedesco Frank-Walter Steinmeier, lamentando come guerra e pace fossero temi purtroppo attuali in Europa.
D’altro canto, la Nato del Vertice di Varsavia di luglio evolve dai principi di rassicurazione e solidarietà (summit di Galles 2014) a quello di dissuasione. Accogliendo le richieste di Polonia, Paesi baltici e Romania per un rafforzamento della difesa militare nei loro territori, dal 2017 la Nato assicurerà la rotazione permanente di battaglioni multinazionali (Usa, Canada, Gran Bretagna e Germania) con mille truppe ciascuno.
Tale presenza, lungi dal garantire da eventuali aggressioni, potenzia la catena di comando, il coordinamento operativo, gli scambi informatici e intelligence. Il summit rimanda all’accordo del 1997 per cui la Nato non poteva dispiegare truppe permanenti a est della Germania salvo presunte minacce. Parimenti la Russia deliberava il potenziamento offensivo sui fronti occidentale e meridionale, confermando la linea di fine 2015.
Fattori di disgelo L’Europa occidentale è la più incline ad associare alla dissuasione una cooperazione con la Russia sulla sicurezza. In primis Germania e Francia esprimono riserve sugli attuali indirizzi Nato. Steinmeier contesta le esercitazioni militari a est, mentre il presidente francese François Hollande definisce la Russia partner, contraddicendo la retorica del Summit.
La recente telefonata tra Putin, Hollande e la cancelliera tedesca Angela Merkel testimonia il desiderio di un dialogo costruttivo. Mosca preme inoltre per un accordo di de-escalation e prevenzione. La dissuasione si nutre così della diplomazia europea e della tattica russa del “divide et impera”.
Il coinvolgimento militare in Siria è altro terreno di prova. L’obiettivo subliminale di Mosca è alzare la posta in Ucraina. Scenari alieni geo-politicamente risultano così accomunati in un unico disegno. Il Cremlino attende un’inversione di rotta anche dalle presidenziali Usa. L’opzione Donald Trump, che agevolerebbe accordi strategici e disimpegno americano in Europa, ispira la relativa moderazione russa rispetto alle risoluzioni Nato, percepite come transitorie.
Sara Bonotti, Programme Manager Human Dimension, Organization for Security and Co-operation in Europe (Osce), Programme Office in Astana.
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