Immigrazione Muro dell’Europa sull’immigrazione Enza Roberta Petrillo 17/09/2015 |
I giorni dopo l’atteso Consiglio straordinario dei ministri dell'Interno dell’Unione, la politica migratoria europea ha il volto dei 316 migranti arrestati dalla polizia ungherese alla frontiera tra Serbia e Ungheria.
Dal 15 settembre, chiunque tenti di oltrepassare il muro di filo spinato costruito da Budapest lungo il confine con la Serbia rischia l’espulsione immediata o la condanna fino a tre anni di carcere.
Così prevede la nuova legge sull’immigrazione emanata dall’esecutivo nazionalista di Viktor Orban proprio mentre le cancellerie di Germania, Austria, Slovacchia e Olanda hanno annunciato il ripristino del controllo alle frontiere. Ossia il congelamento a data da destinarsi, della libera circolazione prevista dal trattato di Schengen.
La vittoria della falange del no
Fatti che spiegano lo scoramento di Dimitri Avramopolous, Commissario Ue all’immigrazione, che in tandem con il Presidente della Commissione Jean Claude Juncker aveva indetto il consiglio straordinario del 14 settembre al grido di “non c'è abbastanza Europa in questa Unione. E non c'è abbastanza Unione in questa Europa”.
La reprimenda di Juncker è però caduta nel vuoto e ad Avramopolous non è restato che ammettere la sconfitta. “Sono uscito dal consiglio Affari interni molto deluso. Mi aspettavo più appoggio da tutti. Ci sono Paesi che hanno una prospettiva più nazionale che europea. Ma noi andremo avanti”.
Eunavfor Med, al via la fase 2
Andare avanti, già. Ma come? Per ora sotto gli occhi di tutti c’è un consiglio terminato nel cuore della notte senza aver raggiunto neanche un’intesa unanime sulle conclusioni.
Un risultato ben più magro (e amaro) delle aspettative che circolavano a ridosso dell’apertura avviata da Angela Merkel. A vincere è stata l’intransigente falange del no (Ungheria, Repubblica Ceca, Slovacchia e Romania) che ha bollato come inaccettabile il principio base del Piano Juncker, ossia l’obbligatorietà della redistribuzione di 160mila persone in evidente bisogno di protezione internazionale dall'Italia, dalla Grecia e dall'Ungheria”.
L’unico documento circolato al margine di un consiglio descritto come il peggiore dell’ultimo anno è quello della presidenza lussemburghese. Dieci righe striminzite che fanno riferimento all’unico risultato su cui il gruppo ha raggiunto l’unanimità: l’avvio della fase due dell’operazione Eunavfor Med, missione navale europea lanciata a giugno per “individuare, fermare e mettere fuori uso le imbarcazioni e i mezzi usati o sospettati di essere usati da passatori e trafficanti di migranti”.
Ora i mezzi di EunavforMed potranno effettuare “abbordaggi, perquisizioni, sequestri e dirottamenti in alto mare” delle imbarcazioni sospettate di venir utilizzate per il traffico di esseri umani.
Ma che cosa ci si può aspettare se l’unico terreno su cui il Consiglio è riuscito a trovare una convergenza è quello, consueto, del rafforzamento delle frontiere, e della lotta ai trafficanti? Molte cancellerie, Germania in testa, spingono per un colpo di coda.
Eludere, cioè, la mancata unanimità sui 120mila ricollocamenti, appellandosi all’ “accordo di principio suffragato da una larga maggioranza di Paesi" e ricorrendo alla votazione per maggioranza qualificata. Un’ipotesi rilanciata dal lussemburghese Jean Asselborn, presidente di turno dell'Ue, che potrebbe prendere forma nel prossimo Consiglio Straordinario, (l’ennesimo) indetto per il 22 settembre.
Hot spot
Di fronte a questo scenario, anche la moral suasion tedesca sulla rapida messa a punto degli hot spot (i centri per l’identificazione dei migranti da aprire nei paesi di primo approdo in cui avviare la redistribuzione tra gli stati membri) rischia di rilevarsi una trappola sia per i migranti che per i paesi in prima linea come l’Italia e la Grecia.
Diverse organizzazioni umanitarie tra cui il Consiglio Italiano Rifugiati, Arci e Amnesty International, temono che gli hot spot si traducano nei fatti, in centri di detenzione privi delle necessarie garanzie per un’identificazione sicura e rapida.
Questione che si intreccia con quella del meccanismo di redistribuzione dei richiedenti asilo previsto dal piano Junker. Uno schema, che stando all’interpretazione attuale rischia di duplicare le disfunzioni dell’ormai vituperato trattato di Dublino, visto che i titolari di protezione internazionale, anche in questo caso, non avranno modo di scegliere il paese in cui chiedere asilo.
Il fatto che l’Italia stia già lavorando ad un piano rapido per la messa a punto degli hot spot a Pozzallo, Porto Empedocle, Trapani e Lampedusa non significa, tuttavia, che la linea operativa sia già definita. Per il Viminale, infatti, l’attivazione dei centri resta vincolata a due questioni fondamentali: la ricollocazione rapida di 24 mila richiedenti asilo attualmente fermi in Italia e il rimpatrio (finanziato dall’Ue) dei migranti irregolari privi di titolarità per l’asilo.
Squadre di rapido intervento per il rimpatrio
Ciò che ad oggi è sicuro è che l’avvio della road map diffusa dalla Commissione per l’apertura degli hot spot non può iniziare senza un ripensamento complessivo delle competenze delle agenzie europee che unitamente ai governi nazionali gestiranno il piano dei ricollocamenti.
Europol, Easo, Eurojust, Eunavfor Med, ma soprattutto Frontex, l’agenzia per il controllo delle frontiere esterne dell’Ue a cui la Commissione hanno richiesto di avviare i Rapid Return Intervention Teams, squadre di rapido intervento per il rimpatrio. Queste dovrebbero operare in tandem con gli “European Migration Liaison Officers”, funzionari europei insediati nei paesi di origine e transito a cui spetterebbe di coadiuvare la riammissione dei migranti irregolari.
Ad oggi un’unica certezza: se la road map sarà sviluppata secondo le indicazioni della Commissione, i rimpatri e i ricollocamenti diventerebbero gli strumenti centrali di una politica migratoria europea ancora lontana dal concepire alternative legali all'immigrazione irregolare.
Enza Roberta Petrillo è ricercatrice post-doc presso l’Università “Sapienza” di Roma. Esperta di politica e geopolitica est-europea, si occupa dell’analisi dei flussi migratori con particolare attenzione al ruolo svolto dalla criminalità organizzata transnazionale nei traffici illeciti transfrontalieri (enzaroberta.petrillo@uniroma1.it).
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Così prevede la nuova legge sull’immigrazione emanata dall’esecutivo nazionalista di Viktor Orban proprio mentre le cancellerie di Germania, Austria, Slovacchia e Olanda hanno annunciato il ripristino del controllo alle frontiere. Ossia il congelamento a data da destinarsi, della libera circolazione prevista dal trattato di Schengen.
La vittoria della falange del no
Fatti che spiegano lo scoramento di Dimitri Avramopolous, Commissario Ue all’immigrazione, che in tandem con il Presidente della Commissione Jean Claude Juncker aveva indetto il consiglio straordinario del 14 settembre al grido di “non c'è abbastanza Europa in questa Unione. E non c'è abbastanza Unione in questa Europa”.
La reprimenda di Juncker è però caduta nel vuoto e ad Avramopolous non è restato che ammettere la sconfitta. “Sono uscito dal consiglio Affari interni molto deluso. Mi aspettavo più appoggio da tutti. Ci sono Paesi che hanno una prospettiva più nazionale che europea. Ma noi andremo avanti”.
Eunavfor Med, al via la fase 2
Andare avanti, già. Ma come? Per ora sotto gli occhi di tutti c’è un consiglio terminato nel cuore della notte senza aver raggiunto neanche un’intesa unanime sulle conclusioni.
Un risultato ben più magro (e amaro) delle aspettative che circolavano a ridosso dell’apertura avviata da Angela Merkel. A vincere è stata l’intransigente falange del no (Ungheria, Repubblica Ceca, Slovacchia e Romania) che ha bollato come inaccettabile il principio base del Piano Juncker, ossia l’obbligatorietà della redistribuzione di 160mila persone in evidente bisogno di protezione internazionale dall'Italia, dalla Grecia e dall'Ungheria”.
L’unico documento circolato al margine di un consiglio descritto come il peggiore dell’ultimo anno è quello della presidenza lussemburghese. Dieci righe striminzite che fanno riferimento all’unico risultato su cui il gruppo ha raggiunto l’unanimità: l’avvio della fase due dell’operazione Eunavfor Med, missione navale europea lanciata a giugno per “individuare, fermare e mettere fuori uso le imbarcazioni e i mezzi usati o sospettati di essere usati da passatori e trafficanti di migranti”.
Ora i mezzi di EunavforMed potranno effettuare “abbordaggi, perquisizioni, sequestri e dirottamenti in alto mare” delle imbarcazioni sospettate di venir utilizzate per il traffico di esseri umani.
Ma che cosa ci si può aspettare se l’unico terreno su cui il Consiglio è riuscito a trovare una convergenza è quello, consueto, del rafforzamento delle frontiere, e della lotta ai trafficanti? Molte cancellerie, Germania in testa, spingono per un colpo di coda.
Eludere, cioè, la mancata unanimità sui 120mila ricollocamenti, appellandosi all’ “accordo di principio suffragato da una larga maggioranza di Paesi" e ricorrendo alla votazione per maggioranza qualificata. Un’ipotesi rilanciata dal lussemburghese Jean Asselborn, presidente di turno dell'Ue, che potrebbe prendere forma nel prossimo Consiglio Straordinario, (l’ennesimo) indetto per il 22 settembre.
Hot spot
Di fronte a questo scenario, anche la moral suasion tedesca sulla rapida messa a punto degli hot spot (i centri per l’identificazione dei migranti da aprire nei paesi di primo approdo in cui avviare la redistribuzione tra gli stati membri) rischia di rilevarsi una trappola sia per i migranti che per i paesi in prima linea come l’Italia e la Grecia.
Diverse organizzazioni umanitarie tra cui il Consiglio Italiano Rifugiati, Arci e Amnesty International, temono che gli hot spot si traducano nei fatti, in centri di detenzione privi delle necessarie garanzie per un’identificazione sicura e rapida.
Questione che si intreccia con quella del meccanismo di redistribuzione dei richiedenti asilo previsto dal piano Junker. Uno schema, che stando all’interpretazione attuale rischia di duplicare le disfunzioni dell’ormai vituperato trattato di Dublino, visto che i titolari di protezione internazionale, anche in questo caso, non avranno modo di scegliere il paese in cui chiedere asilo.
Il fatto che l’Italia stia già lavorando ad un piano rapido per la messa a punto degli hot spot a Pozzallo, Porto Empedocle, Trapani e Lampedusa non significa, tuttavia, che la linea operativa sia già definita. Per il Viminale, infatti, l’attivazione dei centri resta vincolata a due questioni fondamentali: la ricollocazione rapida di 24 mila richiedenti asilo attualmente fermi in Italia e il rimpatrio (finanziato dall’Ue) dei migranti irregolari privi di titolarità per l’asilo.
Squadre di rapido intervento per il rimpatrio
Ciò che ad oggi è sicuro è che l’avvio della road map diffusa dalla Commissione per l’apertura degli hot spot non può iniziare senza un ripensamento complessivo delle competenze delle agenzie europee che unitamente ai governi nazionali gestiranno il piano dei ricollocamenti.
Europol, Easo, Eurojust, Eunavfor Med, ma soprattutto Frontex, l’agenzia per il controllo delle frontiere esterne dell’Ue a cui la Commissione hanno richiesto di avviare i Rapid Return Intervention Teams, squadre di rapido intervento per il rimpatrio. Queste dovrebbero operare in tandem con gli “European Migration Liaison Officers”, funzionari europei insediati nei paesi di origine e transito a cui spetterebbe di coadiuvare la riammissione dei migranti irregolari.
Ad oggi un’unica certezza: se la road map sarà sviluppata secondo le indicazioni della Commissione, i rimpatri e i ricollocamenti diventerebbero gli strumenti centrali di una politica migratoria europea ancora lontana dal concepire alternative legali all'immigrazione irregolare.
Enza Roberta Petrillo è ricercatrice post-doc presso l’Università “Sapienza” di Roma. Esperta di politica e geopolitica est-europea, si occupa dell’analisi dei flussi migratori con particolare attenzione al ruolo svolto dalla criminalità organizzata transnazionale nei traffici illeciti transfrontalieri (enzaroberta.petrillo@uniroma1.it).
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