Balcani tra Ovest e Russia Macedonia, contrasti rinvigoriti da crisi interna Francesco Celentano 26/05/2015 |
La Macedonia, piccolo paese nel cuore dei Balcani, è tornata nuovamente sotto i riflettori dell’opinione pubblica mondiale a causa di una ormai cronica diatriba politica che sembra aggravarsi giorno dopo giorno.
Con una storia democratica lunga solo 24 anni, la giovane Repubblica con i suoi due milioni di abitanti sta facendo parlare di sé in Europa e in Russia alla luce dei recenti scandali, promossi dall’opposizione socialdemocratica, che hanno colpito il governo conservatore del potente premier Nikola Gruevski.
Ciò avviene nel pieno dei contrasti tra Unione europea (Ue) e Russia, mentre il mix multietnico che domina la società macedone pare essere vicino a determinare un nuovo sanguinoso confitto interno.
Le intercettazioni rese pubbliche settimanalmente
Da febbraio di quest’anno, il leader dell’opposizione Zoran Zaev, sostenuto dal magnate delle comunicazioni George Soros, ha avviato una campagna di divulgazione e informazione rivolta alla popolazione civile, basata sulla pubblicazione d’intercettazioni - la cui provenienza resta dubbia - che inchiodano i maggiori esponenti politici della maggioranza e del Governo in carica.
Oggetto di queste intercettazioni sono presunti brogli elettorali, omicidi di stampo politico ed episodi di corruzione di cui parlamentari, ministri e uomini vicini al premier parlano con assoluta libertà e semplicità per telefono provocando lo sdegno della popolazione e delle opposizioni.
Il premier ha immediatamente respinto le accuse riducendo la questione a semplici casi isolati di cattivi amministratori pubblici, il tutto mentre domenica 17 maggio più di 70.000 cittadini sono scesi in piazza per chiedere le immediate dimissioni del Governo tacciato, tra le altre cose, di aver avviato una politica autoritaria e limitativa rispetto alla stampa e alla libertà dei cittadini (fonti non ancora confermate parlano, infatti, di oltre 20.000 utenze intercettate costantemente su richiesta di Gruevski).
Questa imponente campagna mediatica ha fino ad ora portato alle sole dimissioni dei soggetti governativi maggiormente coinvolti nella questione, determinando però l’avvio d’indagini a carico di sei persone, tra cui un ex dirigente del servizio di spionaggio macedone, accusate di aver registrato e diffuso le conversazioni per favorire il capo dell’opposizione Zaev, a sua volta accusato di minacce contro il premier.
Terrorismo a Koumanovo e il fantasma Grande Albania
La situazione, già tesa per via delle costanti ‘bombe’ lanciate dall’opposizione con le intercettazioni, si è complicata ulteriormente il 9 maggio, quando, un gruppo di terroristi di nazionalità non ancora ben identificata - secondo il premier provenienti dall’Albania, mentre a detta della minoranza politica direttamente mandati dal Governo - hanno distrutto un intero quartiere della cittadina di Koumanovo, a nord-est del Paese. Lo scontro che si è sviluppato tra gli assalitori e le forze speciali di polizia inviate dal Governo ha causato un bilancio tragico, 22 morti (tra cui 8 poliziotti) e 37 feriti.
Il premier ha immediatamente condannato l’atto terroristico, che a detta dello stesso è il frutto di una rinnovata politica albanese di annessione del territorio macedone.
Fin dal termine delle tensione nei Balcani, infatti, la popolazione di etnia albanese che risiede in Macedonia (circa il 25% dei cittadini) preme, con il supporto dei governanti del Paese delle aquile, per ricongiungere i territori popolati da albanesi in uno solo, appunto la Grande Albania.
L’opposizione continua invece a sostenere che l’atto terroristico sia stato ordito dal premier Gruevski sfruttando personaggi vicini ai gruppi indipendentisti albanesi, per distrarre l’opinione pubblica focalizzata solo sugli sconvolgenti contenuti delle intercettazioni che stanno minando l’intero assetto istituzionale del Paese.
I rapporti con Ue e Russia e le teorie complottistiche
Come spesso accade non mancano le teorie complottistiche, già sentite nel caso della recente crisi ucraina. Il ministro degli Esteri russo Lavrov si è infatti immediatamente scagliato contro “atti di terrorismo preparati, pianificati ed eseguiti per volontà di terzi” contestando altresì la poco incisiva posizione dell’Ue, le cui sanzioni contro la Russia non sono state applicate, nonostante gli fosse richiesto, dal Governo macedone, che anzi - si è detto anche disponibile seguendo in tal senso la vicina Grecia - ad ospitare il passaggio verso l’Europa del gas russo proveniente dal “TurkishStream”.
L’Ue prepara invece l’invio di una delegazione di parlamentari socialdemocratici, per provare a mediare tra la rigida maggioranza e la sempre più aggressiva opposizione. Pertanto l’Unione sia pur lentamente si muove, mentre l’ambasciatore americano a Skopje Bailey supportato da Nato, Regno Unito, Italia e Francia condanna l’immobilismo del Governo dinanzi agli scandali che lo stanno colpendo e invoca, così come il rappresentante italiano nella capitale macedone Belelli, maggior trasparenza e disponibilità quali strumenti per evitare l’isolamento internazionale del Paese.
In questa cornice si colloca, quindi, una nuova potenziale crisi dell’intera area balcanica, stante che, questi appelli, così come le critiche russe al ruolo dell’Ue nella crisi, non sono configurabili come semplici ingerenze negli affari interni di uno Stato sovrano.
Va considerato, infatti, che dal 2005 la giovane Repubblica baltica gode dello status di Paese candidato all’Ue e che quindi in quanto tale dovrebbe avviare una politica più dialogante nei confronti dei propri alleati occidentali, sia pur con il rischio di incrementare le pressioni dalla vicina e storicamente influente Russia determinata, sotto la guida di Putin, a riavvicinare i tanti Stati derivati dall’ex Unione sovietica nella nuova e ancora poco nota Unione euroasiatica.
Come già in passato, ancora oggi il bivio pare essere il medesimo, da una parte Europa e Stati Uniti dall’altra la Russia. A Skopje la scelta.
Francesco Celentano, neolaureato in Giurisprudenza e praticante legale, si sta specializzando nello studio del diritto internazionale, già oggetto della sua tesi di laurea redatta durante un periodo di ricerca presso l'ufficio delle Nazioni Unite di Ginevra.
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Ciò avviene nel pieno dei contrasti tra Unione europea (Ue) e Russia, mentre il mix multietnico che domina la società macedone pare essere vicino a determinare un nuovo sanguinoso confitto interno.
Le intercettazioni rese pubbliche settimanalmente
Da febbraio di quest’anno, il leader dell’opposizione Zoran Zaev, sostenuto dal magnate delle comunicazioni George Soros, ha avviato una campagna di divulgazione e informazione rivolta alla popolazione civile, basata sulla pubblicazione d’intercettazioni - la cui provenienza resta dubbia - che inchiodano i maggiori esponenti politici della maggioranza e del Governo in carica.
Oggetto di queste intercettazioni sono presunti brogli elettorali, omicidi di stampo politico ed episodi di corruzione di cui parlamentari, ministri e uomini vicini al premier parlano con assoluta libertà e semplicità per telefono provocando lo sdegno della popolazione e delle opposizioni.
Il premier ha immediatamente respinto le accuse riducendo la questione a semplici casi isolati di cattivi amministratori pubblici, il tutto mentre domenica 17 maggio più di 70.000 cittadini sono scesi in piazza per chiedere le immediate dimissioni del Governo tacciato, tra le altre cose, di aver avviato una politica autoritaria e limitativa rispetto alla stampa e alla libertà dei cittadini (fonti non ancora confermate parlano, infatti, di oltre 20.000 utenze intercettate costantemente su richiesta di Gruevski).
Questa imponente campagna mediatica ha fino ad ora portato alle sole dimissioni dei soggetti governativi maggiormente coinvolti nella questione, determinando però l’avvio d’indagini a carico di sei persone, tra cui un ex dirigente del servizio di spionaggio macedone, accusate di aver registrato e diffuso le conversazioni per favorire il capo dell’opposizione Zaev, a sua volta accusato di minacce contro il premier.
Terrorismo a Koumanovo e il fantasma Grande Albania
La situazione, già tesa per via delle costanti ‘bombe’ lanciate dall’opposizione con le intercettazioni, si è complicata ulteriormente il 9 maggio, quando, un gruppo di terroristi di nazionalità non ancora ben identificata - secondo il premier provenienti dall’Albania, mentre a detta della minoranza politica direttamente mandati dal Governo - hanno distrutto un intero quartiere della cittadina di Koumanovo, a nord-est del Paese. Lo scontro che si è sviluppato tra gli assalitori e le forze speciali di polizia inviate dal Governo ha causato un bilancio tragico, 22 morti (tra cui 8 poliziotti) e 37 feriti.
Il premier ha immediatamente condannato l’atto terroristico, che a detta dello stesso è il frutto di una rinnovata politica albanese di annessione del territorio macedone.
Fin dal termine delle tensione nei Balcani, infatti, la popolazione di etnia albanese che risiede in Macedonia (circa il 25% dei cittadini) preme, con il supporto dei governanti del Paese delle aquile, per ricongiungere i territori popolati da albanesi in uno solo, appunto la Grande Albania.
L’opposizione continua invece a sostenere che l’atto terroristico sia stato ordito dal premier Gruevski sfruttando personaggi vicini ai gruppi indipendentisti albanesi, per distrarre l’opinione pubblica focalizzata solo sugli sconvolgenti contenuti delle intercettazioni che stanno minando l’intero assetto istituzionale del Paese.
I rapporti con Ue e Russia e le teorie complottistiche
Come spesso accade non mancano le teorie complottistiche, già sentite nel caso della recente crisi ucraina. Il ministro degli Esteri russo Lavrov si è infatti immediatamente scagliato contro “atti di terrorismo preparati, pianificati ed eseguiti per volontà di terzi” contestando altresì la poco incisiva posizione dell’Ue, le cui sanzioni contro la Russia non sono state applicate, nonostante gli fosse richiesto, dal Governo macedone, che anzi - si è detto anche disponibile seguendo in tal senso la vicina Grecia - ad ospitare il passaggio verso l’Europa del gas russo proveniente dal “TurkishStream”.
L’Ue prepara invece l’invio di una delegazione di parlamentari socialdemocratici, per provare a mediare tra la rigida maggioranza e la sempre più aggressiva opposizione. Pertanto l’Unione sia pur lentamente si muove, mentre l’ambasciatore americano a Skopje Bailey supportato da Nato, Regno Unito, Italia e Francia condanna l’immobilismo del Governo dinanzi agli scandali che lo stanno colpendo e invoca, così come il rappresentante italiano nella capitale macedone Belelli, maggior trasparenza e disponibilità quali strumenti per evitare l’isolamento internazionale del Paese.
In questa cornice si colloca, quindi, una nuova potenziale crisi dell’intera area balcanica, stante che, questi appelli, così come le critiche russe al ruolo dell’Ue nella crisi, non sono configurabili come semplici ingerenze negli affari interni di uno Stato sovrano.
Va considerato, infatti, che dal 2005 la giovane Repubblica baltica gode dello status di Paese candidato all’Ue e che quindi in quanto tale dovrebbe avviare una politica più dialogante nei confronti dei propri alleati occidentali, sia pur con il rischio di incrementare le pressioni dalla vicina e storicamente influente Russia determinata, sotto la guida di Putin, a riavvicinare i tanti Stati derivati dall’ex Unione sovietica nella nuova e ancora poco nota Unione euroasiatica.
Come già in passato, ancora oggi il bivio pare essere il medesimo, da una parte Europa e Stati Uniti dall’altra la Russia. A Skopje la scelta.
Francesco Celentano, neolaureato in Giurisprudenza e praticante legale, si sta specializzando nello studio del diritto internazionale, già oggetto della sua tesi di laurea redatta durante un periodo di ricerca presso l'ufficio delle Nazioni Unite di Ginevra.
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